Informazioni che faticano a trovare spazio

Due deportati per il 25 aprile. Comanducci a Porta San Paolo e Colella a via Principe Amedeo

25 aprile, un giorno per ricordare anche due deportati che hanno subito il buio dell’occupazione nazista a Roma. Domani infatti sarà dato un riconoscimento a uno dei quattro sdoiprfavvissuti attualmente in vita della prima deportazione politica dall’Italia e da Roma per Mauthausen (4.1.1944): il suo nome è Remo Comanducci classe 1923 deportato e liberato il 5.5.1945 a Gusen (sottocampo di Mauthausen) dagli americani.
Sarà Vincenzo Zingaretti, presidente della Provincia, a dare il riconoscimento a Comanducci domani mattina a Porta San Paolo da dove poi muove la manifestazione indetta dall’Anpi.
Alle 13,30 poi di fronte all’edificio di via Principe Amedeo 2, dove era ubicata la tristemente nota quanto dimenticata Pensione Oltremare quartriere generale della banda fascista Koch, il professor Vincenzo Colella nato nel 1915 ricorderà i luoghi di detenzione e tortura a Roma. Colella fu torturato in via Tasso e poi dopo essere stato portato a Regina Coeli fu deportato nei lager tedeschi e fu liberato alla fine della guerra a Mauthausen.
L’iniziativa sotto la Pensione Oltremare, dimenticata da 66 anni nonostante il fatto che abbia costituito uno dei luoghi più terribili in mano ai sicari fascisti, è stata promossa da Anpi sezione Esquilino, Anppia e Associazione culturale lalottacontinua.

Riporto qui di seguito le notizie sulla detenzione del professor Vincenzo Colella, contenute in un’intervista fatta da me al professor Colella per il Corriere della Sera il 25 novembre 1999, subito dopo l’attentato fascista di cui era stato bersaglio il M useo di via Tasso:

 “Cari giovani, in via Tasso mi hanno torturato…”
Dopo l’ attentato di lunedi’ , parla uno degli ultimi sopravvissuti al carcere delle SS: “I ragazzi devono sapere cosa accadeva li’ dentro”

“Cari giovani, in via Tasso mi hanno torturato…” Saletta di via Tasso, pianterreno: tempo fa una ragazzina e’ entrata con la sua scolaresca e ha guardato quell’ uniforme in tela che e’ stata posta sottovetro dentro il Museo della liberazione. Con occhio vispo ha squadrato quei pantaloni tutti rappezzati e quel curioso giubbetto con la fascia rossa sul braccio, per i deportati politici. Poi nella sventatezza dei suoi dieci anni ha candidamente esclamato: “Che bei jeans!” Il professor Vincenzo Colella allarga le braccia. Quell’ uniforme e’ stata sua. Dentro, da giovane, c’ era lui, un ex sottotenente dell’ esercito italiano che dopo la Liberazione risulto’ pesare appena 35 chili e che di ritorno da Mauthausen ebbe bisogno di un anno di ricovero in ospedale per riprendersi. Colella oggi ha 84 anni, vive a Roma dove ha insegnato a lungo nelle elementari e nelle medie, ma non dimentichera’ mai la sua lunga odissea attraverso carceri e lager nazisti, iniziata proprio li’ in via Tasso. Colella e’ uno degli ultimi sopravvissuti di quel luogo di torture a poter raccontare. “Provo ancora dolore a ricordare quelle ore micidiali – dice -. Cosi’ come l’ ho provato l’ altro giorno quando ho saputo dell’ attentato. Ma bisogna ricordare. E bisogna dirlo ai giovani, che probabilmente sanno poco o nulla di cosa vuol dire essere interrogati da nazisti che ti rompono le ossa e i denti. La storia, si sa come viene fatta nelle scuole… E’ una cosa che si legge e passa. La vita mia e di tanti altri si limita a una paginetta, che si puo’ leggere o anche saltare. Ma via Tasso era l’ inferno. Altro che paginetta…” Colella aveva 28 anni quando fu arrestato dai tedeschi a Ruviano di Caiazzo, nel Casertano. Era un semplice sottotenente alla macchia dopo l’ 8 settembre. Fini’ a via Tasso, il 12 ottobre del ‘ 43. “Sono stato messo nella stessa cella da cui sarebbe passato poi il povero Giuseppe di Montezemolo – racconta -. Mi portavano a pianterreno per interrogarmi. Ma i tre interrogatori che ho subito erano solo dei pestaggi. I due marescialli si divertivano a darmi calci con le loro scarpe chiodate, munite di una lunetta in ferro sul davanti. E poi pugni in bocca, sulla testa, nel costato. Ho lasciato per terra in quella sala sei denti. Mi ruppero una costola. Ridevano. Pensavo di morire. Li’ picchiarono nei miei stessi giorni anche Giuliano Vassalli, oggi presidente della Corte costituzionale. Non speravo di uscirne vivo. Poi si stufarono di me e mi mandarono a Regina Coeli, dove fui condannato a morte. Li’ c’ erano Pertini e Saragat. Ma avevano bisogno di schiavi in Germania e cosi’ mi misero su un treno e sono finito in un campo di concentramento dopo l’ altro. Poznan, Sonnenburg, Spandau, Dachau, Mauthausen. Bernau…” “A Poznan stavamo in 76 in una stanza due metri per quattro. A Mauthausen ho rischiato di finire sul camion di Fierer, un ufficiale che si divertiva ad ammazzare prigionieri portandoli in giro sul mezzo chiuso collegato col tubo di scappamento. Li’ c’ era anche una cava di pietra dove ci facevano salire 120 gradini con un gran peso sulle spalle e gli zoccoli ai piedi, d’ inverno. Ho visto morire tanti prigionieri. Alla fine a Bernau ho preso la pleurite piantando carote in una torbiera gelida. Quando sono tornato ero uno spettro. Il peggio pero’ l’ ho passato in via Tasso…” Paolo Brogi Dopo l’ attentato di lunedi’ , parla uno degli ultimi sopravvissuti al carcere delle SS: “I ragazzi devono sapere cosa accadeva li’ dentro” .
Paolo Brogi
Corriere della Sera Riproduzione riservata

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