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Tunisia, I° anniversario della rivolta. Ma intanto “mancano” duecento harragas…

Raja Elfani, collaboratrice del blog, fa il punto sul I° anniversario della rivolta del suo paese, la Tunisia. E anche sui 200 immigrati scomparsi tra la Tunisia e l’Italia, quei giovani che vengono chiamati “harragas”…

Invademecum

di Raja ElFani

Preparativi a tastoni per la celebrazione nazionale del 14 gennaio 2012 della Rivoluzione tunisina, gli scettici la chiamano la Thawra-cola, suffisso che sta per retorica dell’Impero. Accolte le prime personalità internazionali, per lo più rappresentanti arabi fra cui l’altro che blando Emiro del Qatar. S’infuoca la stampa, ancora indigesta l’assoluta ospitalità alla famiglia di Ben Ali.
Ieri il primo episodio sulla tv saudita Al-Arabiya della fiction sulla fuga di Ben Ali non ha ingannato i giornalisti che urlano contro le tante riduzioni di colpe. La stampa tunisina è giusto rivitalizzata da una bella vittoria, annullate sul nascere le nomine dal governo nel suo settore. Tentativo insolente quanto la visita subito contestata dei nuovi capi tunisini nel Sud, cerimonia interrotta con furore. Marzouki & Jebali, specialisti in PR, scommettono quindi sui festeggiamenti previsti nella centrale Avenue Bourghiba, con un Ministero degli Interni pronto a caricare qualsiasi fuori-programma.
Sembra che i camuffamenti siano parte della sbandierata lezione di democrazia occidentale: una riposta europea in particolare tarda ad arrivare e si teme il “caso chiuso”. Dall’inutile stato di emergenza proclamato l’anno scorso in Italia, spaventata dall’ondata pur prevedibile di migrazione dalla Tunisia, non c’è più notizia della gestione del traffico umano nel mediterraneo. Dopo l’ingrata chiusura francese delle frontiere durante la primavera araba, l’Italia aveva dovuto affrontare da sola un problema europeo. Maroni e Frattini si resero a Lampedusa a sbrogliare l’incidente razzista accelerando la procedura di espulsioni di massa. Qualcuno dei rimpatriati racconta alla stampa tunisina il maltrattamento riservato in diversi centri di accoglienza (laici e religiosi) italiani oltre alla parossistica burocrazia fatta per temporeggiare.
Ma quello che tiene ancora in allerta la comunità, è la scomparsa di 200 di loro. I parenti chiedono di accedere ai CIE per accertamenti a vista. Gli Harraga (ironica accezione magrebina) prima di partire hanno un codice di clandestinità da eseguire nei migliori dei casi: far perdere le proprie tracce è il primo comandamento. È possibile che molti degli scomparsi siano ancora in cammino verso una stabilità civile, ricavabile alla meno peggio nei meandri della vita clandestina. Le probabilità di ricomparsa dopo un tempo di latitanza dipendono dai progressi personali e dalla sicurezza acquisita.
L’inquietudine non lascia mai le famiglie pronte a lanciare un figlio nel mondo moderno. L’elenco dei nomi è pubblicato nella bacheca dell’ambasciata tunisina a Roma, camei di foto e date di nascita perlopiù tra gli anni 1980 e 1990 rimandano ad un’agghiacciante realtà. È frutto del lavoro di Rebeh Kraiem (Ass. G. Verdi Tunisia, Parma) che intende far pressione sul governo italiano. Il caso merita una seria inchiesta bilaterale, per cui una dichiarazione ufficiale dei ministeri è primordiale.
I giornalisti di Assabah che seguono il caso da quasi un anno denunciano ancora oggi una violazione politica dei diritti umani internazionali ma con il termine deportazione vogliono arrivare ancora più lontano. A questa cronaca di più larga portata, vengono ad aggiungersi i nuovi decreti sull’immigrazione in Francia, il ministro Guéant ha dovuto moderare il suo slancio di ostilità dopo che ha messo a repentaglio anche gli immigrati integrati. Nell’Italia tutta flebo e tranquillanti di Monti, il ministro Riccardi dichiara in simultanea un ridimensionamento solo linguistico del problema. È chiaro che Francia e Italia, a rappresentare il trancio di Europa aggrappata dal sud, sintonizzano gli orologi su un unico programma valido per le due incombenze migratorie. In tal caso, la Francia dovrà condividere la responsabilità nelle valutazioni italiane degli sbarchi.
Ma esistono già delle leggi europee che prevedono le crisi umanitarie, e i due paesi non le stanno applicando. L’attuale politica estera del vecchio continente implementa un sovrappiù di lavoro nelle amministrazioni per rilegittimare ciò che resterà un’ingiustizia, una forzatura che non può raggiungere l’impunità. L’Europa sta integrando il razzismo nella sua costituzione, complicando le carte di un’identità globalizzata, perseguendo una segregazione impossibile. È troppo tardi. I flussi migratori vanno pensati come i cambiamenti climatici. E se l’espulsione dovesse mai essere concepita come un programma democratico, le famiglie devono poter aspettarsi che riconsegnino i loro cari vivi.
Raja ElFani

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