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Enzo Camerino, i tedeschi di fronte a lui gli avevano ammazzato il padre a calci…

Enzo Camerino, uno degli ultimi sopravvissuti del 16 ottobre, è morto. Aveva 86 anni. Dopo di luiresta solo di quel tragico 16 ottobre del ’43 Lello Di Segni. Voglio ricordare Camerino con questa intervista di un anno fa…
L’intervista  Il sopravvissuto al rastrellamento del Ghetto
«Io in fuga dal lager Uccisero il mio papà prendendolo a calci»
di Brogi Paolo
Si è salvato perché nella notte buia di quel gelato marzo tedesco del ‘45 tentò il tutto per tutto e durante la marcia della morte partita dal lager di Buchenwald scappò in mezzo a un bosco. Lo sguardo di Enzo Camerino che aveva allora sedici anni è asciutto e fiero. «Dissi a mio fratello Luciano, maggiore di me di due anni, e a Lazzaro Articoli: io scappo, voi che fate? — racconta Enzo, oggi 85 anni, da mezzo secolo ormai in Canada a Montreal, col cuore a Roma però dove la vita della sua famiglia è stata brutalmente spezzata —. Luciano mi rispose: ma quelli ci ammazzano… E io: ma che abbiamo da perdere». Poi presi la rincorsa. E loro? Loro mi vennero dietro…».Enzo Camerino è uno degli ultimi che possono raccontare il 16 ottobre del ‘43, la razzia del Ghetto e la deportazione degli ebrei romani nei campi di sterminio. Dei sedici superstiti che poi tornarono — su oltre 1.020 (1.022 o 1.024, il numero è rimasto impreciso) ebrei rastrellati e deportati nei campi di sterminio — restano oggi in vita solo in due: Lello Di Segni e lui. Il Museo della Shoah di Roma ha provveduto a filmare la sua testimonianza solo in questi giorni. Il suo racconto prosegue così: «Attraversammo quei boschi al buio e al freddo, non sapevamo dove stavamo andando, procedevamo a tentoni quando all’improvviso ci fermò un giovane tedesco, un civile, che impugnava una pistola. Sotto la minaccia dell’arma ci trascinò fino all’ufficio di polizia del suo paese. Ma tutt’intorno il cerchio si stava stringendo, americani e russi erano vicinissimi. Ci infilarono allora in un hangar, ma noi riuscivamo ad uscirne per chiedere qualcosa da mangiare alle case intorno. C’era chi dava e chi non dava. Con le coperte trovate nel magazzino ci confezionammo delle specie di vestiti. E poi? Poi approfittando della confusione riuscimmo ad evadere e a piedi, camminando per giorni e notti, ci ritrovammo alla fine a Karlsbad in Cecoslovacchia».Sedici ottobre, erano le cinque del mattino, i tedeschi avevano bussato alla porta di Italo Camerino, piccolo industriale che fino alle leggi razziali aveva prodotto a Monza casette prefabbricate che finivano poi in Abissinia e che poi per sopravvivere era dovuto venire a Roma. Enzo, quattordicenne, e suo fratello Luciano erano in fondo alle scale insieme alla sorella Wanda. «Potevamo scappare, io e mio fratello — ricorda Enzo —. Ma chi ci pensava in quel momento. Ci portarono al Collegio Militare di via della Lungara, quarantotto ore dopo ci fecero salire sui carri piombati e dopo sei giorni di viaggio entrammo nel lager di Birkenau. Lì separarono subito gli uomini dalle donne, quella è l’ultima volta che ho visto mia madre e mia sorella». Birkenau, poi Auschwitz, poi la miniera di Jawischowitz, infine Buchenwald. «A Jawischowitz fu ucciso mio padre, era caduto, lo presero a calci, morì così. Aveva poco più di quaranta anni», ricorda ancora Enzo Camerino. Lui stesso ha rischiato il giorno in cui colse una mela da un albero, un atto proibito e che comportava fucilazione sul posto. «Mi salvai per un pelo. Mi avevano preso sul fatto. Una mela. Per fortuna si limitarono a mandarmi a lavorare a 800 metri di profondità, a scavare carbone».Di Buchenwald, Enzo Camerino ricorda qualche altro internato, come Leone Sabatello, un ragazzo anche lui, morto poco tempo fa a Roma. La fame, la paura, ma anche la voglia di vivere ad ogni costo. C’è anche un amaro Dopoguerra, da registrare, con un ragazzo che al ritorno non ha più famiglia (anche uno zio è stato ucciso nei lager) e che se ne va in giro a raccogliere lattine di alluminio usate in cambio di stracci. Meglio allora inventarsi un nuovo futuro, quello di venditore di ferramenta nel Canada francese. E anche questo Camerino lo dice con occhi asciutti e fieri.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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