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Migranti: un libro della responsabile Unhcr contro la politica dei respingimenti. E un ricordo di quattro afghani scambiati (anche da Vespa) per terroristi

“Cosa spinge migliaia di persone a cercare di raggiungere le coste italiane sfidando ogni pericolo? Che cosa sappiamo veramente di loro? Dobbiamo averne paura? È giusto respingerli, come il governo italiano ha deciso di fare dal maggio 2009?
Oggi nel dibattito pubblico si tende a considerare tutti i migranti allo stesso modo, mettendoli indistintamente in un unico grande calderone e presentandoli come minaccia alla sicurezza. Anche i rifugiati, da vittime di regimi e conflitti, finiscono per rappresentare un pericolo. Un grande equivoco che mina i principi di solidarietà e di diritto radicati da sempre nella società italiana”.
Con queste parole, fin troppo buone, Laura Boldrini , portavoce dell’ufficio dell’Onu per i rifugiati, presenta il suo libro “Tutti indietro” (Rizzoli) che cerca di dare una risposta a questi interrogativi.
Il testo è da oggi in libreria. Laura Boldrini da anni si occupa, in grande solitudine spesso e perlopiù in contrapposizione con il nostro esecutivo, del problema migranti. Non solo di afghani, si occupa la Boldrini, ma anche di donne eritree e di tanti altri che popolano i barconi oppure entrano in Italia rischiando magari la vita nel cassone di un autotreno.
In un paese di pressapochisti e di ignoranti possono essere scambiati perfino per pericolosi terroristi.

Ecco, ricordo la storia vergognosa dei quattro pericolosi terroristi afghani che un decina di anni fa furono “fermati” al Circo Massimo vicino alla residenza dell’ambasciatore americano presso la Santa Sede. In tasca avevano la cartina di Roma con gli obiettivi.
La notizia dell’arresto fu data dal ministro dell’interno del momento, Claudio Scaiola, che era in visita a Genova: “Mi avvertono dal comando generale dei carabinieri – disse serissimo alle telecamere – che quattro terroristi afghani sono appena stati fermati a Roma”.
Il tono di Scaiola era solenne. Ancor più solenne a sera fu Bruno Vespa che aprì Porta a Porta con la scritta sul fondo: “Preparavano un attentato a Roma?”
Bontà sua, gli devo riconoscere che ci aveva almeno messo il punto interrogativo.
La bufala fu comunque inghiottita dal sistema dei media così com’era.
Per il Corriere della Sera andai sul posto e dopo aver assistito a un rapido va e vieni di qualche frettoloso collega cronista ricordo che rimasi da solo a fare quello che si dovrebbe fare in genere: chiedere alla gente del luogo, in quel caso suonando ai campanelli delle abitazioni vicine.
Fu una signora ad illuminarmi di lì a poco: “Quelli che siedono nell’aiuola?”, chiese. “Hanno fermato quelli lì? Ma sono dei disgraziati che vanno ogni giorno a prendere la zuppa dalle suore del convento che sta sopra il Giardino delle rose…”.
Ringraziai la signora e andai dalle suore. Che confermarono. I quattro avevano preso la zuppa lì anche quel giorno, poi erano andati all’aiuola, lì erano stati fermati. Chissà se a stomaco pieno oppure no?
Comunque le suore mi indirizzarono, vada a Colle Oppio, lì ci sono sicuramente dei parenti loro…
A Colle Oppio – nel  giardino in mezzo alle Terme di Traiano usato da curdi e afghani come dimora temporanea – c’era in effetti il fratello di un arrestato.
Venivano tutti da Peshawar, da un campo profughi, erano entrati una settimana prima in Italia attraverso Aurisina (Trieste) nascosti in un camion, l’Italia e Roma erano solo un passaggio, la loro tappa ultima era la Danimarca.
Il ragazzzo mi guardava, guardava me e il fotografo (il povero Renato Ciofani che non c’è più, morto in un incidente di moto), poi chiese: “E ora come faremo ad andarci insieme, in Danimarca, io e mio fratello?”
I quattro afghani finirono di lì a poche ore nel Cpt di Ponte Galeria. Il fatto che non fossero quello che era stato gridatoi ai qauattro venti lpare non interessasse più. Chissà che fine avranno poi fatto? Espulsi, sì, ma verso dove?
Io intanto, quel giorno di Collle Oppio, ero tornato in redazione. Il mio articolo però non uscì. La cronaca del fatto, affidata a un redattore della giudiziaria, uscì scrupolosamente in linea con la versione fornita dagli inquirenti. La piantina, che la mia fonte mi aveva spiegato essere nient’altro che la dislocazione dei posti a Roma in cui mangiare e trovare assistenza (dall’Unhcr ai Parioli a via Dandolo, a Trastevere, per la mensa di S.Egidio), rimase così una piantina di obiettivi da terroristi.
Il giorno successivo, piuttosto nervosamente, tornai alla carica col mio resoconto da pubblicare. Dai e poi dai l’articolo fu fatto uscire a pagina due della cronaca di Roma. Raccontava quello che ho appena detto, compreso i nomi dei quattro afghani che gli inquirenti non avevano fatto e che mi erano stati invece rivelati dal fratello di uno dei quattro arrestati.
L’articolo uscì, due o tre colleghi di altre testate (ricordo Massimo Lugli di Repubblica) mi fecero i complimenti. “Che bella storia!”. Sgarbatamente risposi a tutti che quel lavoro lì minimo di controllo delle cose avrebbero dovuto farlo tutti, non solo io.
E poi? Poi più niente. La vicenda è scomparsa nel nulla.
Bruno Vespa è ancora lì col suo studio, potrebbe invitare ora la Boldrini a parlare di afhgani e magari prendere atto che non è tutto oro quello che riluce sotto il sole (ho usato l’oro, ma si potrebbe usare qualcosa di peggio…). Vespa potrebbe invitare anche Scaiola…
Alla Boldrini auguro di vendere parecchi libri, il cui ricavato va a favore di questi poveri della terra che hanno la malauguarata idea di transitare qui da noi accolti come appestati.
Ai quattro afghani auguro che siano giunti dove volevano giungere. E di aver trovato una zuppa migliore di quella già buona delle suore, che a volte può essere però indigesta (non per colpa delle monache, però).
Chi volesse scrivere invece a Laura Boldrini può farlo a itaro@unhcr.org.

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