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L’Ikea ha fatto i conti con lo sciopero dei lavoratori immigrati

Riprendo da terrelibere.org:

La rivolta dei “conferiti”. Lo sciopero dei migranti contro Ikea

Il polo logistico milanese in rivolta. Storia di una vittoria

Antonello Mangano

Scioperi, picchetti e blocchi da settimane coinvolgono tutti i centri della logistica intorno a Milano. Il più noto di questi è quello di Ikea. Cinquecento lavoratori e settecentomila metri quadri di superficie in cui convergono i prodotti che saranno poi spediti ai 20 negozi italiani, 2 svizzeri e 19 del Mediterraneo orientale. Da ottobre a oggi, la tensione è altissima. A fine ottobre gli scontri violenti tra manifestanti e polizia hanno suscitato la protesta del console egiziano, dato che molti lavoratori coinvolti sono di quel paese. Secondo il sindaco di Piacenza, «parte dei lavoratori è conferita attraverso un accordo con un consorzio di cooperative». «Veniamo pagati 7,90 euro lordi», racconta un operaio a una radio di Bologna. Dopo il blocco del 17 dicembre il centro commerciale è stato costretto a chiudere, subendo un grave danno.

L`ultima vertenza si è conclusa col reintegro di otto lavoratori. «Rifiutano di lavorare in siti diversi da Ikea», secondo l`azienda. Uno spostamento punitivo, dicono i sindacati. E protestano anche contro il consorzio di cooperative CGS, accusato di sfruttare i suoi lavoratori. «Gli orari multiperiodali risultano esempi di eccellenza per il settore» ci dice Valerio Di Bussolo, responsabile relazioni Esterne di IKEA Italia. Si tratta di 39 ore settimanali calcolate come media nell`arco di 12 mesi. «CGS, gestendo una pluralità di appalti riesce, grazie alla conseguente flessibilità, ad offrire un buon livello di efficienza organizzativa», spiega Di Bussolo. «Dal 2000 il Gruppo IKEA si è dotato di un codice di condotta articolato e rigoroso (IWAY) per garantire che il prezzo basso dei suoi prodotti non sia un risultato ottenuto grazie a condizioni sociali e ambientali inaccettabili», ribatte l`azienda. «In tutto il mondo vogliamo un rapporto di dialogo basato sul rispetto totale dei diritti dei lavoratori». Nel comprensorio piacentino c`è allarme. Istituzioni e sindacati confederali temono che la multinazione svedese vada via bruciando 500 posti di lavoro. «Confidiamo nel fatto che le intese che verranno raggiunte mettano fine all`attuale quadro di incertezza che rischia di minare l`attuale assetto occupazionale del territorio», risponde l`azienda nata in Svezia.

Dall`altro lato c`è Aldo Milani, segretario del Si Cobas: «Ci sono lavoratori che scaricano 130 chili all`ora. Ogni anno le cooperative cambiano nome, col risultato di evadere i contributi pensionistici. Abbiamo visto consorzi che hanno anche 2000 dipendenti. È modello italiano, negli altri paesi non è così. Con infrastrutture molto deboli di trasporto, basate sul gommato, la flessibilità e il basso costo del lavoro sono gli unici strumenti per essere competitivi a livello internazionale».

Nei grandi piazzali avvolti dalla nebbia e nei blocchi alle cinque del mattino, sta nascendo una nuova generazione di sindacalisti. Luis Seclan e Mohamed Arafat sono i nomi più noti. Sono migranti da tempo in Italia e ormai consapevoli della loro importanza nel cuore del sistema economico. Non tollerano né lo sfruttamento né umiliazioni venate di razzismo.

Ma non c`è solo Ikea. Tutte le piattaforme logistiche intorno a Milano sono in agitazione. Gli scioperi hanno coinvolto marchi noti come Esselunga e Coop e corrieri come SDA e TNT. Il blocco è lo strumento più usato. Gli scioperanti impediscono l`ingresso dei «crumiri» e l`uscita delle merci. Nel giugno 2012, nel corso di un picchetto nel centro commerciale di Basiano, l`intervento della polizia è terminato con gambe spezzate e un lavoratore in coma per qualche ora. Sette operai sono finiti in ospedale. Lo sciopero è nato dopo la lettera di licenziamento per decine di operai della cooperativa Sinergy. Nei giorni successivi sono poi stati licenziati altri tredici operai di un`altra cooperativa che avevano sostenuto lo sciopero dei colleghi. I sostituti, invece, guadagnano 4,50 € l`ora invece dei 9 previsti dal contratto nazionale.

Dove la crisi non è arrivata

La logistica, nonostante la crisi italiana, è in forte crescita. Centri commerciali, e-commerce e spedizionieri hanno registrato negli ultimi anni utili importanti. La «Regione Logistica Milanese» (RLM) è il cuore italiano di questo sistema. Un grande quadrilatero con ai vertici Novara, terminal intermodale lungo l`asse Genova-Rotterdam; la provincia di Como e il confine svizzero; a est Bergamo, l`aeroporto di Orio al Serio; infine a sud Piacenza, con il polo logistico dove sono presenti tra gli altri Amazon e Ikea.

Le merci viaggiano dai fornitori alle grandi piattaforme e da lì partono per i punti vendita. I prodotti che troviamo sui banconi o che ci arrivano a casa dopo un ordine virtuale su Internet, sono fisicamente spostati da braccia peruviane, pakistane, egiziane.

I lavoratori non tollerano condizioni di lavoro sempre più precarie in mezzo alla ricchezza dei loro padroni. Contando su contratti di lavoro a tempo indeterminato o buone prospettive economiche, negli anni hanno messo su famiglia, acceso mutui, mandato i figli a studiare. Il costo degli affitti e delle tasse è diventato sempre maggiore, gli stipendi reali sono diminuiti. E così è iniziata un`ondata di scioperi imponenti, sostenuta da piccoli sindacati indipendenti – non da quelli maggiori – e dalla solidarietà dei centri sociali, di studenti e attivisti. Scioperi veri, con i picchetti. Segnati da violenti scontri con la polizia.

«Vogliamo il timbratore»

Bollate è un altro centro della periferia milanese. I lavoratori della cooperativa «Ala» – quasi tutti migranti – sono incaricati di imballare i prodotti della Cotril, un`azienda di cosmetici. Chiedono «un timbratore che verifichi le ore lavorate». Il sindacato parla di «salari da fame» e mancato rispetto del contratto nazionale.

Claudio Frugoni, avvocato, si occupa della tutela legale dei lavoratori di Basiano, un altro paese nei pressi di Milano famoso per i centri commerciali: «Questa è una lotta di lavoratori, non antirazzista. La cooperativa è diventata una forma mascherata di caporalato, anche se formalmente legale. La copertura è quella del ‘socio lavoratore`. Il problema principale è il lavoro straordinario oltre le 8 ore. E le punizioni. I capi dicono: ‘Ti lascio a casa per qualche giorno perché non c`è lavoro`. Ma in realtà è un castigo». Nelle cooperative non si applica l`articolo 18 che in Italia regola i licenziamenti. E molte cooperative sono monocommittente. Anzi, per essere più esatti, ‘monomagazzino`. I presidenti sono spesso ex capireparto che fanno quel lavoro da una vita. Le cooperative, nate per la tutela dei lavoratori, oggi sono un fondamentale strumento di sfruttamento. Nabil Hassan, sindacalista SI Cobas, dice che il sistema ricorda il caporato dell`agricoltura: «Il 90% delle cooperative non ha mezzi dentro l`azienda e non sceglie l`orario di lavoro».

«I premi sono importanti ma il rispetto del lavoro ancora di più». Con queste parole Ken Loach rifiutava il premio alla carriera offerto dal Festival di Torino. Era il 12 novembre. Il regista inglese non protestava solo per le condizioni dei lavoratori della cooperativa incaricata della logistica. Il suo era un gesto contro un intero sistema, quello dell`esternalizzazione.

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