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Madri tunisine bloccano la Boniver: dove sono i nostri figli?

Immigrati: madri tunisine alla Boniver, dove sono nostri figli?
(AGI) – Tunisi, 18 gen. – (dall’inviato Fabio Greco) “Da una sponda all’altra, vite che contano”. La frase sullo striscione racchiude l’angoscia di decine di madri che lo reggono. Sono le donne tunisine i cui figli si avventurarono un anno fa sui barconi della speranza alla volta dell’Italia, e dei quali non si sa piu’ nulla, ne’ in Italia ne’ in patria.
Queste madri, che manifestano ogni giorno da un anno aggrappate ai cancelli del ministero degli Esteri tunisino, oggi hanno fermato la delegazione della Commissione parlamentare italiana sul controllo dell’immigrazione, guidata da Margherita Boniver, bloccandola da fuori nell’edificio per circa un’ora e nella speranza in un incontro. Erano una cinquantina, ma Hamadi Zribi, italo-tunisino che le coordina, spiega che sono “almeno 200 in tutta Tunisi”. “Chiedono chiarezza sul destino dei figli”, dice, “quale sia stata la loro sorte, se finirono annegati in mare o sono ancora vivi da qualche parte in Italia”. A un anno dall’inizio Rivoluzione dei Gelsomini, il dramma di chi fuggi’ dal Paese temendo la guerra civile o in cerca di una nuova vita aspetta ancora una soluzione e forse, a dire di Hamadi, basta poco per rasserenare queste donne. “Mio figlio parti’ il 14 gennaio scorso, da Sfax”, racconta la madre di Mohammed Jabail, 24 anni, “sono sicura che si trova in un carcere nel nord Italia. L’ho visto in una foto”. La speranza e’ tutta in un fotogramma di un filmato televisivo, in cui sono ripresi i barconi stipati di disperati in arrivo a Lampedusa.
“Questo e’ lui, e’ il mio Ahmed”, indica una di queste donne, sovrapponendo la fototessera conservata nella borsa al profilo di un ragazzo sul barcone: la somiglianza e’ vaga, ma basta a tenere viva la speranza. “Certo che mio figlio e’ vivo, l’ho visto in televisione mentre urlava dal bus il giorno dopo l’arrivo a Lampedusa: ‘Non voglio tornare a Tunisi’. Pero’, perche’ non chiama, non telefona?”, piange un padre mostrando la foto del figlio adolescente. In quelle partenze da Sfax, Tunisi, Bizerte -fughe di chi aveva letto la Rivoluzione come liberta’ di mollare la poverta’ e andarsene- la Tunisia ha perso un pezzo di gioventu’. Secondo i piu’ recenti dati disponibili, oltre 26.000 migranti sono arrivati a Lampedusa nel 2011, e piu’ di 2.000 hanno chiesto protezione internazionale. “Il piu’ adulto di quelli che in un anno sono partiti da qui ha 35 anni”, aggiunge Hamadi, che, prima in Italia e poi nel proprio Paese, sembra aver dedicato la propria vita a ricollegare i fili tra persone lontane e attenuare il dolore di chi ha perduto una persona cara. Ma queste madri vivono in un limbo, tra l’attesa di telefonata del loro ragazzo e quella di lacrime che non vorrebbero mai versare. “Basterebbe qualche settimana per liberarle dall’angoscia”, sottolinea Hamadi, “basterebbe che Italia e Tunisia incrociassero le verifiche sulle impronte digitali in possesso di entrambi i Paesi”, quello dal quale il giovane e’ partito e quello in cui e’ arrivato. “Basterebbe”, aggiunge, “la formazione di una commissione tecnica incaricata di fare cio’, ed e’ questo che abbiamo chiesto in una lettera inviata al ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi”. .

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