Processo per la strage di Piazza della Loggia: il punto
domenica, 7 Marzo, 2010Il punto sul processo per la Strage di Piazza della Loggia.
Va avanti nella disattenzione generale il processo a Brescia per la strage di piazza della Loggia in cui il 28 maggio 1974 morirono 8 persone e altre 94 rimasero gravemente ferite.
Le vittime si chiamavano Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali,Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi e Vittorio Zambarda.
La bomba, nascosta in un cestino sotto i portici, esplose durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista.
Dopo i morti di Piazza Fontana c’erano stati i morti di Peteano e quelli della strage alla Questura di Milano. Poi dopo la strage di Brescia sarebbe venuta, nell’agosto di quello stesso 1974, la strage del treno Italicus che fece altri 12 morti e 48 feriti, ma il bilancio avrebbe potuto essere ancor più sanguinoso se la bomba fosse esplosa mentre il treno era ancora in galleria.
Piazza della Loggia appartiene dunque a quella fosca stagione in cui è stato operativo lo stragismo riconducibile a un micidiale impasto di serrtvizi deviati, ufficiakli infedeli e golpisti, neofascisti e nazisti.
A Brescia la Corte d’Assise presieduta da Enrico Fischetti è chiamata a giudicare sei rinviati a giudizio il 15 maggio del 2008: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi e Pino Rauti, accusati di aver ordito la strage. Maifredi è intanto morto la scorsa estate.
I rinviati a giudizio Zorzi, Maggi e Tramonte erano all’epoca militanti di spicco di Ordine Nuovo, gruppo neofascista fondato nel 1956 da Pino Rauti (suocero di Gianni Alemanno) e più volte oggetto di indagini, pur senza successive risultanze processuali, in merito all’organizzazione ed al compimento di attentati e stragi. Ordine Nuovo fu sciolto nel 1973 per disposizione del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani con l’accusa di ricostituzione del partito fascista. Gli altri rinviati a giudizio sono l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino all’epoca responsabile – con il grado di capitano – del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, e Giovanni Maifredi, ai tempi collaboratore del ministro dell’Interno Taviani.
La prima udienza si è tenuta i l 25 novembre 2008, il processo è oggi arrivato alla centesima udienza. Inquietante e centrale appare sempre più la figura dell’ufficiale dei CC Delfino, legato ai vertici piduisti che guidavano all’epoca la divisione dei c carabinieri Pastrengo.
Questa è la terza volta che la magistratura si occupa della strage.
La prima istruttoria della magistratura portò alla condanna nel 1979 di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di loro,Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d’appello, fu strangolato il 13 aprile 1981 dai fascisti Pieluigi Concutelli e Mario Tuti.
Nel secondo grado di giudizio, nel 1982, le condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, confermate poi nel 1985 dalla Cassazione.
Un secondo filone di indagine, sorto nel 1984 a seguito delle rivelazioni di alcuni pentiti, mise sotto accusa altri rappresentanti della destra eversiva e si protrasse fino alla fine degli anni ’80; gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena. La Cassazione, qualche mese dopo, confermò il proscioglimento.
Un dato comunque era comune a queste due prime istruttorie: il coinvolgimento di rami dei servizi segreti e di apparati dello Stato nella strage.
Il terzo dibattimento – di cui stiamo fornendo i resoconti del quotidiano locale “Bresciaoggi”, unico media che segue con assiduità il processo (vedi i cinque resioconti già pubblicati, rintraccuiabili con la tag “Processo di Brescia”) – ha finora fatto acquisire un ulteriore elemento: l’attentato fu organizzato con un obiettivo molto preciso, colpire i carabinieri, che in effetti durante le manifestazioni sostavano sotto i portici della piazza.
Scopo dell’attentato era accusare la sinistra anarchica e creare le premesse per una svolta autoritaria. Insomma non una bomba “dei fascisti contro i comunisti”, ma un disegno molto più perverso, cinico e ampio. Quel giorno a Brescia però qualcosa andò di traverso: la pioggia costrinse infatti i carabinieri a ritirarsi nel vicino cortile del palazzo della prefettura, per lasciare spazio ai manifestanti che si riparavano sotto i portici. E così le vittime furono solo civili.
Prima sussurrato a mezza voce, poi insinuato dalle ricostruzioni giornalistiche e dalle commissioni d’inchiesta, infine conclamato in un’inchiesta giudiziaria ed esplicitato ad alta voce in un’aula di giustizia, ecco allora confermato fin dall’inizio del processo un ulteriore elemento fondamentale: il ruolo dei servizi segreti nella strage di piazza Loggia, l’azione di corpi e gruppi deviati degli 007 italiani e stranieri.
Fin dalla prima udienza questo scenario ha fatto irruzione nel processo. Il procuratore Roberto Di Martino l’ha chiarito da subito, senza giri di parole. «Riteniamo – ha detto – che i nostri imputati agissero con l’ispirazione e con l’identica finalità che avevano alcuni di questi servizi». I servizi che avrebbero dovuto difendere l’ordine democratico, secondo l’accusa, «ispiravano» (“avevano identica finalità”) chi sperava di imprimere alla vicenda italiana una svolta autoritaria a colpi di bombe.
Gli elementi a favore di questa ricostruzione hanno fatto subito una certa impressione.
Carlo Digilio – ha ricordato il procuratore Di Martino a proposito di questo inquisito morto poi il 12 dicembre 2005– si è sempre proclamato agente della Cia oltre che militante di Ordine nuovo; l’altro scomparso, Massimiliano Fachini, avrebbe avuto collaborazioni con il capitano del Sid La Bruna; Maurizio Tramonte è stato identificato con la «fonte Tritone» dei servizi militari; Delfo Zorzi, secondo testimonianze, avrebbe avuto frequentazioni con l’ufficio Affari riservati del Viminale , così come Stefano Delle Chiaie; Giovanni Melioli infine sarebbe stato il confidente di un capitano dei carabinieri.
Nelle 830 mila pagine dell’inchiesta Di Martino-Piantoni sovrabbondano veline, informative del controspionaggio, relazioni dei capicentro.
E infine emerge una struttura supersegreta denominata “Anello”.Di questo «Anello» il consulente Aldo Giannuli (scopritore dell’archivio dimenticato dell’Ufficio Affari Riservati sulla via Appia) ha riferito prima al giudice di Milano Guido Salvini, poi alla procura di Brescia, infine alla commissione stragi.
«Nelle nostre carte – ha spiegato in aula il pm Roberto Di Martino – sembra emergere un servizio segreto parallelo, il cosiddetto “Anello”, la cui storia si perde nei tempi della guerra, ma che è stato particolarmente attivo negli anni Settanta». Stando ai «contenuti di alcuni appunti», ha aggiunto Di Martino, l’«Anello» potrebbe avere a che fare con la strage: «Il capitano dei carabinieri Francesco Delfino, secondo un testimone avrebbe avuto contatti con questo servizio, Esposti ne sarebbe stato lambito». Figura-chiave per conoscere questa struttura parallela è Adalberto Titta che – spiega Di Martino – «avrebbe operato nell’azione sfociata nella liberazione dell’assessore campano Cirillo, nella liberazione del generale Dozier, nel caso Moro e nella fuga di Kappler».
Alcuni dei grandi misteri della storia repubblicana, ma anche vicende che chiamano in causa la destra eversiva, farebbero capo – secondo la ricostruzione di Di Martino – a questo «Anello». Se testi e prove relative a queste vicende saranno ammessi a processo, nell’aula della corte d’assise di Brescia nei prossimi mesi verrà ricostruito un pezzo della storia d’Italia: il cuore di tenebra dello stragismo degli anni settanta, le trame che fra il ’69 e il ’74 tentarono di far cadere l’unica democrazia mediterranea euro
pea, quella italiana, e di precipitare Roma in un regime totalitario come quelli che allora governavano Atene, Madrid, Lisbona.
In aula si scriverà, insomma, un pezzo dell’«altra» storia d’Italia. In un processo che potrebbe diventare un maxi-processo, ma che rischia altresì di diventare un processo-monstre, ci vorrà tutta l’esperienza e il polso del presidente Enrico Fischetti per tenere la barra dritta. Puntata sulla duplice stella polare: verità e giustizia.
S.P.
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