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I campi di concentramento di Mussolini. Un centinaio

Dal Corriere della sera del 23 aprile 2010:
Verso il 25 aprile Una ricerca di Aldo Pavia ne ha contati cento: uno a Cinecittà
I campi di concentramento italiani
Il convegno “La storia negata”
Si tiene all’Urban Center dell’XI Municipio (via
Niccolò Odero 15) con relazioni di Angelo Del Boca,
Nicola Tranfaglia, Alessandro Portelli, Davide Conti

Fascisti italiani brava gente?  Campi di concentramento e di sterminio solo opera dei tedeschi?  Aldo Pavia, dell’Associazione nazionale deportati, li ha contati.  E messi nero su bianco. Sono stati oltre un centinaio, in Italia, i campi in cui i repubblichini spesso da soli ammassarono prigionieri. Molti di questi campi erano nati già prima di Salò, in pieno fascismo. “Infatti – spiega Aldo Pavia – dopo aver sviluppato la rete di posti in cui confinare gli oppositori il fascismo varò anche i campi di concentramento, ancor prima di dichiarare guerra. Il primo campo nacque a Pisticci, in Basilicata, nel ‘39…”.
I campi del Duce, la ricerca di Pavia, sarà presentata venerdì pomeriggio nel convegno “La storia negata” che si tiene all’Urban Center dell’XI Municipio (via Niccolò Odero 15)  con relazioni di Angelo Del Boca, Nicola Tranfaglia, Alessandro Portelli,  Davide Conti.
La prima sorpresa è il campo di smistamento che i tedeschi allestirono il 17 aprile del ’44 a Cinecittà. “Ci portarono dentro gli studi di Cinecittà – ricorda Sisto Quaranta, uno dei deportati del Quadraro – Eravamo 1500, buona parte rinchiusi dentro il teatro 10. Ci restammo per 48 ore. Fuori al cancello degli stabilimenti si ammassavano le nostre donne. Fummo deportati in Germania in 947”. Aggiunge Sisto Quaranta: “E pensare che nel 1940 ero andato a Magliano Sabino con i titolari dell’officina meccanica di Trastevere dove lavoravo. Ci era stato chiesto di fare l’impianto elettrico del campo allestito lì, su terreni del conte Cancelli…”.
Un campo di concentramento vero e proprio funzionò dal 1942 nelle vicinanze di Alatri, a Fraschette, ai piedi del monte Fumone. “All’interno di una staccionata di legno, con una ventina di garitte per il controllo dei carabinieri – riferisce Pavia -, furono costruite 200 baracche che divennero un campo di concentramento per internati civili”. I primi deportati arrivarono nel luglio 1942 ed erano anglo-maltesi, deportati dalla Libia. Ad ottobre arrivarono 90 donne e 164 minorenni – tra loro molti i bambini – provenienti dalla Dalmazia. Nel 1943 alle Fraschette giunsero deportati  italiani e stranieri. 200 da Cairo Montenotte e 800 dalla Venezia Giulia. Altri da Ustica, Ventotene, Ponza.
“Dopo la caduta di Mussolini,  le condizioni dei deportati non mutarono – spiega Pavia -. Dopo l’8 settembre 1943, datisi alla fuga i carabinieri, alle Fraschette regnò la confusione totale. I tedeschi trasformarono alcune baracche in scuderie per i loro cavalli e poi, dopo aver preso parte al saccheggio degli arredi del campo, lo lasciarono nel dicembre. Il campo fu sciolto il 19 aprile del ’44, c’erano passati 4.500 deportati”. Eccolo un ultimo nodo storiografico: nei campi furono portati non solo oppositori politici ed ebrei. “Ma anche sloveni – conclude Pavia -, anglo-libici, tedeschi,austriaci, cecoslovacchi, ebrei fiumani, polacchi, greci, francesi, jugoslavi, sovietici, apolidi, zingari, italiani e persino marinai e commercianti cinesi, in osservanza delle leggi razziste del 1938 e per altri “motivi di sicurezza”.
Paolo Brogi
Corriere della Sera Riproduzione riservata

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