Dall’Aduc ricevo:
Vuoi suonare l’inno nazionale? Paga 100 euro alla Siae
Firenze, 27 aprile 2010. Vuoi suonare l’inno nazionale? Paga 100 euro alla Siae. (1) Sembra incredibile, ma le celebrazioni della liberazione lo scorso 25 aprile hanno fatto emergere ancora una volta l’assurda e anacronistica legge sul diritto d’autore.
Goffredo Mameli scrisse il testo dell’inno nel 1847, testo che fu messo in musica da Michele Novaro poco tempo dopo. Il “Canto degli italiani”, come era chiamato, divenne subito un simbolo dei moti risorgimentali. Subito dopo l’unità d’Italia, Giuseppe Verdi lo scelse al posto della Marcia reale nel suo celebre Inno alle Nazioni. Nel 1946 divenne l’inno nazionale della giovanissima Repubblica Italiana.
Ebbene, nonostante gli autori del Canto degli italiani siano deceduti da oltre un secolo, non avendo quindi alcun titolo al diritto d’autore, la Siae continua a pretendere 100 euro per il “noleggio dello spartito”, da versare all’editore Sonzogno. Questo anche se quello spartito non è mai stato utilizzato – il “Canto degli italiani” non è una composizione sinfonica, ma una melodia che chiunque puo’ arrangiare per il proprio gruppo musicale senza bisogno di spartiti. Uno stratagemma per imporre i diritti d’autore all’infinito.
Ma indipendentemente dalle considerazioni legali, è davvero assurdo che per suonare l’inno nazionale in pubblico, magari durante le celebrazioni di momenti essenziali della nostra storia nazionale, sia necessario pagare 100 euro.
Per fortuna nel 1800 la Siae non esisteva ancora. Siamo certi che neanche Nino Bixio e Giuseppe Garibaldi sarebbero stati risparmiati dalla solerte Società italiana degli autori e degli editori.