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Torna un gran libro sulla guerra, “La Cattastrofe” del pastore camuno Faustinelli vissuto 107 anni e morto nel 2001

Bresciaoggi domenica 7 marzo 2010 CRONACA Pagina 19


BRESCIA NOVECENTO. Le memorie di guerra, lette da Lo Cascio al Montozzo l’estate scorsa, approdano alla Laterza

Da Caporetto all’attualità
La «Cattastrofe» si rinnova

Il testo di Duilio Faustinelli, pastore camuno vissuto 107 anni, continua a colpire e ad emozionare: da manifesto antimilitarista a profezia agghiacciante
Quando i dattiloscritti che Giancarlo Maculotti aveva ricavato dai quaderni di Duilio Faustinelli fecero la loro apparizione nella Biblioteca popolare di Pezzo, i primi lettori provarono il brivido che si conviene di fronte all’epifania di un Omero contadino.
Quando nel 1982 il Circolo Ghislandi diede alle stampe la prima edizione della «Cattastrofe» che si avvaleva dell’autorevole imprimatur di Mario Rigoni Stern, il resoconto delle vicissitudini nella Prima guerra mondiale stilato dal pastore di Pezzo conquistò un vasto numero di ammiratori che in lui ritrovavano la vena antiretorica, intimamente pacifista e profondamente allergica alla mitologia nazionalista che sui banchi di scuola avevano appreso leggendo “Un anno sull’altipiano” di Lussu (edito nel 1938) o “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (1929) di Eric Maria Remarque.
La «Cattastrofe» ha suscitato nuovi interessi dopo che è stata al centro della lettura di Luigi Lo Cascio l’estate scorsa al Montozzo, nell’ambito della rassegna «Passi nella neve». Il testo, anche nell’interpretazione scenica, ha confermato la sua carica folgorante, il suo pathos, il suo crudo realismo. Sull’onda di quell’emozione la «Cattastrofe» raggiunge ora la meritata edizione nazionale per i tipi di Giuseppe Laterza editore. L’uomo che ha visto tre secoli (nato nel 1893, è morto nel 2001) era un autore poco più che alfabetizzato che visse (e raccontò, con la sua calligrafia ordinata e l’inchiostro blu della sua stilografica) pagine terribili della Prima guerra mondiale.
LA NUOVA EDIZIONE della «Cattastrofe», curata con il consueto mix di rigore e affetto da Giancarlo Maculotti e prefata da Emilio Franzina, riunisce anche gli scritti di Faustinelli relativi alla pastorizia (un autentico “spaccato”  antropologico) e la testimonianza sull’eccidio a Case di Viso del 16 ottobre 1944, ma è naturalmente la «Cattastrofe» a confermarsi l’opera più notevole. Il capolavoro, se vogliamo.
Per giunta il tempo, che «fa nuove tutte le cose», anziché affievolire accresce il fascino della «Cattastrofe». E se attenua gli innamoramenti ideologici degli anni Ottanta per questo testo, rinvigorisce i contenuti tragici dell’epopea di Faustinelli. Certo, fin dalla prima pagina la patria che si presenta al pastore camuno con la chiamata alle armi è «uno spettro», l’insipienza dei generali è macroscopica, la pusillanimità di ufficiali che svengono alla vista del primo caduto è memorabile, come la figura di quel sergente «antimilitarista» che all’indomani della rotta di Caporetto si strappa i gradi e allude già a un dopoguerra irto di furori politici e ideali. Ma, riletta a quasi trent’anni dalla sua prima edizione tipografica, la Cattastrofe rivela un di più di fascino. È l’allucinato realismo con cui Faustinelli, fra un’invocazione alla Madonna e un’autocommiserazione, racconta il volto più inumano e sanguinolento della guerra: gli schizzi di cervello di un compagno d’armi che lo investono durante un cannoneggiamento, le fucilazioni dei commilitoni renitenti, i giorni trascorsi nella terra di nessuno fra le opposte trincee a sopportare l’arsura e la paura, i cadaveri scagliati ad altezze vertiginose dalle esplosioni, i mozziconi umani sparsi sul campo di battaglia, le urla dei morenti sono colpi che risuonano dentro a lungo, durante e dopo la lettura. E appaiono una premonizione delle scene che vediamo in tv, oggi che una guerra fatta di esplosivi ed esplosioni s’è annidata nelle metropoli asiatiche e non solo, aggiornando le tecniche ma non gli effetti dell’«homo homini lupus».
Dopo la Tragedia, l’altro grande tema è quello del Destino. Destino vuole che Faustinelli risponda in ritardo alla chiamata delle armi e, anziché venire inserito nelle truppe alpine che l’avrebbero avviato a una guerra stanziale, entra nelle truppe d’assalto che lo porteranno a migrare dal Carso alle Giudicarie, dall’Isonzo al Chiese, dalla Bainsizza a Tremalzo, salendo involontariamente di grado fino a quello di sergente maggiore e vedendo la morte falciare attorno a lui le vite di compaesani e commilitoni, superiori e sottoposti, generali e fantaccini. Con una puntualità che sbalordisce il pastore ventenne (ma destinato a tagliare il traguardo dei 107 anni…) viene spostato di incarico, trincea, compagnia ogni volta che la morte sta per far sentire il suo alito.
E dopo Tragedia e Destino, il terzo sostantivo che offre il nerbo alla «Cattastrofe» è quello dell’Umanità: l’umanità dei soldati e l’umanità del protagonista che corre rischi inauditi, irride le smanie di carriera dei superiori, commisera i soldati come lui, non ha parole di disprezzo verso i nemici apostrofati come «Togn», combatte una esasperante guerra contro i «trottapian» (i pidocchi), sospetta nuovi massacri ogni volta che agli affamati soldati arrivano generi di conforto, si ritrova travolto nella epocale rotta di Caporetto.
Si arriva alle considerazioni finali, con Faustinelli che si ritiene un autentico miracolato dopo tre anni di guerra, uno che è passato dal buco di un ago». La vittoria non è motivo di retorica ma di sollievo: «Non cè dessere superbi a descrivere questi successi». Perché non sono altro che una Cattastrofe a ruoli invertiti. E la Cattastrofe è sempre pronta a ritornare. Anzi, forse non se n’è mai andata.

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