Informazioni che faticano a trovare spazio

Fosse Ardeatine, le iniziative

Ventiquattro marzo. L’ordine è stato eseguito…Così Roma e l’Italia, sessantasei anni fa, seppero che era stata perpetrata la strage delle Fosse Ardatine. Un piccolo, burocratico comunicato del comando tedesco, a cose fatte, sul “Messaggero”. Nient’altro. Poi a giugno e a luglio, con Roma sotto il comando americano, la tentazione fino all’ultimo era di seppellire tutto sotto un gran manto di calce. Fu il dottor Ascarelli poi a disseppellire il cumulo di morti e a consentire il riconoscimento delle vittime, un’opera complessa e difficilissima in quell’estate del ’44.
Mercoledì mattina alle 9,30, alla pressenza del Capo dello stato, la cerimonia come ogni anno alle Fosse Ardeatine dove Rosetta Stame, a nome dell’Anfim, leggerà un breve testo. La figlia di uno dei 335 martiri – il tenore Nicola Ugo Stame – risponderà nel testo anche ad alcune sollecitazioni di studenti.

 Alle 13 poi Rosetta Stame, col sindaco Alemanno, inaugurerà la lapide che ricorda i nomi dei dieci cittadini arrestati per rappresaglia dai tedeschi in via Rasella subito dopo l’attentato e poi fucilati insieme agli altri ostaggi presi da Regina Coeli. La lapide sarà posta a Palazzo Barberini

Alle 17 infine, alla Casa della Memoria in via San Francesco di Sales, una serie di interventi concluderanno la giornata. Moderatrice Maria Grazia Lancellotti presidente dell’Anppia romana.

In un articolo sul Corriere della serra di domenica ho dato notizia dell’operazione che Onorcaduti ha finalmente deciso di avviare: riaprire i dodici sepolcri rimasti senza nome (tra le 335 tombe del Sacrario) per cercare di dare un volto a questi caduti ignoti. In quelle tombe probabili resti di Salvatore La Rosa (sopra nella foto), Marco Moscati, Cosimo Di Micco, prelevati con gli altri prigionieri da Regina Coeli per essere trasportati alle Fosse Ardeatine e poi mai più trovati. E forse ci potrebbero essere anche i resti di un soldato tedesco, ucciso per essersi rifiutato di sparare agli ostaggi. Una storia che, si dice, era nota a Gigliozzi e a Giuliano Vassalli.

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