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Sciopero della fame dei 21 detenuti malati del G14 di Rebibbia

VENTUNO DETENUTI DEL BRACCIO G 14 DI REBIBBIA IN SCIOPERO DELLA FAME DA STAMATTINA
CHIEDONO DI POTER PARLARE PIU’ FREQUENTEMENTE COL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
E DI RENDERE PIU’ UMANA L’ORA D’ARIA.

Da questa mattina ventuno detenuti del reparto G 14, destinato a reclusi malati e infermi, del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso hanno iniziato uno sciopero totale della fame per chiedere che venga data immediata risposta ad un pacchetto di richieste che comprendono, fra l’altro, la possibilità di parlare più frequentemente con il magistrato di sorveglianza e l’umanizzazione dell’ora d’aria con la possibilità di usufruire degli spazi verdi interni al carcere. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

Dal 29 marzo scorso i detenuti ricoverati nel G 14 (il repaedrto per i malati di Aids e di altre patologie molto gravi, ndr) hanno iniziato la protesta con il rifiuto del cibo dell’amministrazione penitenziaria. Gli stessi reclusi hanno annunciato, questa mattina, l’inasprimento della protesta con lo sciopero totale della fame e quello della spesa.

Fra le altre rivendicazioni avanzate, la distribuzione della terapia in cella e, soprattutto, l’applicazione della legge che prevede l’incompatibilità con il carcere per i detenuti affetti da malattie gravi.

«Le persone che stanno attuando questa coraggiosa forma di protesta hanno sollevato un problema di strettissima attualità in carcere – ha detto Marroni – quello dei reclusi affetti da malattie la cui gravità non dovrebbe consentire loro di stare in carcere. Personalmente ho sollevato da tempo questo problema, raccontando i casi di reclusi malati costretti a stare in una cella perché non hanno una famiglia oppure mancano le strutture in grado di accoglierli all’esterno. Bisognerebbe avere coraggio di investire per creare un sistema alternativo alla detenzione per rendere alla lunga le carceri più vivibili. E nel frattempo che ciò accada, adoperarsi per rendere più umane le condizioni di vita in carcere dei detenuti malati».

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