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Appello per la strage di Brescia: la Procura chiede di riaprire il dibattimento, trovato il casolare in cui Ventura teneva armi ed esplosivi

Processo di appello per la strage di Brescia, prima udienza il 14 febbraio. La Procura chiede di rinnovare parzialmente il dibattimento, ha depositato nuovi capitoli di accusa che riguardano i cinque imputati della strage assolti (per insufficienza di prove) nel processo di primo grado concluso nello scorso dicembre.
Un’assoluzione che ha lasciato sgomenti i familiari delle vittime (otto le vittime della strage del 1974) e che a distanza di 37 anni dall’eccidio è suonata come la nuova, ultima beffa. Ma Brescia democratica non demorde, seguiremo il processo come per il primo grado con la pagina Facebook “Processo di Brescia per la strage del 28 maggio 1974”, che conta oltre 2100 adesioni e alla quale invitiamo ad aderire per chi non l’avesse ancora fatto..
Quii di seguito l’artyicolo appena uscito nelle pagine bresciane del Corriere:
IL 14 FEBBRAIO È FISSATA LA PRIMA UDIENZA DELL’APPELLO
Strage, ecco perché  l’accusa chiede un nuovo processo
Depositata la richiesta di rinnovazione
Il conto alla rovescia adesso corre sul filo dei dettagli. Su una strada investigativa lunga 37 anni che non ha intenzione di mollare. Perchè dopo il verdetto di primo grado che il 16 novembre del 2010 assolve Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti accusati di concorso nella strage di piazza Loggia, l’appello del 14 febbraio prossimo non si preannuncia meno agguerrito. Almeno per la procura che ha depositato ufficialmente la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale. Per arrivare alla verità giudiziaria.
«Nuovi e importanti» gli elementi di prova raccolti grazie all’indagine integrativa. E ruotano attorno a sei capitoli cardine dell’inchiesta. A partire dall’attendibilità di Carlo Digilio, ex agente della Cia: gli inquirenti avrebbero non solo individuato il «casolare di Paese» in cui sarebbero state custodite le armi di Giovanni Ventura, ma avrebbero cercato pure la «casaccia» dove Zorzi avrebbe accompagnato Soffiati nel maggio 1974, per la consegna della «valigetta» che conteneva l’ordigno destinato a Brescia. Da qui la richiesta di risentire Martino Siciliano che nel 1996 avrebbe indicato entrambe le strutture.
E ancora, la bomba. E le conclusioni dei periti originari, Schiavi e Brandone, ulteriormente argomentate dopo il primo grado: a esplodere in piazza sarebbe stato di un esplosivo gelatinoso (dinamite, gelignite) – lo stesso che Digilio avrebbe visto – e non tritolo, partendo dal presupposto che sia «difficile rinvenire tracce incombuste di tali composti chimici». Cruciali, ancora, le veline di Tramonte al Sid di Padova. Quelle inoltrate il 7 giugno’74 sarebbero state consegnate in un unico appunto, «nel quale si attestava che la fonte aveva fornito le notizie tra il 20 giugno e il 7 luglio»: riferiscono della riunione ad Abano Terme – decisiva per l’accusa – e delle parole di Maggi. Ma per la procura sono state relazionate al Sid «tra il 26 maggio e il 7 giugno». E la «falsità della predetta indicazione temporale» sarebbe stata confermata anche da Fulvio Felli ufficiale dei carabinieri il 4 gennaio scorso: dichiarazioni che darebbero credito all’effettiva partecipazione di Tramonte all’incontro. Per la procura Felli va risentito in appello. Come pure Alberto (con il fratellastro Domenico) figlio di Giovanni Maifredi e Clara Tonoli, che il 20 gennaio scorso «ha chiarito che il padre naturale, a dire della madre, lavorava per conto del Sid e aveva avuto il “merito” di evitare che la strage venisse compiuta in un asilo». Non da ultimi, «la presenza politica di Zorzi a Mestre nel’74», o «i rapporti di Delfino con Buzzi e con i carabinieri di Padova». Ecco perchè la strada verso la verità deve passare, per la procura, da un nuovo dibattimento.
Mara Rodella

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