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Ergastolo a Virga e Mazzara, la mafia che ha ucciso Rostagno. Dopo 26 anni e l’orribile stagione dei depistaggi un po’ di giustizia. Ma ora anche il resto delle istituzioni, Quirinale in testa, rendano giustizia a Mauro

Ergastolo per due mafiosi assassini. E riparazione, dopo ventisei anni costellati di calunnie, infamie, depistaggi, oltraggi, per Mauro Rostagno, la sua famiglia, i suoi amici, per tutte le stagioni di una vita coraggiosamente vissuta e spesa da questo uomo che si è battuto a fronte scoperta contro i cancri della nostra società e a favore degli altri. E che è stato ammazzato in modo vile da una consorteria infame intrecciata con poteri forti.

Una riparazione che inizia oggi con questa sentenza della Corte di Assise di Trapani e che dovrà diventare un ordine del giorno per tante altre istituzioni, a partire dalle più alte, che in questi anni hanno relegato in un angolo polveroso della loro memoria la figura fulgida di un uomo come Mauro Rostagno, dimenticandosi di lui e del suo sacrificio.

Ergastolo dunque per Vincenzo Virga e Vito Mazzara, i due mafiosi condannati per aver ordinato ed eseguito l’omicidio di Mauro Rostagno la sera del 26 settembre del 1988 in contrada di Lenzi a Trapani.

La Corte di Assise di Trapani presieduta da Angelo Pellino ha deciso così, il 15 maggio 2014, dopo oltre 50 ore di camera di consiglio, al termine di un lunghissimo processo iniziato il 2 febbraio 2011 e protrattosi per oltre tre anni e 76 udienze. Accolte le richieste della Procura, Pm Francesco Del Bene e Gaetano Paci (eredi dell’inchiesta avviata originariamente da Antonio Ingroia, presente in aula nell’ultima udienza del 13 maggio).

Poco tempo fa un’intimidazione a un giudice popolare del processo, incendiata ai primi di aprile l’auto di un congiunto a Mazara del Vallo.

I familiari di Rostagno – la figlia Maddalena e la sua  compagna Chicca Roveri – hanno seguito il processo alternandosi nei faticosi e onerosi spostamenti da Torino dove vivono all’aula Falcone di Trapani. In aula oggi anche la sorella Carla.

Ventisei anni per avere un po’ di giustizia e rimediare agli orrori del passato, gestiti da magistrati e carabinieri che non “credevano” nella pista mafiosa e sono arrivati indecentemente ad accanirsi contro gli stessi familiari di Rostagno.

“Le piste diverse da quelle della mafia sono state una vergogna”, così il Pm Gaetano Paci ha sottolineato nella sua requisitoria del processo celebrato ora a Trapani.

E ancora: “Questo processo andava fatto a un anno del delitto”.

Infine: “Ancor oggi Mauro Rostagno resta l’unico giornalista ad aver alzato i toni contro la mafia”.

Condannati Vincenzo Virga, capomandamento della mafia a Trapani da metà degli anni ’80, e il suo killer di fiducia Vito Mazzara, della “famiglia” di Valderice, già campione di tiro al piattello.

Tutti e due sono già in carcere condannati all’ergastolo per altri delitti.

Condannato dunque l’organizzatore dell’agguato, l’imprenditore Vincenzo Virga, già di Forza Italia e in confidenza con Marcello Dell’Utri a cui lo lega una vicenda giudiziaria, capomafia a Trapani da metà degli anni ’80 dopo aver preso il posto dei Minore.

E’ lui, come ha riferito il pentito di mafia Vincenzo Sinacori a ricevere il mandato di liquidare “quello con la barba” dal capomafia don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo l’attuale capo di Cosa Nostra ancore oggi  latitante in quel territorio trapanese in cui è stato ucciso Rostagno.

L’altro pentito Angelo Siino ha detto che Messina Denaro usò la frase “gli spacco le corna”.

Infine il pentito Giovanni Brusca ha riferito di aver parlato con Riina del delitto Rostagno: “Gli chiesi se lui ne sapeva, lui mi ha detto si, si sono tolti questa rogna, questa rottura di scatole, Rostagno era un problema per il territorio di Trapani, i mazaresi avevano tolto quella persona (Rostagno)”.

Durante il processo Vincenzo Virga ha rilasciato dichiarazioni spontanee, Vito Mazzara no. Virga ha tenuto a specificare di essere amico di Matteo Messina Denaro e ha cercato di allontanare da sé l’accusa dicendo che il delitto Rostagno era stato un delitto da Armata Brancaleone.

Vito Mazzara, il secondo condannato, è un killer spietato già campione di tiro. Mazzara è stato inchiodato dalla perizia balistica.

Il mafioso sul suo conto vantava già l’omicidio efferato della guardia penitenziaria Giuseppe Montalto ucciso alla vigilia del Natale ’95 davanti a moglie e figli.

Quel fucile sovraccaricato esploso nel corso dell’agguato a Rostagno è il suo, suo quel modo di striare attraverso vari fucili le cartucce, sua insomma la firma del delitto eseguito in contrada Lenzi.

La perizia sul Dna rinvenuto sul fucile scoppiato l’ha ritenuto compatibile con quello di Vito Mazzara nel rapporto di 1 su 100.000, cioè al 99,9999% è quello di Vito Mazzara. Sullo stesso fucile è stato trovato il dna (A18) di un suo stretto congiunto.

Di Mazzara il pentito Vincenzo Sinacori ha detto: “Ho conosciuto Vito Mazzara, mi ha aiutato durante la latitanza, l’uomo d’onore e rappresentante di Valderice so che è stato nella squadra nazionale di tiro al piattello, penso che la sua abilità nelle armi è stata usata da Cosa Nostra. Se non ricordo male ha commesso l’omicidio Montalto, l’ho saputo da Virga che era stato Vito a sparare a Montalto, non so se era stato in compagnia di altri…”.

Queste in estrema sintesi le accuse che hanno convinto la Corte di Assise di Trapani presieduta da Angelo Pellino a decidere per la colpevolezza dei due mafiosi, dopo che per mesi oltre ad approfondire il ruolo dei due accusati sono state ripercorse anche le cosiddette altre piste di volta in volta riproposte dalle difese dei due imputati. Da parte sua Ingroia, istruttore primo dell’inchiesta riaperta nel 2008, ha ricordato di aver preso in considerazione solo la più che evidente pista mafiosa.

Nell’aula di Trapani però sono stati ripetuti anche vaniloqui come quelli dell’ex trentino  Aldo Ricci, le incredibili storie di Sergio Di Cori, la stanca riproposizione di canovacci su Saman e su Lotta continua che si sono dimostrati per quello che sono, robaccia utile solo per depistaggi e depistatori, raccolta da qualche sperduto e prevenuto cronista che non vuol credere ancora alla mafia come responsabile dell’omicidio. E qualcuno tra questi cronisti si è spinto a irridere le stesse risultanze della perizia balistica su Mazzara. Un atteggiamento vergognoso.

Infine i carabinieri di quel lontano 1988, che non si erano resi conto dell’ascolto di massa avuto da Rostagno a Trapani con le sue trasmissioni in tv e che poi pur sentendo Rostagno su inchieste importanti e rivelatrici come quella sulla massoneria non hanno provveduto a redigerne il doveroso verbale, personaggi come il generale Nazzareno Montanti che sono stati chiamati per ben due volte a riferire e che si sono dichiarati semplici passacarte.

Di tutt’altra pasta i poliziotti, grazie ai quali è stato possibile questo processo proprio per ciò che ha fatto la Squadra Mobile di Trapani, dai tempi allora di Rino Germanà a quelli più recenti di Giuseppe Linares.

E tutto questo è stato puntualmente registrato udienza dopo udienza grazie al lavoro di Rino Giacalone, giornalista di Trapani e quando assente sostituito da altri come Marco Rizzo ed Elisabetta FataMorgana D’AgateGiuliano, e alla pagina creata su Facebook “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno” messa in piedi anche con l’aiuto del maestro bresciano Eugenio Papetti, pagina che ha raccolto finora oltre seimila adesioni.

Grazie a quella pagina e alle registrazioni delle udienze da parte di Radio Radicale – puntualmente messe a disposizione sulla stessa pagina Facebook citata – gli italiani interessati hanno potuto seguire questo processo a cui i media nazionali hanno riservato pochi e sparuti interventi (Repubblica, per fare un esempio recente, è riuscita perfino a relegare in pagina di Palermo la richiesta dell’ergastolo fatta neelle requisitorie dei due procuratori…).

Nelle loro arringhe gli avvocati dei giornalisti (Associazione siciliana, Ordine…) hanno speso parole alte per ricordare la figura di questo giornalista non garantito che è stato Mauro Rostagno.

Anche questo va ricordato dopo anni di silenzi, omissioni, dimenticanze rotti solo qualche anno fa dal Memorial di Washington (Washington negli Stati Uniti e non l’Italia) che ha inserito il nome di Mauro Rostagno insieme a quello di altri tre giornalisti uccisi dalla mafia sul Muro che ricorda i giornalisti uccisi in tutto il mondo.

Ci si augura che qualcosa cambi, a partire dal Quirinale che il 9 maggio di ogni anno ricorda le vittime del terrorismo, delle stragi e della criminalità organizzata.

Ci si augura che a Torino dove è nato e cresciuto e a Palermo dove ha vissuto a lungo negli anni ’70 le amministrazioni si vogliano ricordare di Mauro Rostagno (a Palermo c’è già un’aula comunale a lui intestata, ma forse si può fare qualcosa di più, no?).

In questi tre anni di processo sono state organizzate anche iniziative pubbliche totalmente autogestite per ricordare Mauro Rostagno e il dibattimento in corso in numerose città – da Roma a Milano a Torino a Genova a Catania e a Modica  – , tutte segnate da una buona partecipazione di massa, segno che Mauro è restato e  resta nel cuore di tante persone che lo hanno conosciuto nelle sue tante stagioni di vita.

In queste sedi sono intervenuti con importanti ricostruzioni, memorie, testimonianze – cito alla rinfusa – Benedetta Tobagi, don Luigi Ciotti, Leoluca Orlando, Nando Dalla Chiesa, don Andrea Gallo, Valeria Gandus, Chiara Volpato, Walter Massa, Giulio Cavalli, Marco Boato, Majid Valcarenghi, Guia Sambonet, Francesco Forgione, Gabriella Stramaccioni, Claudio Fava, Pietro Marcenaro, Enrico Deaglio, Manlio Milani, Nicola Caracciolo, Giuseppe Barbera, Vincino Gallo, Celeste Costantino, Federica Tourn, Cecilia D’Elia,  Davide Mattiello, Piero Fassino Lillo Venezia, Sebastiano Yano Reale, Graziella Proto. Nadia Furnari (associazione Rita Atria), Ottavio Cappellani, Luciano Granotti, Daniele Lo Porto (associazione stampa Catania), Daniela Sammito, Carmelo Maiorca, Riccardo Orioles e Rino Giacalone. In queste sedi sono stati letti o proiettati interventi su Mauro di  Dacia Maraini, Erri De Luca, Moni Ovadia,  la famiglia di Giuseppe Pinelli, Roberto Saviano, Giovanni Impastato, Giuliano Pisapia, Carlo Lucarelli. Toni Capuozzo ha realizzato un lungo documentario, Marco Rizzo, Nico Blunda e Giuseppe Lo Bocchiaro hanno fatto una graphic novel.

Per le iniziative pubbliche si ringraziano Vittorio Sclaverani, Sergio Martin, Giorgio Albonetti, Andrea Catarci,  Jole Garuti, Iose Varlese, Paolo Scarabelli, Andrea Brogi (per le foto), Fabrizio Scottoni (che morente dal suo letto in ospedale invitò tutti i suoi amici di Facebook all’iniziativa di Roma), Stefano Moretti (per il manifesto), Stefano Grossi Pepi, Roberto Morini, Tano D’Amico (per aver ritrovato sue  vecchie foto di Rostagno), gli attori Carmen Giardina, Marco Solari, Alessandra Vanzi, Lella Costa, Giulio Cavalli,  il sassofonista Gigi Appodia, il musicista Gaetano Liguori, Ciao Mauro e Giorgio Zacco e tutti gli altri che ho dimenticato.

Infine i numerosissimi disegnatori che gli hanno dedicato tavole e disegni, Milo Manara, Vincino Gallo, Roberto Perini, Altan, Staino, Makkox, Gipi, Vauro, Biani, Riccardo Mannelli, Tanino Liberatore e  tanti altri.

E poi le presentazioni del libro di Maddalena Rostagno “Il suono di una sola mano”, in tante parti d’Italia, da Ferrara a Roma passando per un’infinità di posti.

Ho dimenticato varie altre iniziative, dal festival di giornalismo di Perugia che ha premiato in passato filmati su Rostagno allo spettacolo messo in piedi da Adriana Castellucci “Un uomo vestito di bianco”, all’idea di Paolo Virzì di farne in futuro un film, ma di tutto questo torneremo a parlarne…

Tutto questo per arrivare alla sentenza di oggi che ci restituisce un po’ di giustizia. Nel giorno in cui Maddalena ha compiuto gli anni. Auguri.

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