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Silvio Pasquarelli in mostra. Prestando attenzione ai concetti di isola e farfallino…

Dunque una nuova mostra di Silvio Pasquarelli, dal 12 dicembre, stavolta nella cornice dell’Acquario – ora Casa dell’Architettura in piazza Manfredo Fanti all’Esquilino – con un’ardita e divertente  presentazione di Renato Nicolini che qui di seguito riporto:

L’isola di Pasqua(relli)

Conosco Silvio Pasquarelli da tanto tempo, i primi anni dell’Università, la mostra dell’InArch al Palazzo delle Esposizioni per i cento anni di Roma Capitale nel 1970, e mi pare che la sua figura sia rimasta sempre uguale. Non è una variante dell’ (ormai banale) “Ritratto di Dorian Gray”. I segni del passare del tempo si leggono sul suo volto come su quello di tutti noi. Ma il cappello a larghe tese, il panciotto, i pizzi della camicia, il cravattino a farfalla sono sempre gli stessi.

Il cravattino a farfalla ha un valore simbolico per gli architetti italiani, almeno per quelli che hanno conosciuto Bruno Zevi, che l’usava come una divisa. (Ma, se non sbaglio, l’usavano anche Gropius, Wright, Le Corbusier, anche se con minore costanza…). La cravatta a farfalla obbedisce ad evidenti ragioni pratiche, corre meno rischi della cravatta lunga di sporcarsi con la grafite. Ma chi è oggi che disegna ancora con la matita a grafite? Che magari indossa a studio, come faceva Enrico Del Debbio, il camice bianco? Tempi passati! Quando l’ho indossato anch’io, l’implacabile battutista Gianni Accasto mi ha gelato. “Me li incarta due etti di prosciutto?”.

Perché l’abito di lavoro dell’architetto eroico anni Trenta non è diverso da quello del pizzicagnolo.

Nella testarda fedeltà di Silvio al suo look, c’è dunque più di un motivo: l’ideologia dell’architettura moderna ed il gusto del passato si bilanciano perfettamente, il suo omaggio a  Zevi è bifronte come Giano, il Dio romano degli inizi… Guarda al futuro o al passato? E’ eroico o ironico? Chi può dirlo però, al di là delle intenzioni soggettive… Molte volte il senso delle nostre azioni è esattamente il contrario di quello che pensiamo.

Però (ho pensato) questa fedeltà alla propria immagine deve indurre una gran voglia di ritratti spirituali assolutamente mobili, diversi l’uno dall’altro, imprevedibili travestimenti dell’anima che ne rivelano i desideri (che cinicamente tentiamo di negare…)

Così (ho concluso) Silvio Pasquarelli si ritrae come un’isola. Anzi, come un arcipelago, un insieme di isole. Qualcosa deve averla detta Cacciari, a proposito di isole ed arcipelaghi, rintracciando qualche somiglianza tra questa famiglia e la società moderna ed il nostro modo contemporaneo di pensare.

Nello scoglio più alto mi pare di poter rintracciare uno dei Faraglioni di Capri, trasformato in archetipo di un’isola che però un po’ nega se stessa nell’evidente desiderio di elevarsi fino al cielo… Sull’isola una casa, tipo di casa ideale dell’architetto, dove è sicuramente bello sostare, anche se appare molto difficile raggiungerla… 

Ogni uomo è davvero un’isola? E’ ancora vero nell’epoca dell’interconnessione e del mondo globale? L’isola di Pasquarelli ci strizza l’occhio, sicuramente non ci crede. Ma le piacerebbe (anche le isole, non solo gli edifici di Kahn, hanno una volontà propria) fosse, almeno in parte, ancora così… Compare su quel picco inaccessibile l’ombra surrealista della casa di Alberto Savinio, la casa in cui non è ammessa la stupidità (anche se si sa che – siamo uomini di mondo – è praticamente impossibile).

In questo difficile gioco di equilibri, poeticamente abita Silvio, abbigliato un po’ da Heidegger, un po’ da Sherlock Holmes, un tipo di metafisico che non riuscirà mai a staccarsi completamente dal controllo della ragione. Dà forma al suo ritratto spirituale: se l’uomo è ridotto alla bombetta di Magritte, ci si può ben descrivere come una giovane isola che svetta.

RENATO NICOLINI

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