Informazioni che faticano a trovare spazio

Ben Jelloun: la rivolta di chi non ha più niente da perdere. Nel Maghreb scendono in piazza al grido Kifaya, basta

L’opinione di Tahar Ben Jalloun, il più importante scrittore vivente del Maghreb. La riporta Repubblica online.

“La rivolta di chi non ha più niente da perdere”.

Il capo dello Stato tunisino, Ben Ali, è un ex ufficiale di polizia; e a quanto pare sua moglie, Leila Trabelsi, che gioca un ruolo importante nell’ombra, ha un passato di parrucchiera. Un giorno, mentre mi trovavo in Tunisia, innervosito e a disagio per la presenza della polizia, mi lamentai con un amico di quel clima di alta sorveglianza. E lui, sorridendo, rispose: “Che altro ti aspettavi da un Paese governato da un ex poliziotto e da una ex parrucchiera?”

Ma al di là dell’aneddoto, Ben Ali, al potere dal 1987, dopo un colpo di stato “morbido”, si era dapprima lanciato in una lotta senza quartiere contro gli islamisti, per poi dedicarsi alla crescita del Paese. Non ha però mai tollerato nessun tipo di critica, né di contestazione o di opposizione politica. Ha governato il Paese col pugno di ferro, imbavagliando la stampa e tenendo i cittadini sotto sorveglianza. Ad autorizzare la sua posizione rigida, che rifiuta ogni concessione, è stato l’appoggio pressoché unanime della Francia in particolare e degli Stati europei in generale. Tutto funziona secondo la sua volontà: il commercio estero è prospero, i turisti affluiscono in massa; dunque, perché cambiare politica? E soprattutto, perché cedere ai contestatori?

C’è stato bisogno di una scintilla, di una ventata di follia, di un dramma umano per spingere la popolazione a scendere in piazza per manifestare contro questo regime poliziesco: il 17 dicembre un ambulante 26enne si è cosparso di benzina per

immolarsi sulla pubblica piazza di Sidi Bouzid, una cittadina nella zona centrale del Paese. E’ deceduto tre settimane dopo. I poliziotti avevano confiscato arbitrariamente la sua carretta di frutta e verdura; e lo sdegno lo ha spinto a farla finita. Il suo non è stato però un gesto impulsivo: da molto tempo subiva i soprusi e il disprezzo dei poliziotti. E’ contro questo disprezzo che migliaia di tunisini hanno manifestato per diversi giorni. Quattro i morti: due suicidi e due manifestanti uccisi da colpi di arma da fuoco. Il regime di Ben Ali si è così screditato, e non dovrebbe più poter contare sulla benevolenza degli europei.

Se in Algeria la situazione non è migliore, il contesto delle sommosse di questi ultimi due giorni è però diverso. L’Algeria vive in uno stato di tensione permanente da ormai vent’anni  –  da quando il processo elettorale che stava portando alla vittoria il partito islamista “Front Islamique du salut” fu interrotto. Seguì una guerra civile, costata oltre 100.000 morti. Il terrorismo che si richiama all’islam esiste tuttora, e non ha cessato di commettere crimini ai danni della popolazione civile. Oggi è stato il brusco aumento dei prezzi dell’olio e dello zucchero a scatenare le proteste di una popolazione che si sente depredata, umiliata e sfruttata. Non si comprende perché un Paese ricco come l’Algeria (grazie alla manna del petrolio e del gas, lo Stato dispone di ben 155 miliardi di dollari di riserve di cambio) debba avere una popolazione così povera.

L’Algeria è un Paese ferito, che risente ancora dei postumi della guerra di liberazione. E benché lo Stato si confonda con l’esercito, non riesce a garantire la sicurezza dei cittadini. Gli attacchi dei sedicenti commando islamici si ripetono quasi ogni settimana. Un giovane su tre non trova lavoro. A mezzo secolo dall’indipendenza il Paese continua a soffrire, e non riesce a usare le sue immense ricchezze per avviare uno sviluppo razionale a beneficio di tutti gli strati della popolazione. Eppure l’Algeria può vantare molti intellettuali di qualità, giornalisti di grande talento e coraggio e alcuni formidabili economisti; e ha una popolazione ospitale, buona, generosa, che ama la vita. Ma le cose non funzionano; c’è il peso della storia, in uno Stato non consolidato; i grossolani appetiti di alcuni militari, la corruzione. La Kabilia (la parte berbera dell’Algeria) non ha mai cessato di contestare il potere centrale, che risponde sempre con la repressione. Manca la fiducia tra i politici e i cittadini.

E a tutto ciò si aggiunge l’avanzata dell’islamismo identitario e contestatore. E’ nata così una situazione esplosiva, illustrata dalle manifestazioni di questi ultimi giorni. Come in Egitto, come in Tunisia, la gente non ne può più di subire umiliazioni (l’ormai celebra hogra) e scende in piazza al grido di Kifaya! (“basta”).

Se in Tunisia e in Algeria il potere non accetta di essere messo in discussione, se al clamore popolare sa rispondere solo con azioni repressive e spargimento di sangue, è perché non ha compreso nulla di quanto accade ai livelli più profondi; e non si rende conto che presto o tardi sarà spazzato via dall’ira di chi non ha più nulla da perdere.

Ultimi

Un milione e mezzo i bambini ucraini “inghiottiti” dalla Russia

Un milione e mezzo di bambini e adolescenti ucraini...

Ancora dossieraggi e schedature

Tornano dossier e schedature. Il video che è stato...

Podlech, il Cile lo ha condannato all’ergastolo

ERGASTOLO CILENO PER ALFONSO PODLECHI giudici cileni hanno aspettato...

Era ubriaca…

“Era ubriaca, così ha favorito chi le ha fatto...