Informazioni che faticano a trovare spazio

Lari

Ecco il mio paese natale, Lari,una ventina di chilometri da Pisa. Sono stato nella casa a sinistra i miei primi cinque anni, mia madre mi partorì in quella casa in un appartamento a pianterreno. La contrada, per così dire, si chiamava Casaccia. Non ho mai indagato sull’origine del nome. Certamente non era, credo, per la casa mia che era inserita in un palazzotto d’epoca, all’inizio di via delle Rimembranze. Posto in cui caddi un po’ più grandicello dalla mia bicicletta rossa, rompendomi il gomito sinistro (l’ossetto era l’olecrano, mi spiegò mio padre). Poi con la famiglia ci trasferimmo nel secondo edificio, all’ultimo piano della nuova scuola elementare. Lì, in via Sotto gli orti numero 7,  sono stato fino a 14 anni, per poi andare a Pisa dove sono rimasto per altri undici anni. Intanto era arrivato il ’68 e la vita cambiava di nuovo…

Lari 7

Con mia madre Bruna andavamo molto spesso in campagna e raccoglievamo erbe, la cicoria ma non solo. Mettevamo tutto in un borsone di riquadri di pelle cuciti insieme. Abbiamo raccolto quintali di erbette. Avevamo una cucina economica, sempre accesa. Sopra bolliva l’acqua, dentro ci finivano le erbe, la carne era insaporita con l’aneto e il finocchietto selvatico. Nel salone una grossa radio, ascoltavamo radio Firenze che trasmetteva sceneggiati radiofonici. Che voci…Una vecchia Remington nera nera, alta e austera, troneggiva a lato della scrivania di mio padre, Carlo. Lui era direttore didattico, mia madre maestra. Vittorio, mio fratello (aveva nove anni più di me), intanto smontava e rimontava quasi ogni giorno il motore del suo “Mosquito”, che aveva applicato sulla ruota della bicicletta. Era insomma il suo motorino, mio padre invece usava una Vespa del ’49, quelle prime col cambio a bacchetta. Tutto intorno era campagna, con i piccolissimi centri a corona (Usigliano, Cevoli, Capannile, Aiale, il Colle, Canfreo…). In classe, alle elementari, erano quasi tutti figli di mezzadri. I miei amici erano Paolo (Filippeschi, poi operaio a Pontedera), Roberto (Barsanti, figlio del calzolaio), Claudio (Cipollini)… Ricordo anche una ragazzina, Roberta. In paese c’erano i Martelli, come Mario che con Dino fa il pastaio (pasta Martelli, buonissima, li ringrazio per i pacchi che mi regalano ogni volta che ci vediamo). Giocavamo a pallone in una piazza un po’ in discesa, non era facilissimo. Lì arrivava anche la corriera, quella dei Papucci.

Il 24 giugno organizzavamo grandi falò, per San Giovanni. Noi lo facevamo in una piazzetta alla Casaccia. Il venerdì santo invece scuoiavamo un pezzo del fusto delle giovani acacie del bosco e ripiegandolo su se stesso lo fermavamo con un legaccio in modo che assomigliasse a un randello. Con questo randello, vuoto al suo interno, andavamo poi a battere il sagrato della chiesa, per simulare la flagellazione. Era un gran divertimento, specie molto sonoro. Tra i paesi vicini c’era Crespina, lì a fine settembre c’era la Fiera delle civette, la fanno ancora: tutto il corso del paesino era una sfilata di trespoli con sopra le civette, bellissime e inquietanti con quegli occhi gialli che sentivi sulla nuca appena le avevi superate…

Infine il Castello, che si vede al centro del paese, con un muraglione molto  alto e a picco. Non so come facessimo, ma lo scalavamo (non c’era ancora il climbing) aiutandoci con le fratture dei mattoni rosseggianti. Il punto più difficile e pericoloso era in cima, quando si doveva scavalcare il parapetto. Quando molti anni dopo ho rivisto dal basso il tutto mi sono venuti sudori freddi. Però allora era lo sport preferito dei ragazzi di Lari.

 

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