Informazioni che faticano a trovare spazio

Processo di Brescia: spariti documenti, Maletti sarà sentito in Sud Africa

Da Bresciaoggi:

LE TESTIMONIANZE. Scena muta per Ariosto Zanchetta e il figlio Fiorenzo, Giancarlo Rognoni e Arturo Sartori Francesconi: sono stati coindagati con gli imputati
Piazza della Loggia, il giorno dei silenzi
Wilma Petenzi
I pm Di Martino e Piantoni consegnano ai giudici e alle parti un dischetto con 167 lettere appartenute a Ermanno Buzzi

· Mercoledì 10 Marzo 2010

· CRONACA, pagina 11

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È il giorno del silenzio nel processo per la strage di piazza della Loggia. Quattro dei testimoni chiamati dall’accusa, coindagati degli imputati in procedimenti separati e con posizione ormai archiviata, hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere.
SONO RIMASTI ZITTI Ariosto Zanchetta e il figlio Fiorenzo, Giancarlo Rognoni e Francesco Sartori Arturo. I primi due, residenti a Lozzo Atestino, il paese di Maurizio Tramonte, imputato nel processo insieme a Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino e Pino Rauti, erano chiamati dall’accusa proprio per riferire della loro conoscenza con «Fonte Tritone», che con le sue rivelazioni, poi ritrattate, avrebbe permesso alla procura di ricostruire l’ambito in cui è maturata la strage di Brescia. In una memoria Anna Marchiori (sarà sentita venerdì) la moglie di Fiorenzo Zanchetta dichiarava che il marito era legato a Tramonte e che i due avevano fatto nei primi anni Settanta alcuni attentati a tralicci in provincia di Brescia e di Bergamo.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere anche Giancarlo Rognoni, milanese, al vertice de la Fenice negli anni Settanta, il gruppo eversivo che per l’accusa era legato a doppio filo con il gruppo di ordinovisti veneti. Rognoni, condannato in primo grado all’ergastolo con Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi per la strage di piazza Fontana, e poi assolto in appello, come gli altri imputati, è rimasto nell’aula della corte d’assise di Brescia per pochi istanti, appena il tempo per far capire che non aveva la benchè minima intenzione di rispondere alle domande dei due pm. Scena muta anche per Arturo Sartori Francesconi, pure lui coindagato in separato procedimento, avrebbe dovuto raccontare dei sui rapporti con Massimiliano Fachini, Giangastone Romani e Martino Siciliano.
NELL’UDIENZA di ieri era atteso anche Angelo Angeli, milanese, legato alla destra e alla criminalità, e citato in aula dal detenuto Biagio Pitarresi che gli attribuirebbe la responsabilità dello stupro di Franca Rame. Pitarresi aveva detto che Angeli aveva ricevuto l’incarico dai carabinieri della Pastrengo: «La sera della violenza brindarono a champagne». Ma Angeli non si è presentato, la procura non è riuscita a rintracciarlo e i pm hanno deciso di rinunciare al teste, riservandosi la possibilità di chiedere, con il consenso delle parti, l’acquisizione dei verbali.
E, SEMPRE NEL CORSO dell’udienza di ieri, i pm Roberto Di Martino e Francesco Piantoni hanno depositato un cd con 167 lettere scritte, ricevute o in possesso di Ermanno Buzzi, condannato all’ergastolo nel primo processo per la strage e poi assolto «da morto» in appello, dopo essere stato ucciso nel carcere di Novara il 13 aprile del 1984 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti.
Le lettere erano state consegnate da Buzzi all’avvocato Bruno Lodi, difensore che lo assistette nel processo, ma che si vide di colpo revocato il mandato. Lodi sentito dalla procura dichiarò che Buzzi dava l’impressione di voler passare per capro espiatorio e di essere certo che la situazione avrebbe preso una piega diversa nel processo d’appello. L’avvocato dichiarò anche che una delle ultime volte che vide Buzzi non gli sembrava più tanto certo delle promesse ricevute e gli disse:«Stiano attenti certi illustri personaggi perchè se parlo io scoppia veramente un’altra bomba. L’ultima volta che Lodi vide Buzzi era nelle ore immediatamente precedenti al trasferimento nel carcere di Novara (partì dal carcere di Brescia l’11 aprile e il 13 era già morto) e disse al suo legale: «Ormai per me è finita, vado nella fatal Novara».
La mole notevole di missive deve ancora essere visionata con attenzione, ma a giudizio dei pm, che si sono limitati a una veloce e sommaria lettura, contengono alcuni elementi importanti, che avvalorano la loro ricostruzione e confermerebbero anche alcune dichiarazioni di testimoni già sentiti.
SONO SCESI ormai a meno di un centinaio i testi chiamati dall’accusa. Resta l’intoppo di Maletti, mentre si è risolto il problema per sentire Roberto Raho e Pietro Battiston, residenti in Venezuela. Il primo è morto, mentre Battiston ha assicurato che si presenterà in aula: potrebbe essere sentito il 30 marzo.

Per sentire Maletti
la corte potrebbe
volare in Sud Africa

· Mercoledì 10 Marzo 2010

· CRONACA,· pagina 11

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Gianadelio Maletti, 89 anni, ex numero due del Sid, cittadino sudafricano dall’81, non può venire a Brescia a testimoniare al processo per la strage di piazza della Loggia. Maletti sarebbe rientrato in Italia grazie a un salvacondotto (come fece anche nel 2001 per testimoniare nel processo per la strage di piazza Fontana), ma le sue condizioni di salute sono precarie. Maletti ha risposto alla convocazione della procura: «Le mie condizioni di salute mi impediscono di venire».
L’impossibilità di Maletti crea non pochi problemi per il processo. Maletti deve essere sentito, e la corte valuterà se è possibile farlo in videoconferenza con un paese al di fuori dell’Unione europea, tanto più che non ci sono trattati con il Sud Africa. Non è escluso che la corte d’assise di Brescia voli a Johannesburg per sentire Maletti.
Condannato a due anni per falso ideologico e favoreggiamento personale Maletti nel 2000 in un’intervista a Repubblica sostenne il coinvolgimento della Cia nelle stragi compiute dai gruppi eversivi di destra. Secondo Maletti la Cia avrebbe fornito a Ordine Nuovo attrezzature ed esplosivo, tra cui anche quello impiegato nella strage di piazza Fontana. W.P.

LA CONSULENZA. Giovanni Flamini e le carte degli Affari riservati
«Dall’archivio svaniti i documenti sulle stragi»
Mara Rodella
«La documentazione è stata saccheggiata Mancano tutti i giorni a ridosso degli attentati»

· Mercoledì 10 Marzo 2010

· CRONACA,· pagina 11

Nessun riferimento alla strage di piazza Loggia o alla questura di Milano, consumata un anno prima, il 17 maggio’73. Nelle veline della Divisione Affari Riservati non compare alcuna nota informativa sull’attentato bresciano. E non è l’unica pagina terroristica a mancare dall’archivio.
«Erano proprio i documenti che cercavo con più curiosità, conoscevo bene le carte su piazza Fontana. Ma non c’era nulla, a volte, solo le intestazioni». A ricordare con dovizia di dettagli il materiale custodito nel deposito di Circonvallazione Appia è Giovanni Flamini, consulente, chiamato a deporre dai pm nel terzo processo sulla strage bresciana. Era stato incaricato dalla Procura di Milano di esaminare parte degli archivi della Dar, nell’inchiesta su piazza Fontana: 36 anni dopo, a Brescia, l’accusa punta a ricostruire luci e ombre dell’attività della Dar per dimostrare che la strage di piazza Loggia maturò in un contesto che vedeva legati a doppio filo estremisti neri e apparati statali deviati.
[FIRMA]«DOVEVAMO TROVARE elementi che riconducessero agli attentati di Roma e Milano nel ’69: la documentazione, che andava dal ’61 al ’94, era riposta in 40 scatole di cartone – ricorda Flamini -, ma il materiale era incomprensibile». Ma nel marasma dei documenti c’era anche un brogliaccio quotidiano con la cronologia de
gli eventi giorno per giorno. «Sono andato all’agosto’69, quando, tra il l’8 e il 9, si consumarono 10 attentati ai treni – spiega Flamini -, ma al 7 le veline si fermavano, per riprendere solo 3 giorni dopo». Stessa cosa per piazza Fontana: «Il materiale arrivava fino all’11 dicembre, poi niente. L’ipotesi più probabile era che qualcuno lo avesse fatto sparire». Molti i fascicoli sui gruppi di estrema sinistra, ma anche buste intestate al gruppo padovano ordinovista di Freda, Ventura e Fachini: «ma vuote».
E’ proprio su Freda che emerge uno scambio di informazioni tra il giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz e il Ministero: «A casa di Freda avevano trovato un biglietto rosso con l’appunto di un esplosivo di fattura yugoslava, centinaia di quintali importati da un napoletano – riferisce Flamini -. Ma nel viaggio una parte si era persa. Processarono un bracciante del porto di Trieste. Ma non solo».
«Il 14 dicembre’69 arrivò una segnalazione su Ventura da Guido Lorenzon, segretario della Dc, ma il questore non gli diede peso: la Dar si muoveva con distacco nei confronti delle segnalazioni che arrivavano su Freda e Ventura. Le piste alternative rispetto a quella anarchica sfumavano nel nulla».

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