Un pomeriggio all’anagrafe di Roma
sabato, 10 Aprile, 2010Un giovedì pomeriggio, troviamo la forza di “recarci” (come dicono i centralini del Radiotaxi”) all’Anagrafe centrale di Roma, allo scopo di notificare un recente cambio di residenza. Sono le 14,30, e l’androne dei “Servizi demografici” non ospita in tutto più di 8 o 9 persone in attesa. Bene, sembrerebbe il preludio ad un’operazione abbastanza rapida…Sembrerebbe, appunto. Ci danno il solito numeretto, un F25. Intanto, sul display compare un F14: i minuti passano l’uno dopo l’altro, e quel F14 non si schioda, è tenacissimamente attaccato a se stesso. Prima che tocchi a noi, di minuti ne passeranno, all’incirca, centocinquanta. Da che dipende una tale supersonica velocità? “Mi reco” all’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) che in quel momento trovo casualmente aperto. Una giovane dall’aria molto annoiata solleva un sopracciglio e alle mie domande risponde che “c’è poco personale”. Più che rispondere, per la verità, bofonchia – e all’interrogazione successiva (“ma come mai c’è poco personale?”) crolla – mi guarda proprio come se fossi un’aliena. Poco dopo, vengo letteralmente strapazzata da una signora dall’aria molto aggressiva – “si rivolga alla dottoressa Marinelli, secondo piano!” mi urla nelle orecchie, dopo avermele morsicate per un paio di minuti. Infine, entriamo nell’ufficio. Ci riceve un signore dall’aria cupa, il quale ci scarica addosso scariche di vero e proprio odio – sono le 17, da mezz’ora, pare, gli uffici sono – sarebbero – chiusi. “Come mai è così nervoso?” domando incautamente. “Io non sono per nulla nervoso!” mi risponde urlando “Si vede che lei non mi ha mai visto quando sono davvero nervoso!”. Ammetto di non aver mai goduto di un tale piacere. Nei restanti minuti l’uomo calpesta i tasti del computer, ci porge un paio di carte da firmare, ci lancia avvertimenti – mio marito e io siamo letteralmente seduti sui carboni ardenti, come vittime preparate per il martirio finale. Alla fine, veniamo sgarbatamente informati che quei fogli non valgono nulla: finché non passeranno i vigili urbani, per controllare se davvero noi abitiamo dove abbiamo dichiarato di abitare, non c’è nessun cambio di residenza. Non ci hanno chiesto, of course, di esibire il contratto d’affitto regolarmente firmato e registrato: esso non vale nulla, decidono tutto i vigili. E se arrivano nel momento in cui siamo usciti? Potrò ancora impunemente andare a fare la spesa? I capelli? Le passeggiate? L’aperitivo? Le riunioni?
Bene, non posso accreditare tutto questo all’attuale amministrazione Alemanno: sospetto che il Comune di Roma abbia sempre funzionato così. Trattando i cittadini come pezze da piedi (non vi dico come hanno trattato, in quei centocinquanta minuti, un paio di signore extracomunitarie, colpevoli di non sapere bene l’italiano). Scaricando sugli utenti le frustrazioni di impiegati forse malpagati, comunque sgarbati e arroganti. Tocco medioevale, l’attesa dei vigili. Ma chissà nel Medioevo erano più gentili.
Rina Gagliardi
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