Informazioni che faticano a trovare spazio

Dopo Brescia: vogliono avvilire un’intera generazione. Aprite gli archivi!

Aprite gli archivi. Togliere i vari livelli di secretazione. Dopo la sentenza di Brescia un’intera generazione – quella di allora – e le altre che sono venute dopo è oggi alle prese con una mortificazione inaccettabile: l’archiviazione di fatto, per mancanza di prove, dello stragismo e delle pagine più buie degli anni ’60-‘70-’80.

Che fare dunque? E’ accettabile che gli archivi siano frequentabili solo per la decadenza del segreto di stato? O non è forse necessario che si aprano gli archivi in generale? E che si tolgano i vari livelli di secretazione introdotti nei documenti?

Il giudice Guido Salvini, intervistato a caldo dopo Brescia, ha detto: bisogna che gli americani aprano gli archivi della Cia ecc.

Ieri sul Manifesto lo storico Giorgio Boatti ha riproposto la questione dicendo molto semplicemente: perché non fare in Italia una legge fotocopia del Freedom Information Act?

Comunque sia, il senso è uno solo: aprire gli archivi. E consentire così a storici, giornalisti, tecnici del diritto e anche semplici utenti di verificare un po’ meglio le carte della stagione del sovvertimento antidemocratico in Italia.

L’appello è dunque rivolto a familiari delle vittime delle stragi, innanzitutto, che si spera vogliano farsi carico di questa richiesta rivolta alle istituzioni italiane ma anche a quelle di Oltreatlantico.

E con loro l’appello  va ai giornalisti che si occupano di queste cose, agli avvocati e ai giudici impegnati in prima linea sul fronte delle stragi, ai rappresentanti politici che avvertano questa impellente esigenza.

Altrimenti dovremmo gettare per sempre la spugna? Non è possibile.

Qui di seguito l’articolo di Boatti uscito ieri sul Manifesto.

La sentenza sulla Strage di Brescia:

Il costo della verità,

il prezzo della menzogna

di Giorgio Boatti

“La verità germoglierà sulla terra/ e la giustizia si affaccerà dal cielo…”: lo afferma un Salmo (84) e dunque sarà sicuramente così. Perché dubitarne? Però non in questo spicchio di terra che si chiama Italia. Non in questo tempo che ci è toccato attraversare e che a tanti decenni dalle stragi contro innocenti vede i colpevoli impuniti, e la giustizia, nonostante la generosa applicazione di alcuni magistrati,  arrivare sconfitta al traguardo. Costretta come è successo a Brescia, per la strage di Piazza della Loggia del 1974. alla formula assolutoria dubitativa. Dopo 17 anni di indagini, quasi un milione di pagine di verbali, millecinquento testi sfilati a portare i loro frammenti di verità scomode o di versioni di comodo, di amnesie o di improvvisi balenare di ricordi. Indiscutibile il contesto nero della pianificazione della strage: scagliata contro un obiettivo, quale una manifestazione sindacale nella Brescia allora capitale della mobilitazione operaia, che non poteva essere più emblematico. E – tutti questi sono fatti –  con un bombarolo neofascista troppo sicuro di sé saltato in aria pochi giorni prima dell’azione, un altro personaggio dello stesso entourage che sapeva troppo fatto fuori in un carcere speciale da killer neri. Per non parlare delle riunioni del commando stragista monitorate pressochè in diretta da talpe dei Servizi. Ma questi – anzi una frazione di questi – traggono dai loro archivi traccia di questo materiale informativo con uno stacco temporale di lustri,  capace di azzoppare qualsiasi approfondimento investigativo.

Come avrebbe potuto non essere balbettante il corso della giustizia dopo un iter defatigante, che pare essere stata copia di quanto accaduto per Piazza Fontana,  in cui nel corso dei decenni – accanto all’azione caparbia di pochi giudici – si è visto di tutto: sovrapporsi di inchieste, zig zag di processi, smaterializzarsi di  prove e defilarsi di collaboratori di giustizia? Per non parlare delle pesanti gomitate di un impegnato magistrato veneziano, poi eletto in Parlamento dalla sinistra, contro il procedere del suo collega milanese Salvini?

Seguire la trama del farsi e disfarsi della giustizia attorno alle stragi è smarrirsi in un gioco di specchi nel quale in Commissione Stragi i politici giocano a fare gli investigatori, con risultati scoranti a leggere le smozzicate e contrapposte relazioni finali che hanno messo fine al loro annoso – e costosissimo per il contribuente – lavoro.   Il giudice  nel frattempo – sull’onda di una micidiale delega che la politica ha trovato comodo far finta di affidargli su alcuni fronti sensibili –  si fa storico, giornalista, esperto di intelligence, eroe civile e precettore morale. Alla fine, sommerso dalle troppe angolazioni del suo procedere, è il primo a perdersi. Crede di essere capace di definire l’insieme ma è sconfitto nel suo specifico. Quello che connota la verità giudiziaria:  l’afferrare la concreta e personale responsabilità dei colpevoli di un reato a lui sottoposto.

Il demagogico sbocciare da parte di una classe politica incolta e distratta di giorni della memoria à la carte, di poetiche del ricordo pubblico a uso privato, è il prezzo di una menzogna, di un quieto vivere della sistemazione dei conti col passato, in cui tutti abbiamo avuto responsabilità.

Il costo della verità non l’abbiamo voluto finora pagare e forse, in ricordo delle vittime, dei loro parenti e delle ferite inferte a questo Paese, sarebbe tempo di cominciare a porsi il problema. A cominciare dagli storici che lavorando sulle stragi, sulla violenza, sul terrorismo, sugli apparati di sicurezza,  hanno compreso che occorre passare dall’ordinamento delle cronologie dei fatti alle modalità del loro accadere dentro la rete del know-how organizzativo, cospirativo, ideologico. A quando in Italia invece di tanti blateramenti una legge FOTOCOPIA del Freedom Information Act statunitense in vigore là dagli anni Settanta? Solo attrezzandosi con un lavoro storico in rete e di gruppo – applicato sui sistemi dei rapporti di forza e di potere che hanno sorretto in concreto i bombaroli, i killer, i logisti, i pianificatori, i garanti della impunità attraverso distruzione di prove e applicato dirottamento di testi e di memorie – si può giungere a qualche approdo. Una strage ha un prezzo altissimo di sangue ma, in termini di soldi, costa poco. Almeno rispetto agli obiettivi di destabilizzazione che consente di conseguire. Però l’impunità agli stragisti è un investimento ingentissimo e duraturo nel tempo che solo un reseau formidabile si può permettere di sorreggere. E’ da qui – dal rovescio del puzzle affrontato dai giudici – che si deve ricominciare. Solo così la verità – non la generosità della memoria o la soggettività del ricordo – difenderà la democrazia. Diventerà duratura educazione  civile dei cittadini. (gboatti@venus.it)

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