Informazioni che faticano a trovare spazio

Processo di Brescia, il ruolo di Digilio, la complicità dei Cc di Brescia

Giraudo: «Digilio informatore
reticente. Ma solo a metà»
Mara Rodella
Al giudice istruttore di Milano riferì di aver sentito Maggi parlare dell’eccidio del ’74 «Ma temeva un coinvolgimento»
·         Venerdì 26 Marzo 2010
·         CRONACA,
·         pagina 13 
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Il comandante dei Ros dei carabinieri Massimo Giraudo FOTOLIVE
Reticente con il Ros, snocciolò informazioni al giudice istruttore di Milano. È stata nuovamente evocata la figura di Carlo Digilio, infiltrato della Cia negli anni ’70, e pilastro dell’impianto accusatorio nel terzo processo in corso sull’attentato bresciano. Colui che nel 2000, in un lungo incidente probatorio alla Procura di Brescia, fornì la sua ricostruzione dell’eccidio, collegando eversione nera milanese e veneta, complici gli apparati deviati dello Stato.
Il nome di Digilio, «Zio Otto» per i Servizi, torna così in aula – su sollecitazione delle parti civili – nella testimonianza di Massimo Giraudo, comandante del Ros, che inizia a collaborare con lui nel 1994. Sotto la lente del controesame passano le relazioni di servizio dei colloqui investigativi tra il pentito e il colonnello, datati 10 e 11 aprile 1996: «Gli avevo affiancato il maresciallo Botticelli, era la figura più adatta per ricordare i fatti bresciani», scrisse all’epoca e conferma Giraudo. Il maresciallo «però lamentava che Digilio parlasse poco di Brescia», osserva l’avvocato Sinicato. A quel punto il comandante annota le sue considerazioni in merito, per informare l’Autorità Giudiziaria: «La ragione per cui Digilio è reticente sull’episodio che ci ha raccontato, collegato alla strage bresciana, è un blocco che credo dovuto al fatto che non voglia collocarsi sulla scena descritta». Chiamarsi fuori quindi, per non rischiare.
MA POCO STA in piedi considerando che, solo pochi giorni dopo, il 19 aprile, davanti al giudice istruttore di Milano Guido Salvini, è Digilio che chiede di rilasciare dichiarazioni spontanee: «Dieci giorni prima della strage eravamo a cena a Colognola ai Colli, c’erano anche Maggi e Soffiati e fu proprio Maggi che disse qualcosa sulla strage». Che cosa, non è possibile riportarlo in aula, ma resta che Digilio, con quelle parole, si colloca come testimone diretto sulla scena. Ma, dalla strage, sono già passati 20 anni. Eppure, «non avevo mai contestato a Digilio la specificità della sua reticenza, sarebbe stata induzione nei confronti del collaboratore», puntualizza Giraudo.
E di Digilio si parla anche in riferimento alle deposizioni rese sempre al Ros due anni prima, o del colloquio microfonato con Carlo Maria Maggi il 2 febbraio 1995 in Questura a Venezia. Un confronto che avrebbe sancito l’interruzione della collaborazione tra Maggi e il Ros. A non tornare è la nota di servizio compilata dalla Digos il giorno dopo, da cui emerge che il colonnello Giraudo, nella sala d’attesa durante il colloquio, avrebbe «commentato in tempo reale le modalità del confronto, in cui, peraltro, Digilio avrebbe tentato di farsi amico Maggi». «Mai mi sarei sognato di fare simili lamentele ad un funzionario Digos, anche perchè, prima di parlare al telefono con il giudice Salvini, non sapevo nemmeno che non fossero state predisposte le telecamere. Al contrario di quanto scritto poi, con me non c’era nessun sottufficiale. Del contenuto della conversazione – continua Giraudo – ho appreso solo alla fine, dal momento in cui mi ero appartato a parlare con un funzionario di altro». Le parti civili rilevano come dalla trascrizione risultino interruzioni nella registrazionee «per fare delle fotocopie, e scambiarsi documenti». Ma Giraudo non ne sa nulla e si limita ad un «Io non l’avrei mai fatto».
NEL MIRINO delle parti civili, per voce dell’avvocato Mangoni, anche i rapporti tra Servizi, fonti e Ministero. In particolare, la «fonte Tritone», e i «buchi» informativi tra maggio e luglio’74. «Vi risultano comunicazioni tra il Sid e il Ministero sulle veline di Tramonte in quel periodo?», chiede il legale. «Nessun atto, solo degli appunti firmati da Maletti, nell’autunno del ’74, che informava i Ministeri della difesa e dell’interno». Ma non si può stabilire se siano arrivati sulle scrivanie dei Ministeri.
Ordine nuovo «armato»?
È «guerra» di veline
·         Venerdì 26 Marzo 2010
·         CRONACA,
·         pagina 13
Punta alla ricostruzione delle veline degli informatori che lavoravano per i Servizi anche l’avvocato Battaglini, difensore di Pino Rauti.
NEL MIRINO, la «Fonte Aristo», alias Armando Mortilla, giornalista romano, reclutato dalla Divisione affari riservati affinchè riferisse quanto sapeva del rapporto tra Rauti e la destra eversiva. Un contatto che condurrebbe a Lisbona, dietro la facciata dell’Aginter Presse diretta da Gueren Serac fino a collegare Ordine Nuovo e Order et Tradition.
Ma lo scambio epistolare dell’epoca proprio tra Mortilla e Serac troverebbe alcune incongruenze con i documenti prodotti in seguito. Perchè stando alle veline riconosciute come proprie nel corso delle inchieste (compresa la deposizione a Catanzaro per il processo sulla strage di piazza Fontana), Aristo all’epoca avrebbe proposto a Serac tre campi d’azione in cui il movimento di Pino Rauti e Order et Tradition avrebbero potuto collaborare: informazione, divulgazione, ma anche azione armata.
Diversa, invece, la nota «sintetica» di Federico Umberto D’Amato, direttore della Dar , al giudice istruttore: nessun riferimento alla disponibilità di On all’azione armata. E su questo punta in modo particolare la difesa. MA.RO.
da Bresciaggi del 26.3.2010

Sull’udienza vedi anche il “Giornale di Brescia”, con un resoconto che evidenzia il ruolo complice dei carabinieri di Padova. Il link è  
http://servizi.comune.brescia.it/rassegnastampa/datiweb/FPArticoliPdf/311657.pdf 

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