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Processo di Brescia, invito alla città a seguirlo

Da BresciaOggi:

Strage, invito alla città a seguire il processo

L’INCONTRO. La Rete antifascista fa il punto sul dibattimento in Assise
L’avvocato di parte civile Gianluigi Abrandini: «Forse si potrà accertare la responsabilità politica»

  • 17/04/2010
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La corte d’assise davanti a cui si sta celebrando il terzo processo

Otto vittime, cento feriti, tre processi, nessun colpevole: 36 anni dopo, altri cinque imputati – legati ai movimenti eversivi neri – per la strage di piazza Loggia nel terzo procedimento in Corte d’Assise, iniziato il 25 novembre 2008. Agli atti, centinaia di testimoni e migliaia di verbali. In aula, decine di avvocati, ma pochi cittadini.
TROPPO POCHI, stando alla rete antifascista provinciale, che ha organizzato un dibattito pubblico in Cgil, proprio per fare il punto sull’andamento processuale, illustrando i contenuti che emergono in dibattimento, per tornare a parlare della strage coinvolgendo Brescia e i bresciani, nel tentativo di contestualizzare il quadro storico e politico che generò l’attentato del 28 maggio 1974. Un compito affidato a Gianluigi Abrandini, legale di parte civile, e Saverio Ferrari, membro dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. D’accordo nell’affermare che la strage di piazza Loggia non sia stato un episodio isolato, ma l’ennesimo tassello nella strategia della tensione. «Sarà un processo ancora lungo. Una vicenda giudiziaria in cui si è scelto di puntare sull’accumulo di documenti e testimonianze per ricostruire l’humus in cui maturò la strage – analizza Ferrari -. Perchè quello che emerge dalle udienze è che molti estremisti di destra stiano rilasciando dichiarazioni importanti quantomeno in relazione al loro rapporto con determinati apparati statali: riconoscono cioè la propria responsabilità, o quella di chi appogiavano. C’è chi sostiene di aver recuperato esplosivo nelle basi Nato di Livorno o Vicenza, e questo è solo un esempio. In quegli anni, molti ordinovisti entravano e uscivano dalle basi Cia con cui imbastivano un rapporto più cameratesco che informativo. Ecco che allora, dal punto di vista storico, l’impianto accusatorio tiene: il motore del progetto eversivo non erano gli estremisti, quelli facevano da manovalanza, la matrice risiede negli apparati deviati dello Stato, tipico elemento della strategia della tensione».
ED È UN PERCORSO che secondo Ferrari e Abrandini parte dagli anni ’60, «da un dibattito politico interno alle istituzioni per contrastare il comunismo, reclutando bombaroli per eseguire un un piano studiato dai Servizi, in una rete internazionale».
«I pubblici ministeri stanno conducendo un lavoro certosino per verificare come la democrazia italiana di quegli anni fosse gestita dai poteri forti», continua Abrandini. D’obbligo un breve iter sulla storia processuale della strage. Il primo processo, chiuso con l’assoluzione piena, la riconduceva ad un ambiente locale «a causa delle deviazioni attuate dal generale Francesco Delfino, oggi imputato, e non solo, per limitare l’aspetto conoscitivo che sta emergendo ora», analizza Abrandini.
IL SECONDO PROCESSO fu a carico di Cesare Ferri e Alessandro Stepanoff, legati a «La Fenice» di Milano, assolti, si legge nella sentenza, nonostante concordanti e univoci indizi di colpevolezza: mancava la prova del deposito materiale dell’ordigno. «Oggi emergono elementi nuovi, come la sinergia tra le organizzazioni estremiste nere di quegli anni, il ruolo della Cia, i collegamenti eversivi sull’asse Brescia-Milano-Veneto. E ci vorrà ancora tempo. Ma ci auguriamo che si possa finalmente accertare la responsabilità politica della strage di Brescia: perché fu una strage di Stato. Quello che sarà difficile individuare, invece, 36 anni dopo, è l’esecutore materiale». Da qui un appello, rivolto alla platea: «Entrate in aula, venite alle udienze, partecipate, e fate in modo che si continui a parlare della strage di piazza Loggia».
Mara Rodella
Mara Rodella

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