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Lumi Videla, i torturatori della Dina cilena dopo averla torturata a morte ne gettarono il corpo nel recinto dell’ambasciata italiana…Un libro la ricorda

Si chiamava Lumi Videla, era una militante cilena del Mir, i torturatori della polizia segreta Dina dopo averla seviziata ne gettarono il cadavere dentro il recinto dell’ambasciata italiana a Santiago. Era il novembre del 1974 e l’ambasciata ospitava rifugiati politici. Il regime accusò i rifugiati di aver ucciso Lumi Cidela durante un festino. Voleva gettare fango anche sull’ambasxciata italiana. Nel novembre del 2008 il Tribunale cileno ha condannato per quell’omicidio il generale Manuel Contraras a 10 anni e alla stessa pena i brigadieri Miguel Krassnoff, Cristoph Willike, Francisco Ferrer e Marcelo Moren Brito. L’agente Basclay Zapata è stato invece condannato a 5 anni. Tutti erano della Dina.

E ora Emilio Barbarani, diplomatico italiano, racconta in Chi ha ucciso Lumi Videla?” (Mursia, 312 pagine, euro 19,00. Prefazione di Giorgio Galli) questa storia vissuta in quell’ambasciata circondata dai golpisti. Il libro sarà presentato a Milano, martedì 13 marzo, alle 18.00, presso l’Ispi, Istituto per Gli Studi di Politica Internazionale (via Clerici, 5). Insieme all’autore partecipano all’incontro, Giancarlo Aragona, Gilberto Bonalumi, Piero Ostellino, Sergio Romano.

Così spiega la presentazione di Mursia:

“Chi ha ucciso Lumi Videla?” richiama sin dal titolo l’omicidio della militante del Mir, movimento della sinistra rivoluzionaria, il cui corpo venne gettato nottetempo nel giardino dell’ambasciata italiana a Santiago nel novembre del 1974, poco più di un anno dopo il colpo di Stato di Augusto Pinochet (11 settembre 1973).  Un omicidio che precipitò nel caos la residenza italiana diventata rifugio per centinaia di  cileni: oppositori politici, ma anche disperati in fuga dalla miseria, persino criminali comuni e golpisti caduti in  disgrazia.

Emilio Barbarani arriva a Santiago un mese dopo l’omicidio di Lumi Videla. La sua è una missione senza copertura (l’Italia non aveva riconosciuto il governo Pinochet) per dare man forte all’ambasciatore Tomaso de Vergottini, a sua volta tollerato dalla giunta dei generali come “diplomatico italiano in transito”. «Né l’ambasciatore, né io avevamo ricevuto da Roma esplicita indicazione scritta di fare ciò che facevamo, salvo generica indicazione di porre in atto ogni sforzo a difesa dei perseguitati politici del regime militare», scrive Barbarani nelle sue memorie.

Il giovane diplomatico finisce in prima fila, cioè all’interno dell’ambasciata, a gestire da una parte la massa dei rifugiati disperati e dall’altra l’inchiesta voluta dal governo di Pinochet sull’omicidio Videla, morta durante un festino in ambasciata secondo la propaganda del regime; sequestrata, uccisa e torturata dalla DINA, secondo gli oppositori.

L’inchiesta sull’omicidio Videla è il filo conduttore di una splendida e drammatica testimonianza sull’inizio di una dittatura durata 17 anni, in cui si leggono in  controluce tutte le contraddizioni di un Paese spaccato in due: «La povertà, il sospetto, la paura prevalevano su metà Paese; sull’altra metà, benestante, ignara e acquiescente con le diffuse violazioni dei diritti umani, regnava l’euforia per lo scampato pericolo dello spauracchio di una rivoluzione comunista»,   spiega Barbarani.

Nel Cile diviso si muovono eroi e aguzzini, politici cinici e madri alla ricerca dei figli desaparecidos, spie affascinanti e criminali, preti coraggiosi (Barbarani testimonia il ruolo fondamentale della Chiesa cilena nella difesa degli oppositori) e cittadini indifferenti.  In mezzo a loro, il giovane diplomatico italiano che mette, letteralmente, se stesso tra i rifugiati e la polizia segreta: si chiude per due anni in ambasciata tessendo una silenziosa ma efficace rete di assistenza e protezione che riuscirà a salvare centinaia di vite. Per farlo deve imparare a muoversi in quella zona franca dove operano spie e doppiogiochisti, dove le vite umane hanno un prezzo che va pagato. Quale che sia.

L’inchiesta degli anni Settanta fu affidata al giudice Eduardo Araya,  un uomo di legge che nonostante le pressioni della giunta militare, coraggiosamente, scagionò i rifugiati dall’infame sospetto di aver ucciso Lumi e così facendo consentì che riprendesse il flusso degli espatri.

Nel 2008, nel Cile tornato alla democrazia, alcuni agenti della DINA, a cominciare dal suo capo, vennero condannati dal Giudice per la morte della giovane mirista. Ma la storia e veramente chiarita? Le confidenze di una agente della intelligence della Forza Aerea cilena insinuano alla fine dl libro più di un  dubbio.

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