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Padre Maurizio Patriciello al Prefetto di Napoli: le auguro ogni bene…ma lei non è il mio superiore

La lettera che padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano,  ha indirizzato al Prefetto di Napoli Andrea De Martino:

Signor Prefetto,
sono appena ritornato a casa dopo l’incontro in prefettura di mercoledì 17 ottobre.
Come può facilmente immaginare mi sento tanto mortificato dalle sue parole gridate nei miei confronti e senza motivo davanti a un consesso così qualificato.
Che dirle?
Se a me, prete di periferia, è concesso di ignorare che chiamare semplicemente “signora”, la signora Prefetto di Caserta fosse un’offesa tanto grave, non penso assolutamente che fosse concesso a lei, arrogarsi il diritto di umiliare un cittadino italiano colpevole di niente, presente in prefettura come volontario per dare il suocontributo alla lotta contro lo scempio dei rifiuti industriali interrati e bruciati nelle nostre campagne. Alla fine dell’incontro ho ricevuto la solidarietà di tante persone presenti all’increscioso episodio e la rassicurazione da parte della, signora Prefetto di Caserta che non si era sentita per niente offesa
da me nell’essere chiamata “ signora”.
Forse le sarà sfuggito che lei non era e non è un mio superiore.
Mi dispiace. Tanto.
Avrebbe certamente potuto consigliarmi di rivolgermi al Prefetto di Caserta, chiamandola
“signora Prefetto”. Avrei accolto immediatamente il suo consiglio. Invece, con il tono di voce del maestro che redarguisce lo scolaro, e con parole tanto dure quanto inopportune, ha quasi insinuato che il sottoscritto non avesse rispetto per lo Stato. Scrivo sovente per Avvenire, il giornale che ha il merito di aver portato il nostro dramma alla ribalta della cronaca nazionale. Se vuole può controllare se tra i miei numerosi editoriali c’è una – dico
una sola – parola dove non risuona un amore sviscerato per la mia terra, la mia Patria, la mia gente. E un rispetto sofferto per le Istituzioni. Al contrario, se una cosa mi addolora (l’editoriale del 16 ottobre lo conferma ), se una cosa mi addolora, dicevo, è constatare che tante volte è propria la miopia delle istituzioni, la pigrizia di tanti amministratori, il cattivo esempio di tanti politici che fanno man bassa di denaro pubblico, a incrementare la sfiducia e la rabbia in tanti cittadini. Personalmente sono convinto che la camorra in Campania non la sconfiggeremo mai. Lo dico non perché sono un pessimista. Al contrario. Non la sconfiggeremo perché il “pensare camorristico” ha messo radici profondissime in tutti. Quel modo di pensare e poi di agire che diventa il terreno paludoso nel quale la malapianta della camorra attecchisce.
Come ho potuto dirle in corridoio, io alle mortificazioni sono avvezzo. Spendo la mia vita di prete nella terra del “ Clan dei Casalesi”. La mia diocesi, Aversa, è quella di Don Peppino Diana. Quante umiliazioni, signor Prefetto. Quante intimidazioni. Quanti soprusi. Quante minacce da parte dei nemici dello Stato o di semplici delinquenti. Ma io dei camorristi non ho paura. Lo so, potrebbero uccidermi e forse lo faranno. Io l’ ho messo in conto fin dal primo momento in cui sono stato ordinato prete.
No, non sono loro che rendono insonni le mie notti. Loro non sono lo Stato. Loro sono i nemici del vivere civile. Loro hanno sempre e solamente torto. Io credo allo Stato.
Alla democrazia. Io credo alla libertà. Io credo alla dignità dell’uomo. Di ogni uomo.
Io spendo i miei giorni insegnando ai bambini, ai ragazzi, ai giovani che non debbono temete niente e nessuno quando la loro coscienza è pulita. Ma aggiungo che bisogna sradicare il fare camorristico sin dai più piccoli comportamenti. Perché tutto ciò che uno pretende in più per sé e non gli appartiene, lo sta rubando a un altro. Perché ogniqualvolta che una persona si appropria di un diritto che non ha, sta usurpando un potere che non
gli è stato dato. Tutti possiamo cadere in queste sottili forme di antidemocrazia. Ecco, signor Prefetto – glielo dico con le lacrime agli occhi – lei stamattina mi ha dato proprio questa brutta impressione. Lei ha calpestato la mia dignità di uomo. Ha voluto mortificare il prete o il volontario impegnato sul dramma dei roghi tossici?
Ha voluto insegnarmi l’educazione – a 57 anni! – o mettermi a tacere perché già immaginava ciò avrei denunciato? Le nostre campagne languono, signor Prefetto. I giovani sono scoraggiati. I tumori sono aumentati a dismisura. La gente muore in questa terra avvelenata e velenosa. Le amministrazioni locali – qualcuno glielo ha ripetuto anche
stamattina – non riescono a tutelare i loro territori e la salute dei loro cittadini. E proprio a costoro viene ricordato il dovere farlo. È una serpe che si morde la coda. Noi abitanti di questi paesi a Nord di Napoli, ci sentiamo prigionieri in questo “ Triangolo della morte” dal quale desideriamo uscire quanto prima, pur sapendo che per tanti di noi i danni alla salute sono ormai irreparabili. Lo facciamo per le generazioni future. Per andare con serenità incontro a sorella morte quando sarà il momento. Ci ripensi. In mezzo a tanti problemi in cui siamo impelagati; mentre nei nostri paesi tanta gente scoraggiata non ha fiducia più in niente e in nessuno; mentre la camorra ancora ci fa sentire il suo fiato puzzolente sul collo; mentre i rifiuti tossici continuano ad essere mbruciati e interrati nelle nostre terre, il signor Prefetto di Napoli, mette alla berlina un prete davanti a una cinquantina di persone,
perché si è rivolto al Prefetto di Caserta chiamandola semplicemente “signora”, anziché “ signora Prefetto”. Incredibile.
Resto, naturalmente, coi miei dubbi. Ai miei diritti non rinuncio facilmente. Ma, mi creda, cerco a mia volta di non invadere quelli di nessuno. Purtroppo, stamattina, credo che lei, signor Prefetto, pur forse senza volerlo, abbia maltrattato e rinnegato i miei.
Le auguro ogni bene.
Il parroco.

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