Dal Piacere alla Dolce vita, settant’anni di Roma rivisti da Debenedetti e Borgna
venerdì, 12 Febbraio, 2010Chi era la bella Otero? I ragazzini del professor Quercia, insegnante di lettere nella scuola media Foscolo, impallidivano e correvano a cercare nelle enciclopedie o su internet. Ad aiutarli spesso i genitori. Un modo per occuparsi di storia e di Roma. Caroline Oterò, lo Otero che dir si voglia, del Salone Margherita ai suoi albori, brilla a pagina 36 del nuovo libro che ridisegna la storia moderna della Capitale: Dal Piacere alla Dolce vita, il titolo. Sottotitolo Roma 1889-1960, una capitale allo specchio. A redigerlo per Mondadori Electa lo scrittore Antonio Debenedetti, qui a perfetto suo agio nelle rapide messe a fuoco di settant’anni di vita culturale di Roma come che come ha scritto Sandro Veronesi è un maestro indiscusso del racconto italiano. E con lui Gianni Borgna, l’ex assessore alla cultura e oggi presidente dell’Auditorium. “Il Piacere” è il famoso testo che rivelò Gabriele D’Annunzio e con lui una città piuttosto libertina, sempre più da belle époque e un po’ meno da “sagrestia del Papa” come in quegli anni aveva denunciato il primo grande sindaco di Roma, Cesare Pianciani, ex garibaldino dei Mille. E la “Dolce vita” di Fellini tutti sanno che cos’è stata, proprio ora che si stanno per compiere i primi cinquant’anni di vita da quella prima proiezione all’Anteo di Milano. In mezzo c’è questo lungo filo serpeggiante che ci consegna una città nata quasi borgo e diventata in poco tempo una metropoli che ha il gusto della vita e dei piaceri terrestri. Roma, insomma. Vista attraverso una lunga galleria di personaggi che l’hanno vissuta e animata, compresi tanti volti cosiddetti minori da recuperare come Irene Brin giornalista protagonista della moda, Plinio De Martiis grande gallerista, Mario Soldati scrittore di cinema e acquarellista di talento nei suoi schizzi letterari su Blasetti., Camerini, il primo Gassman.
All’inizio c’è dunque la città che è poco più di duecentomila abitanti, ma che a grandi passi in preda a una febbre palazzinara strabiliante fa il primo grande salto. Scrive D’Annunzio ottimo giornalista del momento: “Il piccone, la cazzuola e la malafede furono le armi…”. E’ il sacco di Roma quando “da una settimana all’altra, con una rapidità quasi chimerica, sorgevano dalle fondamenta riempite di macerie le gabbie enormi e vacue, costellate di buchi rettangolari, sormontate da cornicioni posticci, incrostate di stucchi obbrobriosi…”. Molte pagine la ricostruizione tentata da Debenedetti e Borgna approda al racconto finale che Bernardo Bertolucci ci fa della prima proiezione privata della Dolce vita, a cui assistè col padre, Pasolini e Bassani. Era una copia con la colonna sonora originale, una babilonia di lingue, italiano, inglese, svedese. E fuori campo Fellini che in falsetto diceva: Anitona, oca, sorridi.
“Abbiamo riannodato un filo che corre sotterraneo tra la città ufficiale e quella del piacere”, spiega Debenedetti. E Borgna: “Gli snodi fondamentali? La discussione iniziale sul tipo di città da costruire, poi il glamour di una città anche libertina,, l’arrivo da Torino del cinema e poi le nuove tecnologie, l’inquietudine europea portata da Pirandello, il fascismo e poi il dopoguerra neorealista…fino a Fellini, appunto”. Sorprese? Un duello tra Bontempelli e Ungaretti nel giardino di via Fea a casa Pirandello, i salotti (da Cecchi alla De Cespedes), un inedito di La Capria sulla Dolce vita. E foto spesso strepitose.
Paolo Brogi Corriere della sera RIPRODUZIONE RISERVATA
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