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Indagini sull’omicidio Impastato riaperte, nel mirino i depistaggi. Ne parla Umberto Santino

Segnalo il numero di gennaio di “Casablanca” (http://www.ritaatria.it/ArchivioNews/tabid/159/EntryId/92/Casablanca-n-22-Rivista-Antimafia-Storie-dalle-citta-di-frontiera.aspx) . Storia di copertina, Pippo Fava. E poi l’intervista  a Umberto Santino sulla riapertura delle indagini sull’omicidio di Peppino Impastato.

Le indagini sull’assassinio di Peppino Impastato sono state riaperte. Quali sono le motivazioni? Che cosa è emerso di nuovo? Che cosa potrebbe cambiare rispetto alle sentenze già emanate?
In quel periodo erano all’opera nella zona formazioni neofasciste su cui Peppino e i compagni di Lotta continua indagavano? C’erano legami tra queste e i servizi segreti? Quali rapporti c’erano tra Badalamenti e uomini delle forze dell’ordine? Probabilmente i magistrati che hanno riaperto le indagini sull’assassinio di Peppino si stanno ponendo queste domande

Casablanca pagina 14

Una storia
infinita
Intervista a Umberto Santino,
PRESIDENTE DEL CENTRO SICILIANO DI DOCUMENTAZIONE “GIUSEPPE IMPASTATO”
Sono state riaperte le indagini sull’
omicidio di Peppino Impastato: quali
sono le motivazioni? Come la vedi?
Innanzitutto bisogna ricordare, soprattutto a
chi lo ha dimenticato o non si cura di
ricordarlo, che per l’assassinio di Peppino ci
sono due punti fermi: le condanne di Vito
Palazzolo e di Gaetano Badalamenti come
mandanti dell’omicidio, rispettivamente nel
marzo 2001 e nell’aprile 2002, e la relazione
della Commissione parlamentare antimafia
sul depistaggio delle indagini, approvata nel
dicembre 2000. Questi sono i frutti di un
impegno quotidiano della madre Felicia, del
fratello Giovanni e della cognata di
Peppino, anch’essa Felicia, inizialmente di
alcuni compagni di militanza e
ininterrottamente del Centro siciliano di
documentazione, nato nel 1977 e che dal
1980 è intitolato a Peppino.
Le nuove indagini mirano a colmare
qualche zona d’ombra, soprattutto per
quanto riguarda il depistaggio, su cui la
Commissione antimafia ha già fatto un
ottimo lavoro. Solo che il depistaggio è un
reato soggetto a prescrizione e questo è il
motivo per cui nel 1998 ci siamo rivolti alla
Commissione antimafia che ha accolto la
nostra richiesta di indagare sul ruolo della
magistratura e delle forze dell’ordine.
Penso che ora i magistrati, a partire dal
depistaggio, si propongano di lavorare su
altre ipotesi delittuose non soggette a
prescrizione.
In passato si è parlato tanto di
depistaggio delle indagini e questa ipotesi
è stata confermata dalla Commissione
antimafia, Depistaggio realizzato da chi?
Chi sono i personaggi? Perché?
Il depistaggio parte subito dopo il
ritrovamento dei resti del corpo di Peppino,
con il fonogramma del procuratore capo
Gaetano Martorana. Si leggeva in quel
fonogramma: “Attentato alla sicurezza dei
trasporti mediante esplosione dinamitarda.
Verso le ore 0:30-1 del 9.05.1978, persona
allo stato ignota, ma probabilmente
identificata in tale Impastato Giuseppe, si
recava a bordo della propria autovettura
FIAT 850 all’altezza del Km. 30+180 della
strada ferrata Trapani-Palermo per ivi
collocare un ordigno dinamitardo che,
esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”.
Su quella pista si è immesso
immediatamente l’allora maggiore Subranni,
in seguito promosso generale.
Durante le perquisizioni, operate a senso
unico, nella casa della madre, della zia,
dove abitava Peppino, dei compagni, e non
nelle case dei mafiosi e nelle cave, da cui
proveniva l’esplosivo, come si diceva nella
relazione redatta lo stesso 9 maggio dagli
artificieri, è stata trovata una lettera in cui
Peppino esprimeva le sue delusioni e
manifestava la decisione di “abbandonare la
politica e la vita”. Quella lettera era di sette
mesi prima dell’omicidio e c’era un’altra
stesura della lettera, in cui parlava soltanto
della sua volontà di “abbandonare la
politica”.
Peppino viveva una fase politica molto
difficile, in cui crollavano le certezze degli
anni precedenti, alcuni gruppi, come Lotta
continua, in cui militava negli ultimi anni, si
scioglievano e tutto questo, assieme al
disimpegno di alcuni compagni, lo feriva
profondamente. Aggiungeva un nuovo
trauma a quello che aveva vissuto, come
racconta in un suo scritto, con la rottura con
il padre (sia le lettere che questo scritto li
abbiamo pubblicati integralmente nel libro
Lunga è la notte). Peppino però si era
rapidamente ripreso ed era impegnato nella
campagna elettorale per le elezioni
comunali.
La lettera, nella prima stesura, fu usata
come la prova del suicidio compiuto da un
terrorista, avallando la tesi già delineata dal
procuratore Martorana.

I depistatori hanno nomi e cognomi:
Martorana, Subranni e con loro gli uomini
delle forze dell’ordine che hanno fatto le
indagini criminalizzando Peppino e i suoi
compagni. Tra questi voglio ricordare
l’allora maggiore dei carabinieri Tito Baldo
Onorati, anche lui promosso generale, che
nel 1984 esprimeva un giudizio
assolutamente infondato su Rocco Chinnici,
scrivendo che sposava la nostra tesi
dell’omicidio mafioso per le sue “aspirazioni
elettorali”. Chinnici, il magistrato che ha
fondato il pool antimafia, dando una svolta
storica alle indagini sulla mafia, un uomo
limpidissimo, era già morto nella strage del
29 luglio 1983 e non aveva mai avuto
aspirazioni elettorali e questo personaggio
ne infangava la memoria con delle
menzogne. In una lettera alla procura del 23
maggio scorso ho chiesto che invece della
promozione avrebbe meritato
l’estromissione dall’Arma.
Il procuratore Martorana è morto, vive
ancora Subranni, generale in pensione, e
penso che i magistrati vogliano indagare
soprattutto su di lui e i suoi collaboratori.
Tu e Giovanni Impastato parlate di un
teste che non è stato mai interpellato, una
donna oggi molto anziana che è rimasta
sempre al suo posto, in paese,
normalmente. Com’è potuto accadere?
In un documento del novembre 1978,
redatto dalla Redazione di Radio Aut, si
chiedeva che fosse interrogato il casellante
(il casello ferroviario distava 500 metri dal
luogo dell’esplosione). Si disse che l’addetta
al casello, Provvidenza Vitale, era
irreperibile perché si trovava negli Stati
Uniti. Invece era a Cinisi e abita nelle
vicinanze del casello. Questa è un’ulteriore
riprova delle colpevoli negligenze che
hanno caratterizzato le indagini, da subito
avviate sulla falsa pista dell’attentatosuicidio.
Su queste negligenze la sentenza di
condanna di Vito Palazzolo, redatta dal
magistrato Angelo Pellino, pubblicata
assieme a quella su Badalamenti nel volume
del Centro Chi ha ucciso Peppino
Impastato, e la relazione della Commissione
antimafia, presieduta da Giovanni Russo
Spena, che abbiamo fatto pubblicare in
volume dagli Editori Riuniti con il titolo
Anatomia di un depistaggio, sono
chiarissime.
C’è da dire che la signora, ormai
ottantacinquenne, non si è mai fatta viva,
eppure ha un genero carabiniere e sua nipote
è sposata con un commissario di polizia.
Con tutto quel che è accaduto in questi anni,
non ha ritenuto di doversi presentare per
collaborare con la giustizia. Ora dice che ha
ricordi vaghi di quella notte…
I nuovi riscontri – alla luce delle nuove
realtà – Badalamenti, per intenderci è
morto – se verificati- possono cambiare
qualcosa?
Non possono cambiare una verità
giudiziaria e storica già acclarata, possono
aggiungere altri elementi e completare un
quadro già abbondantemente rischiarato.
Si è parlato, per esempio, di un possibile
legame, tra l’uccisione di due carabinieri
nella caserma di Alcamo Marina il 27
gennaio 1976, e il delitto Impastato, del 9
maggio 1978. Le indagini dopo l’uccisione
dei carabinieri, furono rivolte a sinistra, con
perquisizioni nelle case di militanti del Pci e
della “Sinistra rivoluzionaria”. Peppino, che
era a Lotta continua, fece un comizio e
distribuì un volantino in cui attaccava
l’operato dei carabinieri, a suo avviso
ispirato da Dalla Chiesa, allora al comando
delle forze antiterrorismo, e indicava la
matrice mafiosa e fascista, nel clima della
“strategia della tensione”, con i servizi
segreti “in prima linea” (il volantino è del
31 gennaio 1976).
Per il delitto di Alcamo furono condannate,
una all’ergastolo, altre due a pesanti pene
detentive, persone che non risultavano
legate a gruppi mafiosi o a formazioni
terroristiche e recentemente un ex
carabiniere ha dichiarato che le confessioni
degli incriminati furono estorte con la
tortura.
Erano all’opera nella zona formazioni
neofasciste su cui Peppino e i compagni di
Lc indagavano? C’erano legami tra queste e
i servizi segreti? Quali rapporti c’erano tra
Badalamenti e uomini delle forze
dell’ordine? Probabilmente i magistrati che
hanno riaperto le indagini sull’assassinio di
Peppino si stanno ponendo queste domande.
Gli attentati alla pizzeria Impastato, sede
anche d’iniziative culturali hanno
qualcosa in comune con il passato?
Penso che siano la risposta a tutto quello
che si è fatto e ottenuto in tanti anni di
impegno. Si aggiunga che la casa di
Badalamenti, confiscata, è stata assegnata
all’associazione formata da alcuni compagni
di Peppino e a Casa memoria, l’associazione
fondata dai familiari di Peppino. Questo è
uno smacco per una mafia che ha cambiato
personale, dopo la scomparsa o l’arresto di
capi antichi e recenti, e che continua ad
esserci.
Per anni, dopo la fuga e le condanne di
Badalamenti, prima negli Stati Uniti per
traffico di droga negli anni ”80, dopo per
l’assassinio di Peppino, si è detto che la
mafia nella zona si era indebolita e poi, con
il crollo dei corleonesi, scomparsa. Poi, nel
2007, c’è stato l’arresto dei Lo Piccolo e si è
visto che a Cinisi e dintorni c’erano complici
e referenti. Lo scorso novembre ci sono stati
altri arresti tra cui quel Rugnetta che
vendeva pesce nelle adiacenze del negozio
di Felicia e Giovanni. Un suo furgone,
sequestrato e inopinatamente lasciato
accanto al negozio, è stato incendiato. Già
prima, ad agosto, c’era stato un incendio, il
9 dicembre quest’altro, con danni rilevanti,
la cui natura dolosa è documentata dalla
perizia di parte che abbiamo presentato al
Centro con la conferenza stampa del 29
dicembre.
Una serie di episodi che fanno pensare che
la mafia c’è e che le attività dei familiari di
Peppino, in buona parte svolte con il Centro,
continua a “disturbare”. Si tratta di una zona
in cui ci sono interessi consistenti, legati
soprattutto ai grandi centri commerciali che
costituiscono un ottimo affare, dalla
costruzione degli edifici al monopolio della
distribuzion

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