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Buco nei conti del Comune di Roma, Alemanno non ha ancora presentato il bilancio

 l’Unità del 28.3.2010 riprendo:

Buco nei conti. Roma rischia di fare la fine della Grecia

di Bufalini e Del Fratutti gli articoli dell’autore @BS:DELLUC@@Altro che ladrona, Roma stracciona. Dopo due anni di cura Alemanno, il Campidoglio è sull’orlo del baratro economico e, unico comune in Italia, non ha ancora presentato il bilancio preventivo per il 2010 né il consuntivo del 2009. Una situazione gravissima, confermata dalla conversione in legge del decreto 3146A, avvenuta martedì scorso che a suo modo sancisce il dissesto economico della città: la voragine dei conti capitolini, dicono gli esperti, oggi supera i 12 miliardi di euro e, nella migliore delle ipotesi, per la città eterna si prospettano tempi durissimi.
[TITOLINO]L’antefatto[/TITOLINO]
«Presa!» – pare abbia sibilato Giovanni detto Gianni Alemanno, il 28 aprile di due anni fa affacciandosi dal Campidoglio appena conquistato. Davanti al neosindaco non solo i 7 colli fatali, ma una città difficile da governare all’alba di una crisi economica planetaria: invece di rimboccarsi le maniche dà giù di spot inventando il «buco di Veltroni». Per far lievitare la cifra mette dentro di tutto, per il 2008 perfino le spese ordinarie dei primi 4 mesi, quando c’era ancora la vecchia giunta, ma per i restanti 8 mesi la sua amministrazione spende le entrate di tutto l’anno. Nove miliardi e mezzo di debito, grida: piombano gli ispettori di Giulio Tremonti, non proprio un simpatizzante dell’ex sindaco Walter Veltroni. E scoprono l’acqua calda: Roma, con i suoi tre milioni di abitanti, ha un bilancio difficile, ma il dissesto non c’è. L’operazione mediatica frutta però ad Alemanno i poteri di commissario al bilancio oltre alla promessa del governo di «500 milioni l’anno per i debiti»: promessa marinara, arriveranno a singhiozzo. Ma Alemanno ha l’impressione di una disponibilità eccezionale, come se quei soldi gli fossero dati non per ripianare ma per largheggiare, per pagare pegno a grandi elettori e fameliche clientele. Risultato: dopo soli due anni il bilancio non può essere approvato, perché si dovrebbe certificare il dissesto.
[TITOLINO]Il gatto e la volpe[/TITOLINO]
Il gatto e la volpe sono Marco Marsilio e Maurizio Leo, due deputati romani del Pdl di provenienza An, il secondo è anche assessore al Bilancio della capitale. Lo stratagemma per far crescere le monete d’oro è un emendamento nella conversione in legge del decreto 3146A che dovrebbe calmierare la spesa degli enti locali riducendo consigli provinciali e prebende. Ma il 16 febbraio Marsilio non si fa scrupolo di presentare un testo che contiene, sepolta nelle coltri del burocratese, una bomba finanziaria a orologeria: la separazione per il bilancio di Roma fra gestione ordinaria e debito, affidato ad un commissario ministeriale e accollato tutto allo Stato «pantalone», senza contare l’esenzione per il Campidoglio dalle «deleghe di pagamento» alle banche che hanno finanziato i prestiti. Nel dibattito alla Camera l’onorevole Linda Lanzillotta (Api) ricorda che il credito è ormai l’architrave della finanza locale, ma aggiunge sarcasticamente Marco Causi (Pd): «Il comune (di Roma) costruisce la metropolitana con i fondi ottenuti grazie a un bond, ma poi non vuole pagare il bond». Insomma l’onorevole Marsilio con un colpo solo pretenderebbe sia dichiarata ope legis l’insolvenza della Capitale d’Italia – che come un cattivo pagatore vedrebbe subito l’inasprirsi degli interessi bancari –, e immetterebbe nel bilancio dello Stato l’intero disavanzo di Roma, che veleggiando oltre i 12 miliardi di euro assomma a circa 140/200 punti dell’intero debito pubblico – facendo le debite proporzioni merita ricordare che il default finanziario della Grecia scaturiva da 14 miliardi di euro di debito.
La mossa è tanto grave da preoccupare lo stesso vice ministro dell’economia Vegas: da via XX Settembre arriva lo stop. Contraria all’emendamento Marsilio anche nella versione edulcorata di Leo, l’opposizione riconosce però che la grave situazione della capitale è un problema nazionale e non locale. Per il debito di Roma propone di applicare le procedure per i deficit sanità delle Regioni: un piano di rientro diviso tra Stato e in questo caso Comune, monitorato con attenzione.
[TITOLINO]Lacrime e sangue[/TITOLINO]
In campagna elettorale il governo non poteva sconfessare l’amministrazione Alemanno: la legge approvata martedì è un rinvio. L’unica concessione sembrerebbe la divisione della gestione in due, una ordinaria e l’altra per il debito, accordando un rinvio per l’approvazione dei bilanci: è una vittoria di Pirro perché certifica che il comune di Roma è in dissesto oggi, non due anni fa. Poi le prese di distanza: la gestione del debito dal sindaco passa a un commissario del ministero dell’Economia, che rifarà da capo quei conti che Alemanno in due anni non è riuscito a fare; i 500 milioni di euro sono concessi anche per il 2010, ma non sono strutturali come sostiene demagogicamente la giunta capitolina. Infine, e non è un dettaglio, dopo le elezioni si vedrà chi dovrà pagare il debito della Capitale, e il governo non sembra volersene fare carico da solo.
Per i romani saranno lacrime e sangue: le stime dicono che per assessorati, dipartimenti e municipi la spesa corrente sarà ridotta dal 50% al 60%. Inoltre la giunta sarà costretta a far cassa aumentando le tariffe (rifiuti, trasporti, asili nido, e così via) e tagliando via interi settori dei servizi.

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