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Perché nel ’92 l’attentato mafioso a Rino Germanà, il poliziotto che aveva puntato sulla mafia per l’omicidio Rostagno? Avevano appena ucciso Borsellino e anche lui ostacolava la trattativa stato-mafia…

14 settembre 1992, il commissario Rino Germanà – quello che per primo aveva imboccato la pista mafiosa per l’omicidio di Mauro Rostagno, messo fuorigioco poi dalla procura di Trapani che affidò l’inchiesta ai carabinieri assertori come è noto di una “pista interna”  – sfugge a un attentato micidiale a Mazara del Vallo con cui il fior fiore dei killer della mafia lo vuole morto.

Perché quel feroce attentato a poca distanza dalla morte di Paolo Borsellino (nella foto), il magistrato con cui aveva a lungo lavorato e che lo avrebbe voluto di nuovo con sé a Palermo?

La Procura di Palermo ha ascoltato nei giorni scorsi Germanà. La convinzione dei magistrati è che Germanà andava fatto fuori perché ostacolava in qualche modo la trattativa stato-mafia. Un articolo dell’Espresso a firma Umberto Lucentini ricostruisce questo scenario. Ma prima di leggere Lucentini ricordiamo le modalità dell’attentato a Germanà:

Germanà nel 1988 dirigeva la Squadra Mobile di Trapani e su  Rostagno aveva esordito dicendo “In Sicilia i delitti importanti li decide solo la mafia”. Quattro anni dopo Germanà è catapultato, dopo un passaggio alla Criminalpol, nel piccolo commissariato di Mazara del Vallo. “E’ come se qualcuno – ha scritto Fabrizio Feo del Tg3 in “Matteo Messina Denaro”– volesse allontanare Germanà da Borsellino, che in quel periodo lascia Marsala e rientra nel capoluogo siciliano”.

Quando gli sparano è il 14 settembre e Germanà è lì solo da tre mesi.

Provano ad eliminarlo Matteo Messina Denaro (figlio di don Ciccio, capo del trapanese), Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, insomma un trio di capi tra i capi.

La dinamica. Ore 14, 15, un’auto affianca sul lungomare la Panda di Germanà. L’uomo che è accanto al conducente fa fuoco, lo colpisce di striscio. L’auto degli attentatori intanto nello slancio ha superato la Panda, così Germanà inchioda, scende e corre in direzione del mare. Mentre l’auto degli attentatori fa retromarcia Germanà spara un primo colpo. A quel punto la risposta: rispondono col mitra. Bagarella però non è molto capace col kalashnikov, intanto Germanà si è buttato in mare, con la pistola fuori dell’acqua. Poi torna indietro e si nasconde dietro un casotto. Altri colpi, infine gli attentatori lasciano il campo. Un bagnante soccorre Germanà e lo porta dentro la sua villetta fronte mare. Poi arrivano i soccorsi e Germanà viene portato a Palermo, da lì al Viminale…

Su cosa stava  indagando? Spiega Feo: sugli affari di Mariano Agate e sui rapporti con i massoni di Palermo e Torino. La procura di Marsala aveva  appena avviato le indagini su un tale Enzo, poi identificato col senatore dc Vincenzo Inzerillo che dopo una serie di processi è stato condannato nel 2010 a cinque anni e quattro mesi per concorso in associazione mafiosa. Inzerillo viene accostato in particolare ai Graviano, boss di Brancaccio, gli stessi indicati a più riprese come referenti di Marcello Dell’Utri nel dibattimento del processo in corso a Firenze per la strage dei Georgofili.

Ecco l’articolo dell’Espresso:

Borsellino, un altro mistero

di Umberto Lucentini (L’Espresso, 20 marzo 2012)

Due mesi dopo la strage di via D’Amelio, Cosa Nostra cercò di uccidere un super poliziotto di cui il giudice si fidava molto. Lui si salvò gettandosi in mare mentre gli sparavano. Oggi i pm si chiedono se quell’attentato aveva a che fare con la trattativa fra Stato e cosche

Nell’inchiesta della Procura di Palermo sulla trattativa tra pezzi infedeli dello Stato e la mafia entra un altro mistero siciliano: la vicenda dell’attentato fallito, nel 1992, contro Rino Germanà, un poliziotto che aveva lavorato per anni con Paolo Borsellino.

Proprio in quella terribile estate del ’92 il magistrato antimafia aveva cercato inutilmente di richiamare Germanà al suo fianco, poco prima di essere ucciso in via D’Amelio. Borsellino fu ammazzato il 19 luglio e l’attentato a Germanà avvenne il 14 settembre a Mazara del Vallo, dove era stato appena trasferito.

Per chiarire i retroscena dei mesi che precedettero e seguirono le stragi di Giovanni Falcone e di Borsellino, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo pochi giorni fa hanno interrogato Germanà.

I pm di Palermo hanno chiesto a Germanà di rileggere le sue indagini alla luce delle ultime risultanze investigative, sul ‘dialogo’ aperto da politici ed esponenti delle forze dell’ordine con i boss.

Partendo dall’ultima, delicata inchiesta, che Germanà aveva condotto su un tentativo di condizionare i componenti del collegio giudicante di un processo per mafia e che potrebbe aver provocato il suo ‘strano’ trasferimento.

Nel giugno del ’92, infatti, Germanà venne incaricato di indagare su pressioni denunciate da due alti magistrati di Palermo per pilotare il verdetto del processo per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Un tentativo condotto dal notaio Pietro Ferraro che spendeva il nome di Vincenzo Inzerillo (senatore Dc eletto nel collegio di Brancaccio a Palermo e poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e del potente ministro Calogero Mannino (che pochi giorni fa ha ricevuto dai pm di Palermo un avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di «violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario», il reato che racchiude la trattativa con la mafia).

Germanà non è un poliziotto qualunque e la sua carriera professionale lo dimostra: dirigente del commissariato di Mazara dal 1984 al 1987, diventa capo della Squadra mobile di Trapani nel 1987 proprio nei giorni in cui Borsellino assume l’incarico di procuratore di Marsala. Magistrato e investigatore lavorano insieme, in quegli anni, a tante indagini delicate su mafia, massoneria, riciclaggio di denaro, l’omicidio di Mauro Rostagno.
Ed è grazie a Germanà che viene fuori alla fine degli anni Novanta lo spessore criminale dell’allora trentenne Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano oggi «re» dei latitanti di Cosa nostra.

Un curriculum professionale brillante, quello di Germanà, che conosce un improvviso stop nel giugno del ’92, proprio quando il poliziotto, che è stato nel frattempo trasferito alla Criminalpol, deposita il rapporto investigativo sul tentativo di condizionare il verdetto per l’omicidio del capitano Basile, con i nomi dei politici in evidenza. E’ appena avvenuta la strage Falcone, Borsellino è già procuratore aggiunto a Palermo e ha annunciato a Germanà che vuole utilizzarlo alle sue dipendenze per le indagini antimafia del suo ufficio. Ma proprio in quei giorni Germanà viene convocato a Roma, al ministero degli Interni; ed è in quei giorni che viene trasferito a Mazara del Vallo per dirigere, di nuovo, il commissariato: in pratica, una retrocessione.

Borsellino resta senza parole davanti a quella decisione che espone a gravi rischi il poliziotto. E il 4 luglio, a Marsala, dove è andato per incontrare i vecchi colleghi della Procura, Borsellino ripete pubblicamente a Germanà che chiederà il suo ritorno immediato a Palermo.

Quindici giorni dopo però Borsellino muore nella strage di via D’Amelio. E il 14 settembre, mentre Germanà in auto torna a casa per la pausa pranzo, un commando di killer di Cosa nostra tenta di farlo fuori a colpi di mitra Kalashnikov.

Per ucciderlo si muovono le prime linee di Cosa nostra: Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro. Ma Germanà, che si accorge dallo specchietto retrovisore della sua auto di essere seguito, schiva i proiettili, risponde al fuoco, e si salva gettandosi in mare.

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