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La guerra delle ciambellette

IL COMPOSTO USATO PER I TRADIZIONALI DOLCETTI PASQUALI DEGLI EBREI DI ROMA

E sulla farina per le ciambellette
gli ebrei di Roma vanno in crisi

Rav Amar da Israele: nel ghetto romano non va usato lo «chametz» vietato. Di Segni: solo vendita con «kasherut»

ROMA – La guerra delle ciambellette. Da giorni, al Ghetto, non si parla d’altro. «Mai vista una Pasqua così», è il commento più diffuso. Sui muri della piazzetta centrale del ghetto, in attesa dell’imminente Pesach ebraica, sono comparse numerose scritte. La più eloquente è: «Ciambellette per tutti», «farina libera». Un’altra si chiede: «Oggi farina, domani?». Una terza inveisce contro un rabbino capo di Israele.

La battaglia della farina sui muri al Ghetto (Brogi)
La battaglia della farina sui muri al Ghetto (Brogi)

ASSEMBLEA IN SINAGOGA – Oggi, al termine di un’infuocata settimana, si terrà un’assemblea dentro la Sinagoga, dove il rabbino capo Riccardo Di Segni cercherà di spiegare di nuovo le ultimissime direttive appena date: sì all’uso di farina kasherut negli esercizi controllati, no alla vendita al dettaglio di farina non controllata, attenzione alla farina che usate a casa e che può contenere lievito. Una direttiva nata dopo l’improvvisa sconfessione arrivata da Israele su buona parte della farina romana in circolazione. Sulla Pesach ebraica di quest’anno è piombato un fulmine a ciel sereno: vietata la vendita al dettaglio di farina non controllata, vietato l’uso di farina sospettata di «chametz» anche nelle case.
FARINA PROIBITA – Per la prima volta nella sua lunga storia la comunità ebraica di Roma si è trovata a fare i conti con un ordine venuto da Israele, dal rabbino capo Amar che sollecitato da un giovane rabbino romano ha proibito l’uso non sorvegliato dal rabbinato di farina per fare il tradizionalissimo dolcetto degli ebrei romani, le ciambellette. Fatte di sola farina, uova e zucchero, sostituiscono i biscotti che contengono invece il lievito. Il lievito, cioè il «chametz», è vietatissimo per la Pesach. Rappresenta l’Egitto e la schiavitù. Si produce «chametz» quando il grano incontra l’acqua, operazione che può avvenire nella separazione dei chicchi dalla crusca. Il sistema kasher esclude l’acqua. L’uso dell’acqua produce inevitabilmente lievito. E così ecco la scoperta: non tutta la farina in circolazione è garantita.

Cartelli su esercizi alimentari nel Ghetto (Brogi)
Cartelli su esercizi alimentari nel Ghetto (Brogi)

IL CASO – A far scoppiare la grana è stato un giovane rabbino romano,Ronnie Canarutto, che ha posto il problema della farina che può contenere «chametz». L’ha fatto chiedendo un consiglio al rabbino capo d’Israele, Rav Amar. E il rabbino capo sefardita e di Rishon LeZion, ha risposto con un nettissimo no: vietatissima la farina che può contenere «chametz». Per una settimana, dopo la risposta arrivata da Israele, questa è diventata la nuova frontiera del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. All’intimazione di Rav Amar il rabbino capo ha risposto con una lunga relazione sul problema, che non ha superato però il no. Neanche una lunga telefonata intercorsa tra le due autorità religiose è servita a superare la netta chiusura. Alla fine il Beth Din romano, che riunisce tutti i rabbini, ha convenuto che non si può andare contro Rav Amar. Il rabbino israeliano non ha un rapporto come il Papa col resto della chiesa, una tradizionale autonomia è data per tutti i rabbinati, però non può neanche non essere tenuto in considerazione adeguata.
CIAMBELLE CONTROLLATE – La soluzione romana è stata a quel punto di garantire la produzione di ciambellette tramite la pasticceria controllata dal kasherut, ottenendo in più una parte della produzione a prezzi calmierati (le ciambellette costano 14 euro al kg). Ammessa anche l’uso di farina in ogni altro esercizio controllato. Vietato tutto il resto. E cioè, di fatto, la produzione in proprio delle costose ciambellette che molte famiglie si confezionavano con farina di cui disponevano a casa. Tutta questa lunga diatriba, che ha portato al divieto nei confronti della farina kasher Le Pesach, ha costretto rav Di Segni a una lunga lettera in cui si riassume la questione, compreso il dibattito sorto sulla liceità o meno dell’ordine arrivato da Israele.

(Brogi)
(Brogi)

IL RABBINO DI ROMA – Le obiezioni della gente del Ghetto? Rav Di Segni le elenca: «Come si permette questo rabbino di dettare legge a distanza, di cambiare le nostre tradizioni, di mancare di rispetto a tutta la comunità; non abbiamo papa e gerarchie, ogni comunità è autonoma; se ci facciamo imporre questo rigore come ci salveremo da altre imposizioni…». E poi lui che risponde alle proteste, obiezione per obiezione (leggibile online sul blog http://leconomistamascherato.blogspot.com/search?q=battaglia+del+grano). «Proibiamo la farina negli esercizi che sono controllati – spiega a voce il rabbino capo -. Ci siamo adeguati al divieto di vendita al dettaglio. Quella farina lì non è controllata». Naturalmente è sorto un gruppo su Facebook che invece si oppone con fermezza all’ordine: «Per chi non accetta la decisione di togliere la farina per Pesach». Intanto la Pesach si avvicina. A garantire la tradizione sarà l’azzima, il pane senza lievito. E poi tutti riuniti a tavola per il seder, la cena della sera prima, in cui si consumano i cibi dal grande significato: il sedano, le erbe amare, la lattuga, la zampa di capretto, l’uovo sodo e l’haroset, la marmellata preparata con frutta secca, noccioline e vino.

Paolo Brogi
22 marzo 2010© Corriere della Sera RIPRODUZIONE RISERVATA

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