Quindici anni fa, moriva la mia amica Nabila. Era il 15 febbraio del   1995. Tornavo da Algeri. Stavo preparando un salone del libro a Ath  Yanni, il mio piccolo comune di residenza di allora. Ma mi sono fermato a  Tizi Ouzou, il capo luogo della Cabilia del Giurgiura,   perché avevo appuntamento con lei.
Lei era Nabila Djahnine militante di sinistra, sindacalista,  attivista del Movimento Culturale Berbero e soprattutto una delle leader  femministe più in vista del momento.   
Era alla testa di una associazione locale di donne “Thighri  Netmettuth” (grido di donna), ma cercava insime ad altre attiviste di  lanciare un forte coordinamento nazionale di associazioni     feminili.   
Nella piccola cittadina di Tizi Ouzou era quasi onnipresente.  Scioperi, manifestazioni, scontri di piazza, assemblee, incontri  sindacali, incontri di donne… Era accanto a tutti quelli che     lottavano per una causa giusta. Era l’unico sostegno delle donne  lavoratrici sempre considerate ultimo ruota del carro. Lottava accanto  alle donne senza dimora fissa, cacciate da casa a causa di     una legge profondamente ingiusta…   
La politica, Nabila, nata a L’Houma Oubazin, il quartiere più  popolare di Bejaia, la capitale della Cabilia della Soumam, ci era  caduta dentro da piccola.  Il suo padre, uomo di discreta     cultura, ha sempre incoraggiato i suoi numerosi figli a cercare a  capire di più, a discutere tutto, a non accontentarsi mai di risposte  facili.   
È invece il fratello maggiore a trascinare tutta la squadra di  fratelli e sorelle nel girone del Gruppo Comunista Rivoluzionario (GCR),  un partito clandestino di sinistra radicale (IV     internazionale). Fin da piccola scopre che si può essere di sinistra  senza accettare le contraddizione dell’URSS e dei partiti comunisti  ortodossi.   
Segue il cammino dei fratelli maggiori ma presto li sorpassa in  attivismo e in perspicacia. Quando l’ho conosciuta era il punto di  riferimento di tutto il movimento in Cabilia del Giurgiura e     faceva parte della direzione nazionale del partito.   
Nel Frattempo, era arrivata la fine degli anni 80, l’era del partito  unico era finita e i GCR si sono registrati regolarmente all’elenco dei  partiti riconosciuti sotto il nome di Partito     Socialista dei lavoratori (PST). Lei era l’animatrice principale del  movimento nella nostra regione e io avevo deciso di iscrivermi. Con lei  ho imparato l’abc della militanza.   
    
In quel giorno del 1995, quando abbiamo deciso di vederci per  parlare di alcuni progetti comuni, entrambi per ragioni molto simili non  eravamo più militanti del PST da un po’, ma eravamo rimasti     molto attivi e la nostra relazione ormai da anni aveva superato la  mera sfera della “commilitanza” per svilupparsi in una tenera e sincera  amicizia.   
Verso l’inizio del pomeriggio arrivai da Algeri e mi misi ad  aspettarla nel luogo dell’appuntamento. La giornata era bella. La  primavera in Cabilia è una vera esplosione di colori e di profumi e     in quei primi giorni di febbraio se ne sentiva già la vicinanza. La  guerra che infuriava in varie parti del paese, le stragi, le uccisioni  di intellettuali, giornalisti, attivisti, il     nervosismo,la paura, l’angoscia… tutto quello seduto al terrazzo  del caffè a sorseggiare una limonata e a godermi il sole, mi sembravano  così lontani. Invece era tutto lì, vicino a me. Non mi     resi nemmeno conto di alcuni spari in lontananza. Per noi era ormai  routine.   
Attesi a lungo ma nessuna traccia di Nabila. Andai in una cabina  pubblica e chiamai il suo ufficio… nessuna riposta. Mentre tornavo  qualcuno disse ad un altro, ad alta voce, senza fermarsi:     “C’è stato un attentato. Hanno ucciso una architetto, vicino al  carcere!”   
Quella frase mi colpì. Mi riportò al quotidiano di violenza e morte  che vivevamo in quelli anni. “Ancora una!” dissi tra me e me “non finirà  mai questa storia!”   
Ma non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che quella “una”, quella  “architetto” era Nabila, la mia amica.   
Dopo aver atteso a lungo me ne andai vagamente arrabbiato con lei. I  nostri mezzi di comunicazione erano molto scarsi. Mi dissi che forse ha  avuto un impedimento ma non ha potuto avvertirmi. La     notizia mi arrivò soltanto una volta arrivato a casa. L’indomani  all’alba ero sul pullman verso Bejaia. Le lacrime scorrevano sulle mie  guance senza fermarsi. Non riuscivo a spiegarmi perché.     Perché lei? Perché adesso? Per quale motivo? Non riuscì a vederla  arrivai dopo il funerale. Ma mi dissero che nessuno l’ha vista. Le  avevano sparato alla faccia. Era meglio non vederla.   
    
Oggi, quindici anni dopo, non si sa chi l’ha uccisa. Forse erano  integralisti che si fingevano poliziotti o poliziotti che si fingevano  integralisti. Ma Credo di capire il perché. Nabila era una     figura di donna onesta e combattiva rifiutava di sottomettersi al  diktat degli islamisti ma non rinunciava a denunciare la violenza e la  corruzione del regime. Non accettava la logica del meno     peggio. Non poteva sopravvivere.

