Informazioni che faticano a trovare spazio

Vent’anni fa la mattanza di via D’Amelio. Agnese Borsellino: “Altri consentirono la strage…”

Via D’Amelio, la strage del 19 agosto 1992. La strage della trattativa Stato-Mafia. C’è il bel libro di Enrico Deaglio a ricordare cosa è avvenuto, c’è l’immagine di quell’ufficiale  dei cc (l’allora capitano Giovanni Arcangioli) che si allontana dal luogo dell’attentato con la borsa di Borsellino, c’è il movimento delle Agende Rosse che chiede verità. E oggi arrivano anche quelli di An e del Pdl a sfruttare l’occasione. Contestato intanto  Napolitano questa mattina presidio delle Agende rosse,- che nel corso di un corteo hanno attaccato il presidente manifestando solidarietà ai Pm di Palermo che indagano sulla trattativa.

Sempre per ricordare l’eccidio in cui morirono anche gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, le agende rosse hanno ”scalato” il monte Pellegrino per raggiungere il castello Utveggio, luogo da cui si pensava fino a qualche tempo fa fosse partito il segnale per azionare la bomba. ”Il castello Utveggio – ha spiegato Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e ideatore del movimento delle agende rosse – e’ un simbolo visto che sicuramente li’ c’era un centro del Sisde. Da li’ qualcuno avra’ visto la colonna di fumo il 19 luglio 1992 e avra’ comunicato a chi di dovere che l’attentato era andato a buon fine”.

Per le vie della citta’, intanto, si snodava il lungo cordone degli scout, organizzato dall’Agesci, dalla Magione a piazza San Domenico, dove il figlio di Borsellino, Manfredi, che oggi fa il commissario di polizia, non e’ riuscito a trattenere le lacrime mentre leggeva il discorso pronunciato vent’anni fa dal padre in quella stessa basilica per ricordare Giovanni Falcone. L’ultimo appuntamento della giornata alla facolta’ di Giurisprudenza per il convegno, organizzato da Antimafia Duemila, sul tema ”Trattative e depistaggi: quale stato vuole la verita’ sulle stragi?” con gli interventi – tra gli altri – di Salvatore Borsellino, Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Domenico Gozzo.

Le iniziative culmineranno domani, anniversario della strage, in via D’Amelio dove un albero d’ulivo raccoglie i messaggi e le testimonianze di solidarieta’ portate negli anni. Quell’albero e quel luogo, pero’, secondo la famiglia Borsellino non devono ”essere meta di rappresentanti delle istituzioni venuti a portare corone di fiori. Vogliamo che ci siano persone che scelgono di fare memoria”. Polemiche che non sono passate inosservate, tanto che Gianfranco Fini, presidente della Camera, fara’ visita solo in forma privata. Il presidio in via D’Amelio avra’ inizio alle 8 dando spazio alle iniziative della societa’ civile e soprattutto ai bambini per i quali sono previsti, dalle 9.30 alle 13, animazione ludica e didattica e percorsi di ”Legalita”’. La giunta distrettuale dell’Anm di Palermo commemorera’ il giudice con un convegno alle 11 nell’aula magna del palazzo di giustizia con un incontro aperto dal titolo: ”Paolo Borsellino. Venti anni dopo” a cui parteciperanno anche il segretario nazionale del Pdl Angelino Alfano e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Alle 16.58 ci sara’ il minuto di silenzio e Marilena Monti, cantautrice e scrittrice, recitera’ ”Giudice Paolo”. Alle 17.15 sono previsti gli interventi dei familiari di Paolo Borsellino e della scorta. In via D’Amelio arrivera’ in serata anche la fiaccolata organizzata da Giovane Italia che partira’ alle 20 da piazza Vittorio Veneto. Parteciperanno, tra gli altri il segretario del Pdl Angelino Alfano, il coordinatore nazionale Ignazio La Russa, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il vice presidente del Parlamento Europeo Roberta Angelilli e l’ex ministro della Gioventu’ Giorgia Meloni.)

La nuova stagione processuale per la strage di via D’Amelio farà il suo esordio in aula il 18 ottobre quando si aprirà a Caltanissetta la prima udienza del processo abbreviato a Fabio Tranchina, il pentito che con Gaspare Spatuzza ha riscritto gli scenari, i ruoli, le responsabilità esecutive dell’uccisione di Paolo Borsellino e dei cinque poliziotti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Questo è il primo processo del nuovo filone che prende le mosse dall’inchiesta della Procura nissena sui depistaggi, i falsi pentiti, le ricostruzioni manipolate. Ne è scaturito un terremoto giudiziario: il 28 ottobre 2011 sono stati scarcerati sette imputati già condannati con sentenza definitiva (sei all’ergastolo), l’8 marzo 2012 sono stati arrestati quattro nuovi imputati per la strage, tra cui il boss Salvatore Madonia, detenuto per altre vicende di mafia. Da queste due svolte collegate nasceranno un nuovo procedimento per Tranchina (quello fissato per ottobre) e un processo di revisione per gli imputati scagionati che sarà celebrato davanti alla corte d’appello di Catania. E solo dopo partirà il Borsellino quater con gli ultimi arrivati: oltre a Madonia, rampollo di una potente famiglia mafiosa palermitana, Vittorio Tutino, Salvatore Vitale e Gaspare Spatuzza che ha confessato, smentendo il falso collaboratore Vincenzo Scarantino, di avere procurato la 126 poi imbottita di tritolo. Con loro sarà giudicato un altro falso pentito, Calogero Pulci, che accusò e fece condannare Gaetano Murana coinvolgendolo nelle fasi esecutive della strage. Tutino aiutò Spatuzza a rubare la 126 mentre Vitale abitava nello stesso palazzo della madre del magistrato e per questo diventò la “talpa” degli stragisti. Cruciali nella riscrittura dell’attentato sono state le dichiarazioni di Spatuzza e di Tranchina. Mentre Spatuzza ha ricostruito il quadro d’insieme della strategia stragista fornendo anche dettagli minuziosi sul piano d’attacco, Tranchina ha confessato di avere acquistato il telecomando che innescò l’esplosione e ha svelato il ruolo del boss Giuseppe Graviano: lo accompagnò nei sopralluoghi in via D’Amelio fino al momento in cui il boss decise di appostarsi dietro un muro per azionare l’autobomba. Nel nuovo filone processuale confluiscono con quelle di Spatuzza e Tranchina anche le rivelazioni di Antonino Giuffré e Giovanni Brusca sulla riunione che alla fine del 1991 avrebbe convocato Totò Riina per dare il via alle stragi del 1992. “Ci dev’essere la resa dei conti”, avrebbe annunciato Riina davanti a una lunga lista di obiettivi: con i “nemici” storici Falcone e Borsellino, c’erano un politico “inaffidabile”, Salvo Lima, e alcuni politici “traditori”. Fu ucciso solo Lima, il 9 marzo 1992. Per gli altri il progetto sarebbe rientrato perché intanto sarebbe cominciata la “trattativa” tra lo Stato e la mafia. Ma proprio questo contatto riservato avrebbe accelerato l’eliminazione di Borsellino diventato, ipotizzano i pm di Caltanissetta, un ostacolo alla “trattativa”.

Intanto Agnese Borsellino accusa: “Altri consentirono la strage”.

Mi ucciderà la mafia ma saranno altri a farmi uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Vent’anni dopo Agnese Piraino Leto ripensa a quella riflessione del marito Paolo Borsellino, affidata a lei proprio il giorno prima di morire. Ne ricava una lettura inquietante ma evita di confrontarsi con i depistaggi, le reticenze, i segreti, i misteri che avvolgono ancora la verità sulla strage di via D’Amelio, 57 giorni dopo il massacro di Giovanni Falcone. “Non lo faccio – dice – perché di quei fatti si stanno occupando i magistrati di Caltanissetta e ho grande rispetto per il loro lavoro”. E da Caltanissetta affiorano elementi che da un lato delineano la regia militare di Cosa nostra e dall’altro confermano l’intuizione di Borsellino: dietro le bombe non c’era solo la mafia. La signora Agnese e i figli Manfredi, Fiammetta e Lucia restano fedeli allo stile della famiglia: sfuggono agli incontri pubblici, evitano le commemorazioni, cui peraltro la vedova non potrebbe partecipare per motivi di salute, non hanno assistito a una sola udienza dei processi costruiti sui falsi collaboratori. “Io e i miei figli – sottolinea – siamo rimasti quelli che eravamo. E io sono orgogliosa che tutti e tre abbiano percorso le loro strade senza trarre alcun beneficio dal nome pesante del padre. Di questo siamo grati a mio marito. Ci ha lasciato una grande lezione civile. Diceva che chiedere un favore vuol dire diventare debitore di chi te lo concede. Sei condannato un giorno a ricambiarlo. Era così rigoroso e attento al senso del dovere che alla fine della giornata si chiedeva: ho meritato oggi lo stipendio dello Stato?”. Borsellino era anche consapevole che dopo Capaci per lui i pericoli erano cresciuti. “Falcone rappresentava per lui – dice la moglie – come uno scudo. Senza il quale la sua esposizione è aumentata. Da qui probabilmente nasce l’esigenza di mio marito in quei 57 giorni di annotare scrupolosamente spunti di indagine, valutazioni, memorie personali di cui si riprometteva di parlare con i pm allora in servizio alla Procura di Caltanissetta, titolari dell’inchiesta su Capaci. Nessuno però in quei lunghi 57 giorni lo chiamò mai. E’ possibile che nelle pagine dell’agenda rossa, usata per i progetti di lavoro e per annotare i fatti più significativi, avesse scritto cose che non voleva confidare a noi familiari. Quell’agenda è stata recuperata sul luogo della strage ma, come si sa, è scomparsa. Se esistesse ancora e se fosse nelle mani di qualcuno potrebbe essere usata come un formidabile strumento di ricatto”. L’esistenza dell’agenda venne segnalata dalla famiglia al gruppo investigativo guidato da Arnaldo La Barbera, uomo dei servizi segreti morto nel 2002. Ma proprio lui replicò con un tono aggressivo. “Ci disse che questa agenda era il frutto della nostra farneticazione”, dice la moglie di Borsellino. Le indagini di La Barbera sono ora rivisitate dai pm di Caltanissetta alle prese con il depistaggio costruito sulle false confessioni di Vincenzo Scarantino. “Forse qualcuno – riflette la vedova Borsellino – aveva l’ansia di arrivare celermente a un risultato. Ma mi chiedo come mai anche ai magistrati, nei tanti filoni processuali e nei vari gradi di giudizio, siano sfuggite le incongruenze del racconto di Scarantino”. Si poteva anche rafforzare la protezione di Borsellino dopo l’uccisione di Falcone? “Non tocca dirlo a me – dice Agnese Piraino Leto -. Posso solo dire, per esserne stata testimone oculare, che mio marito si adirò molto quando apprese per caso dall’allora ministro Salvo Andò, incontrato all’aeroporto, che un pentito aveva rivelato: è arrivato il tritolo per Borsellino. Il procuratore Pietro Giammanco, acquisita la notizia, non lo aveva informato sostenendo che il suo dovere era solo quello di trasmettere per competenza gli atti a Caltanissetta”. “Quella volta – ricorda la signora Agnese – ebbe la percezione di un isolamento pesante e pericoloso. Non escludo che proprio da quel momento si sia convinto che Cosa nostra l’avrebbe ucciso solo dopo che altri glielo avessero consentito”.

Infine la pièce firmata da Clauduio Fava.

Firmata da Claudio Fava, figlio del drammaturgo e giornalista assassinato a Catania dalla mafia, arriva in scena a vent’anni dall’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – il debutto proprio il 19 luglio, anniversario della morte di Borsellino, in prima assoluta al Festival Cantiere Internazionale di Montepulciano- anche una commedia prodotta da Bam Teatro. Intitolato ‘Novantadue’, anno orribile della storia italiana, il lavoro di Fava è un evento di impegno civile che caratterizza quest’anno la manifestazione, fondata negli anni ’70 dal compositore tedesco Hans Werner Henze, rassegna prevalentemente musicale con la partecipazione di giovani italiani e stranieri. Non e’ la prima volta che il Cantiere si occupa anche di prosa, ma questa volta si è di fronte a un dramma teatrale assai significativo. La rappresentazione sarà svolta nel cortile delle carceri poliziane, contesto particolarmente evocativo di una storia incentrata su due uomini, Falcone e Borsellino appunto, visti idealmente insieme nel loro ultimo incontro prima di lasciare l’isola dell’Asinara nella quale si sono ritrovati a preparare l’atto d’accusa per il primo grande processo alla mafia. Descrizione anche di un momento di verità in cui i due protagonisti si confrontano professionalmente e umanamente. Il dramma si snoda verso più direzioni, sottolinea soprattutto le complicità, le omissioni, i silenzi, le viltà e le ambiguità di alcuni pezzi delle istituzioni. Claudio Fava, autore in precedenza de “L’istruttoria” dramma ampiamente rappresentato, così spiega alcuni aspetti dell’odierno testo quanto mai attuale: “Adesso sappiamo che Falcone e Borsellino dovevano morire non solo per volontà dei Corleonesi ma anche per scelta di una parte di quello Stato che i due magistrati credevano di rappresentare e di tutelare. Comunque, in un tribunale, la storia si scrive con i processi. Ho inteso riportare tra noi i misteri e la memoria di Falcone e Borsellino”. Il Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, giunto ora alla sua trentasettesima edizione, nella sua parte musicale (direttore musicale il tedesco Roland Boer e direttore artistico il francese Vincent Monteil) punta sulla prima assoluta di “Brimborium”, favola composta da Mauro Montalbetti, su libretto di Francesco Peri. Una partitura contemporanea che si confronta con il famoso “Pollicino” di Henze. L’esecuzione è a cura dell’Orchestra Poliziana, regia di Robert Nemack, e si avvale della collaborazione dell’Accademia SantaGiulia di Brescia. Tre i concerti sinfonici in programmi tutti affidati al Maestro Roland Boer con la giovane orchestra del Royal Northern College of Music di Manchester, formazione legata alla prestigiosa istituzione inglese con cui il Cantiere rafforza la sua collaborazione.

Ultimi

Un milione e mezzo i bambini ucraini “inghiottiti” dalla Russia

Un milione e mezzo di bambini e adolescenti ucraini...

Ancora dossieraggi e schedature

Tornano dossier e schedature. Il video che è stato...

Podlech, il Cile lo ha condannato all’ergastolo

ERGASTOLO CILENO PER ALFONSO PODLECHI giudici cileni hanno aspettato...

Era ubriaca…

“Era ubriaca, così ha favorito chi le ha fatto...