Nabila Djahnine, ammazzata 15 anni fa
mercoledì, 17 Marzo, 2010 Quindici anni fa, moriva la mia amica Nabila. Era il 15 febbraio del 1995. Tornavo da Algeri. Stavo preparando un salone del libro a Ath Yanni, il mio piccolo comune di residenza di allora. Ma mi sono fermato a Tizi Ouzou, il capo luogo della Cabilia del Giurgiura, perché avevo appuntamento con lei.
Lei era Nabila Djahnine militante di sinistra, sindacalista, attivista del Movimento Culturale Berbero e soprattutto una delle leader femministe più in vista del momento.
Era alla testa di una associazione locale di donne “Thighri Netmettuth” (grido di donna), ma cercava insime ad altre attiviste di lanciare un forte coordinamento nazionale di associazioni feminili.
Nella piccola cittadina di Tizi Ouzou era quasi onnipresente. Scioperi, manifestazioni, scontri di piazza, assemblee, incontri sindacali, incontri di donne… Era accanto a tutti quelli che lottavano per una causa giusta. Era l’unico sostegno delle donne lavoratrici sempre considerate ultimo ruota del carro. Lottava accanto alle donne senza dimora fissa, cacciate da casa a causa di una legge profondamente ingiusta…
La politica, Nabila, nata a L’Houma Oubazin, il quartiere più popolare di Bejaia, la capitale della Cabilia della Soumam, ci era caduta dentro da piccola. Il suo padre, uomo di discreta cultura, ha sempre incoraggiato i suoi numerosi figli a cercare a capire di più, a discutere tutto, a non accontentarsi mai di risposte facili.
È invece il fratello maggiore a trascinare tutta la squadra di fratelli e sorelle nel girone del Gruppo Comunista Rivoluzionario (GCR), un partito clandestino di sinistra radicale (IV internazionale). Fin da piccola scopre che si può essere di sinistra senza accettare le contraddizione dell’URSS e dei partiti comunisti ortodossi.
Segue il cammino dei fratelli maggiori ma presto li sorpassa in attivismo e in perspicacia. Quando l’ho conosciuta era il punto di riferimento di tutto il movimento in Cabilia del Giurgiura e faceva parte della direzione nazionale del partito.
Nel Frattempo, era arrivata la fine degli anni 80, l’era del partito unico era finita e i GCR si sono registrati regolarmente all’elenco dei partiti riconosciuti sotto il nome di Partito Socialista dei lavoratori (PST). Lei era l’animatrice principale del movimento nella nostra regione e io avevo deciso di iscrivermi. Con lei ho imparato l’abc della militanza.
In quel giorno del 1995, quando abbiamo deciso di vederci per parlare di alcuni progetti comuni, entrambi per ragioni molto simili non eravamo più militanti del PST da un po’, ma eravamo rimasti molto attivi e la nostra relazione ormai da anni aveva superato la mera sfera della “commilitanza” per svilupparsi in una tenera e sincera amicizia.
Verso l’inizio del pomeriggio arrivai da Algeri e mi misi ad aspettarla nel luogo dell’appuntamento. La giornata era bella. La primavera in Cabilia è una vera esplosione di colori e di profumi e in quei primi giorni di febbraio se ne sentiva già la vicinanza. La guerra che infuriava in varie parti del paese, le stragi, le uccisioni di intellettuali, giornalisti, attivisti, il nervosismo,la paura, l’angoscia… tutto quello seduto al terrazzo del caffè a sorseggiare una limonata e a godermi il sole, mi sembravano così lontani. Invece era tutto lì, vicino a me. Non mi resi nemmeno conto di alcuni spari in lontananza. Per noi era ormai routine.
Attesi a lungo ma nessuna traccia di Nabila. Andai in una cabina pubblica e chiamai il suo ufficio… nessuna riposta. Mentre tornavo qualcuno disse ad un altro, ad alta voce, senza fermarsi: “C’è stato un attentato. Hanno ucciso una architetto, vicino al carcere!”
Quella frase mi colpì. Mi riportò al quotidiano di violenza e morte che vivevamo in quelli anni. “Ancora una!” dissi tra me e me “non finirà mai questa storia!”
Ma non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che quella “una”, quella “architetto” era Nabila, la mia amica.
Dopo aver atteso a lungo me ne andai vagamente arrabbiato con lei. I nostri mezzi di comunicazione erano molto scarsi. Mi dissi che forse ha avuto un impedimento ma non ha potuto avvertirmi. La notizia mi arrivò soltanto una volta arrivato a casa. L’indomani all’alba ero sul pullman verso Bejaia. Le lacrime scorrevano sulle mie guance senza fermarsi. Non riuscivo a spiegarmi perché. Perché lei? Perché adesso? Per quale motivo? Non riuscì a vederla arrivai dopo il funerale. Ma mi dissero che nessuno l’ha vista. Le avevano sparato alla faccia. Era meglio non vederla.
Oggi, quindici anni dopo, non si sa chi l’ha uccisa. Forse erano integralisti che si fingevano poliziotti o poliziotti che si fingevano integralisti. Ma Credo di capire il perché. Nabila era una figura di donna onesta e combattiva rifiutava di sottomettersi al diktat degli islamisti ma non rinunciava a denunciare la violenza e la corruzione del regime. Non accettava la logica del meno peggio. Non poteva sopravvivere.
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