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Mercoledì a Bologna il funerale di Fresia Cea, la vedova del “desaparecido” Omar Venturelli

Fresia Cea si è spenta nella notte, la sua lunga malattia è terminata. Mercoledì 7 marzo all’Ospedale Maggiore di Bologna la camera ardente dalle 14,30 alle 16,30, poi alle 17,30 la funzione funebre presso la parrocchia di Marano. A darne l’annuncio Pacita, la figlia.

Alle ultime udienze del processo Podlech, Fresia non c’era. Stava già troppo male la scorsa estate. Finché aveva potuto aveva partecipato alle udienze con attaccata al petto la foto di Omar Venturelli (nell’immagine Fresia con Omar, sposi). In un’occasione la difesa dell’ex fiscal Alfonso Podlech Michaud aveva protestato con la Corte d’assise per quella “esibizione” che turbava – così avevano sostenuto – il dibattimento.

Fresia però non si era lasciata intimorire e la volta successiva aveva rinnovato il suo gesto, mostrando a tutti dentro l’aula giudiziaria il volto mite e sorridente di suo marito vittima dei militari golpisti cileni.

La conclusione del processo con quella sentenza di assoluzione per insufficienza di prova (secondo comma dell’articolo 530 del Codice penale italiano) è arrivata mentre la sua malattia stava peggiorando. Non l’ha di certo aiutata sapere poi con le motivazioni che i giudici avevano sì ritenuto colpevole di sequestro di persona il Podlech (reato però ormai estinto, dato che l’estinzione partiva dalla data di moirte presunta che risale al 1973), avevano riconosciuto il suo ruolo politico tra i militari del Cile di Pinochet, ma non ritenevano di avere prove sufficienti per condannarlo per l’omicidio (reato non estinto).

E così Podlech è finito oggi a Pucon, su un lago, a casa del figlio giudice ed avvocato. Uomo libero, aiutato anche dal mancato appello grazie a un fortunoso errore della Procura di Roma. Omar Venturelli, giovane militante di Cristiani per il socialismo e vicino ai militanti del Mir, soprattutto impegnato con i mapuche in difesa della loro terra, professore all’università cattolica di Temuco a 600 km da Santiago, ex sacerdote (a cui un vescovo amico dei golpisti tolse il sacerdozio sospendendolo a divinis), ecco Omar Venturelli figlio di emigrati modeneswi in Cile è scomparso nel nulla e la giustizia non è in grado di dire niente di certo su di lui e su chi l’ha ucciso. Non è una sorte isolata la sua, è un po’ la storia dei tremila desapoarecidos sotto la dittatura di Pinochet.

E Fresia? Fresia era arrivata dal Cile in Italia poco tempo dopo il golpe che aveva eliminato suo marito Omar. Era arrivata con una bambina piccola, Maria Paz, e aveva scelto Palermo per vivere. Pensava che fosse una città calda.

Due bombe alla porta di casa – e il messaggio trasmesso dal capomafia del quartiere “non sono bombe nostre, è politica” – l’avevano poi costretta a risalire verso il nord fermandosi infine a Bologna.

Pavullo, il paese di cui sono originari i Venturelli, è lì vicino nel modenese. Chissà, anche questo deve averla convinta a scegliere Bologna, la città in cui ha vissuto e lottato per la difesa della sua memoria.

Agli amici cileni che l’hanno rivista a Roma durante le udienze del processo Podlech, in cui sono comparsi molti testimoni di quel periodo nero di torture e omicidi, il ricordo di una donna che aveva cercato verità e giustizia.

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