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In carcere a Buenos Aires Reynaldo Bignone, l’ultimo dittatore argentino

Revocati in Argentina gli arresti domiciliari all’ex generale golpista Reynaldo Bignone. E’ tornato in carcere a 82 anni. Non è pentito, così come non lo sono mai stati gli altri assassini della giunta Videla che si sono resi responsabili di trentamila desaparecidos.
A darne notizia oggi il Corriere della sera con questo articolo di Alessandra Coppola.
Bignone, come ricorda Alessandra Coppola, è quel militare che ricevette la povera Estela Carlotto che cercava sua figlia Laura “scomparsa”. Bignone era in quel momento segretario alla presidenza. Come la stessa Estela Carlotto ha ricordato pochi giorni fa in aula a Roma davanti alla Corte d’assise che giudica l’ammiraglio Massera, Bignone la ricevette esibendo una pistola appoggiata sulla scrivania. Una pistola per poter diree alla  madre in ansia per la figlia scomnparsa: “Non c’è nulla da fare, dobbiamo ammazzarli tutti”. E così fu. Laura Carlotto è stata ammazzata, suo figlio non è mai stato ritrovato.
A Roma il processo contro Massera continuerà in maggio, con due udienze previste il 25 e il 27 (al primo piano dell’edificio B del Tribunale di piazzale Clodio).
Verranno per l’occasione altri testimoni, sopravvissuti a quella mattanza terribile della dittatura durante la “guerra sucia” organizzata tra il 1976 e il 1983 dai dittatori Jorge Videla, Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri e Reynaldo Bignone.
Massera era all’epoca il capo della scuola militare della marina, l’Esma, dove i prigionieri venivano torturati, dove alle prigioniere incinte che partorivano venivano “rubati” i figli, dove infine si organizzarono i voli della morte per gettare nell’Atlantico i prigionieri.
Massera ha cercato in questi ultimi anni di passare per insano di mente. E’ solo un delinquente che aveva organizzato una struttura militare come un mattatoio. Di uomini e di donne, colpevoli di essere peronisti o montoneros,  oppositori.
Tra i testimoni in arrivo anche Pablito Diaz, l’unico sopravvissuto dello sterminio di un gruppo di liceali raccontato nel film “La notte delle matite spezzate”. Pensate, Diaz e i suoi compagni si erano messi in luce per aver organizzato prima del golpe uno sciopero della scuola contro un aumento delle tariffe dei trasporti.

Ecco qui di seguito l’articolo del corriere della Sera del 22.4.2010:

La sentenza All’ex generale Bignone, 82 anni, revocati i domiciliari

Desaparecidos, in carcere
l’ultimo dittatore argentino
Venticinque anni per 56 casi di sequestro e tortura nel centro di Campo de Mayo, di cui fu responsabile nel ’75-’77

Ha passato la sua seconda notte nella cella di una prigione comune l’ultimo dittatore argentino Reynaldo Bignone. Anacronistica la sua difesa: «Fu una lotta contro gruppi di sovversivi che non erano tanto giovani né idealisti». Fuori tempo massimo il ricorso alle parole di Perón: «Annientare quanto prima questo terrorismo criminale». Poco profetico l’annuncio: «Dio mi chiamerà prima della sentenza, non importa quanto sarà pesante».
Saranno 25 anni per 56 casi di sequestro e tortura, e nonostante le 82 candeline spente a gennaio, dovrà trascorrerli, per quel che gli resta, in un carcere ordinario. La presidente del Tribunale di San Martín, Buenos Aires, che martedì lo ha condannato, Marta Milloc, gli ha revocato gli arresti domiciliari. Il collocamento in una struttura privilegiata militare è escluso da leggi recenti.
Parte l’applauso dei familiari delle vittime, che per ore hanno tenuto alti i cartelli con le foto sbiadite di ragazze e ragazzi inghiottiti dai sotterranei di Campo de Mayo tra il ’76 e il ’77, quando ne era responsabile Bignone.
La presidente della Corte legge i nomi. José Alberto Scaccheri, sequestrato il 18 luglio del ’77 e mai ritrovato. Silvia Madariga Quintela, che prima di scomparire diede alla luce nella sala parto clandestina del Campo un bambino, dato in adozione (come 500 altri) a una coppia fedele al regime. Si chiama Francisco e da pochi mesi è tornato in possesso della propria identità. «Sono emozionato — dice a Página12 —, è la pena minima che meritano (con Bignone condannati altri 5 ex ufficiali, ndr). Sento pure rabbia e tristezza perché non posso avere mia madre con me. L’importante, però, è che le abbiano reso giustizia».
Alza le mani al cielo Lita Boitano, rappresentante dei Familiari dei desaparecidos di origine italiana, sulla giacca le spille coi volti dei due figli perduti, Adriana e Miguel Angel. Festeggia Estela Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo (candidate al Nobel per la Pace), che conobbe Bignone di persona, quando, madre disperata alla ricerca della figlia Laura, si presentò dall’allora segretario alla Presidenza, ricevuta con una pistola sul tavolo e la singolare spiegazione alla scomparsa dei «ribelli»: non possiamo metterli in carcere, altrimenti indottrinano i secondini, «li uccidiamo tutti».
«Grande soddisfazione», dice ora Estela. Quanto a Bignone, ricorda pure: «Alcuni anni fa disse agli allievi ufficiali che avrebbero dovuto portare a termine quello che loro non erano riusciti a fare».
Trentamila desaparecidos, cinquemila passati per la picana, lo strumento a scariche elettriche, di Campo de Mayo. E nessun pentimento. Anzi. Bignone insieme agli altri ex militari della dittatura (1976-83) continua a difendere la «guerra sporca» come un male necessario. Militare zelante, sostenitore di quel principio di obediencia debida ai superiori che solleverebbe dalle responsabilità, sin dall’inizio coinvolto nel golpe, nel 1982 Bignone sostituisce al vertice Galtieri, travolto dalla disfatta delle Falkland-Malvinas, e conduce la dittatura al suo epilogo, con il ritorno delle elezioni democratiche. Riesce così a trattare la propria esclusione dal maxiprocesso alle Giunte dell’85. Oltre vent’anni di impunità, finché in Argentina, con le presidenze Kirchner e l’annullamento delle leggi che bloccavano nuovi processi, cambia il clima.
Gli avvocati annunciano che faranno ricorso anche contro la revoca dei domiciliari. Intanto i ragazzi dell’associazione H.I.J.O.S., figli di desaparecidos, scandiscono il nome di Bignone, canzonandolo. E mostrano la foto di Chaco Scarpatti, il sopravvissuto testimone-chiave di un processo che non ha fatto in tempo a vedere concluso. «Sarebbe contento — dice il figlio — è stata fatta giustizia per tanti suoi compagni».
Alessandra Coppola
Corriere della Sera C Riproduzione riservata

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