Informazioni che faticano a trovare spazio

Arundhati Roy incriminata in India per uin reportage

Dal Comitato contro la guerra contro il Popolo dell’India (ccgcpi.italy@gmail.com) ricevo:
 Solidarietà ad Arundathi Roy
Arundathi Roy è una scrittrice e un’attivista dei diritti umani molto nota in Italia e in tutto il mondo. È impegnata intensamente, negli ultimi tempi, nella denuncia della barbarica guerra, la cosiddetta “Operazione Green Hunt”, contro gli indigeni che il governo indiano ha intrapreso per espellerli dalla loro terra e consegnarla alle compagnie minerarie, che intendono sfruttarla e attuare una devastazione ambientale di portata continentale.
Arundathy Roy si è recata poco tempo fa nella terra dove gli indigeni vivono e resistono, in molta parte aggregati nelle file dell’esercito del Partito Comunista dell’India (maoista), che da trent’anni opera in questa zona ampia come mezza Europa e popolata da cento milioni di persone.
Al suo ritorno, ha scritto un reportage, dal titolo Walking with the Comrades, [Camminando con i compagni]. Siamo stati informati che lo scritto sarà pubblicato in italiano nella rivista Internazionale ai primi di giugno. Invitiamo a leggerlo: siamo sicuri che si tratta di uno scritto eccellente, per il contenuto e per lo stile.
Il governo dello stato dell’India di Chattisgar ritiene che con il suo scritto Arundathi Roy abbia violato l’Atto di Pubblica Sicurezza speciale, varato per impedire ogni voce di dissenso e di sostegno ai popoli colpiti dalla guerra. È un atto che prevede le misure repressive più dure in una nazionè che ha il più alto numero di prigionieri politici al mondo, dove i prigionieri sono sottoposti a ogni genere di vessazione, di violenza, di tortura e dove vivono in condizioni che li portano alla morte.
Esprimiamo il nostro sostegno ad Arundathi Roy e invitiamo a intraprendere ogni iniziativa di solidarietà a sua difesa contro questo ultimo attacco del governo indiano, e a mobilitarsi contro la guerra che il governo indiano ha inizato contro il popolo dell’India, contro l’Operazione Green Hunt.
In particolare, ci associamo all’iniziativa intrapresa da ATIK, Confederazione dei Lavoratori Turchi in Europa, che ha iniziato una raccolta di firme on line. Invitamo a firmare la petizione contro la persecuzione di Arundathi Roy in http://www.ipetitions.com/petition/stoppersecutionroy99/.
Riportiamo, di seguito, due interviste ad Arundathi Roy pubblicate ultimamente sui media del nostro paese, un’intervista da Peace Reporter e un’altra dal Manifesto.
Il Comitato di Solidarietà Contro la Guerra Contro il Popolo dell’India
Firenze – 4 maggio 2010
Da Peace Reporter, 30-03-2010
ANJALI KAMAT: Trascorriamo il resto dell’ora con la famosa scrittrice indiana e attivista, Arundathy Roy, parlando della parte oscura e più vulnerabile dell’India. Un paese fiero che si vanta della sua fama di democrazia più grande del mondo. Nella lista dei miliardari pubblicata quest’anno da Forbes, la stampa indiana sottolineava con un certo orgoglio che due compatrioti sono entrati nella lista dei dieci uomini più ricchi del mondo.
Nel frattempo, migliaia di truppe paramilitari e agenti di polizia indiani stanno combattendo una guerra contro i più poveri abitanti del loro paese, quelli che vivono nella cosiddetta Cintura Tribale. Le autorità indiane hanno dichiarato che più di un terzo della nazione, un’area in gran parte coperta da foreste e ricca di risorse minerarie, è parzialmente o completamente sotto il controllo dei ribelli maoisti, noti anche come Naxaliti. Il primo ministro indiano ha definito i maoisti “la più grave minaccia interna alla sicurezza del paese”. Secondo le cifre ufficiali, negli ultimi sette anni di combattimenti sono morte circa seimila persone, oltre la metà dei quali civili.
La nuova offensiva paramilitare governativa contro i maoisti è stata battezzata ‘Operazione Battuta di Caccia’.
All’inizio di marzo, il leader dell’insurrezione maoista, Koteswar Rao ‘Kishenji’, ha invitato la scrittrice Arundathy Roy, vincitrice del Booker Prize, per chiederle di fare da mediatrice nei negoziati di pace con il governo.
(…)
AMY GOODMAN: Arundathy Roy ha appena avuto la rara opportunità giornalistica di incontrare i guerriglieri armati nelle foreste dell’India centrale. Ha viaggiato per alcune settimane con gli insorti nel cuore dei territori maoisti e ha poi scritto un lungo reportage, appena pubblicato dalla rivista indiana Outlook, intitolato ‘Camminando con i compagni’.
Questa famosa scrittrice e attivista per la giustizia globale ci ha raggiunti qui a New York.
Insignita nel 2002 del Cultural Freedom Prize della Fondazione Lannan, ha scritto diversi libri, tra cui ‘Il dio delle piccole cose’, vincitore del Booker Prize, e l’ultima raccolta di saggi, ‘Quando arrivano le cavallette’.
Arundathy Roy, benvenuta a Democracy Now!
(…)
Iniziamo da cosa sta succedendo nelle foreste indiane. Cos’è questa guerra che l’India sta combattendo contro la popolazione più povera, note come ‘tribali’, ‘indigene’, ‘Adivàsi’? Chi sono i maoisti? Cosa succede laggiù? E tu come ci sei arrivata?
ARUNDHATI ROY: E’ una storia che va avanti da molto tempo. C’è una connessione con quello che accade in Afghanistan, in Waziristan, negli stati nord-orientali dell’India e in questa cintura mineraria che va dal Bangala Occidentale attraverso il Jharkhand e l’Orissa fino al Chhattisgarh: quello che in India è chiamato il Corridoio Rosso. E’ interessante notare che tutto viene etichettato come ‘rivolta tribale’. Ovviamente in Afghanistan essa ha preso la forma di una rivolta radicale Islamica. Mentre in India abbiamo una rivolta radicale di estrema sinistra. Ma si tratta solo di forme diverse di resistenza al medesimo attacco contro le popolazioni locali.
Se si guarda una cartina dell’India, questa cosa chiamata ‘Corridoio Rosso’, coincide con la regione dove si trovano le popolazioni tribali, le foreste e le risorse minerarie. Negli ultimi cinque anni i governi di questi stati hanno firmato accordi per miliardi di dollari con le grandi imprese minerarie. E’ interessante notare che molti di questi accordi sono stati firmati nel 2005. E a quel tempo il governo attuale era appena salito al potere, e il primo ministro, Manmohan Singh, dichiarò che i maoisti rappresentano “la più grave minaccia interna per la sicurezza dell’India”. E fu molto strano che fece queste dichiarazioni proprio allora, perché i maoisti erano appena stati decimati nello stato di Andhra Pradesh: penso che ne abbiano uccisi qualcosa come 1.600. Ma nel momento in cui pronunciò queste parole, le azioni delle compagnie minerarie aumentarono di valore, perché, ovviamente, questo era un segnale che il governo era preparato a occuparsi della questione. E così iniziò l’assalto contro queste popolazioni tribali, che si concretizzò con la ‘Operazione Battuta di Caccia’, per la quale decine di migliaia di truppe paramilitari si stanno muovendo nelle aree tribali.
Già prima di questa operazione, il governo aveva provato armato una sorta di milizia tribale, mandata nelle foreste del Chhattisgarh con il sostegno della polizia a bruciare un villaggio dopo l’altro: qualcosa come 640 villaggi sono stati spopolati. Questo piano applica le tattiche militari sperimentate dagli americani in Vietnam e dagli inglesi in Malesia che si basano sullo svuotare i villaggi costringendo le popolazioni a trasferirsi in insediamenti dove possono essere tenute sotto controllo così da rendere accessibili le foreste alle grandi imprese. E’ quel che accadde in quest’area, in Chhattisgarh, che era abitata da 350 mila persone, di cui circa 50 mila sono state trasferite nei campi. Alcune a forza, altre volontariamente. Gli altri sono semplicemente scomparsi dai radar del governo, andando a lavorare in altri stati come immigrati. Ma molti hanno continuato a nascondersi nella foresta, impossibilitati a tornare nelle loro case, ma con la volontà di non abbandonare la loro terra.
Il fatto è che in quelle regioni i maoisti ci sono da trent’anni, lavorando con le popolazioni locali. Questa non una resistenza che si è sviluppata per contrapporsi alle compagnie minerarie: è nata molto prima, per cui è molto radicata.
L’ Operazione Battuta di Caccia è stata decisa perché questa milizia, chiamata ‘Salwa Judum’, ha fallito. Stanno alzando il livello dello scontro perché gli accordi stanno aspettando, e le grandi compagnie minerarie non sono abituate ad aspettare. C’è un sacco di denaro che sta aspettando.
Quando parliamo di “guerra di genocidio”, non lo facciamo in modo leggero o retorico. Io ho viaggiato in quell’area e ciò che vedi sono le persone più povere di questa nazione, emarginate da ogni servizio statale, senza ospedali, senza scuole, senza niente. E ora c’è una specie di assedio, dove la gente non può uscire dai villaggi per comprare alcunché, perché i mercati sono pieni di informatori che segnalano che questa persona è con la resistenza e così via. Non ci sono dottori né presidi medici. La gente è estremamente affamata e malnutrita. Quindi non si tratta solo di uccidere persone o bruciare villaggi: stanno assediando una popolazione molto vulnerabile, tagliandola fuori dalle proprie risorse e ponendola sotto una minaccia terribile. L’India è una democrazia, quindi come fai a sgomberare il territorio per le compagnie in una democrazia? Non puoi mica andare lì e ammazzare la gente. Crei una situazione per cui la gente o se ne va o muore di fame.

ANJALI KAMAT: Nel tuo reportage descrivi la gente con la quale hai viaggiato, i guerriglieri armati, come ‘gandhiani con i fucili’. Puoi dirci cosa vuoi dire e cosa pensi delle violenze
perpetrate dai maoisti?

ARUNDHATI ROY: Questo è un dibattito molto acceso in India. Anche i principali intellettuali di sinistra o progressisti sono molto sospettosi riguardo ai maoisti. Come tutti dovrebbero essere, perché loro hanno avuto un passato molto difficile, e ci sono un sacco di cose che i loro ideologi dicono che fanno venire i brividi alla schiena.
Ma quando sono andata lì, devo dire, sono stata scioccata di quello che ho visto, perché negli ultimi trent’anni penso che in loro sia cambiato qualcosa di radicale. E in India la gente vede questa differenza. Dicono che ci sono i maoisti e che ci sono gli indigeni. Di fatto i maoisti sono indigeni, e gli stessi indigeni hanno una storia di resistenza che è precedente Mao di secoli. Penso che si tratti solo di un nome, in un certo senso. ‘Maoisti’ è solo un nome, eppure senza quella organizzazione gli indigeni non avrebbero potuto organizzare una resistenza. E’ una cosa complicata.
Quando ero lì ho vissuto e camminato con loro per molto tempo, per cui posso dire che quello maoista è un esercito più gandhiano di qualsiasi gandhiano, che lascia impronte più leggere di qualsiasi ambientalista radicale. Anche le loro tecniche di sabotaggio sono gandhiane: non sprecano nulla, vivono di nulla.
I media raccontano bugie su di loro da un sacco di tempo. Molti degli episodi di violenza riportai non sono mai accaduti, come ho scoperto. Molti sono accaduti, e c’è sempre stata una ragione perché sono accaduti.
In passato, per esempio, anche io credevo che le donne tribali fossero vittime della lotta armata. Ma quando sono andata lì ho scoperto che è vero il contrario: il 50 per cento delle loro truppe è composto da donne che hanno fatto questa scelta perché per trent’anni i maoisti hanno lavorato con le donne. L’organizzazione maoista delle donne conta 90 mila membri: è probabilmente la maggior organizzazione femminile in India. Tutte queste 90 mila donne sono certamente maoiste e il governo ha dato ordine di sparare a vista contro i maoisti: quindi spareranno a queste 90 mila persone?

AMY GOODMAN: Arundhati Roy, il leader dei maoisti ti ha chiesto di fare da negoziatore, da mediatore fra loro e il governo indiano. Qual è la tua risposta?

ARUNDHATI ROY: Io non sarei un buon mediatore. Non rientra tra le mie capacità. Io penso che qualcuno dovrebbe farlo, ma non credo che dovrei essere io, perché non ho idea di come mediare. Penso che non dovremmo buttarci in cose che non sappiamo fare. Non so perché abbiano fatto il mio nome, ma io penso che esistano persone in India con le capacità per farlo, perché è molto, molto urgente che questa ‘Operazione Battuta di Caccia’ venga interrotta. Molto, molto urgente, ma, vedi, sarebbe stupido per una persona come me cimentarsi in questo, perché penso di essere troppo impaziente, sono un cane sciolto, non ho queste capacità.
(…)
 

Da Il manifesto, 28-4-2010

Arundhati Roy: «Se sopprimi gli adivasi hai eliminato il futuro»

INDIA RURALE L’avanzata di miniere, fabbriche e acciaierie sta schiacciando le popolazioni contadine e native di una grande regione rurale dell’India, che nulla possono contro i poteri locali, polizia, grandi aziende

«È una guerra contro i tribali», dicono gli attivisti per i diritti umani. E i maoisti «hanno alzato il livello dello scontro: la guerra metaforica è diventata reale»
di Marina Forti
DI RITORNO DA NEW DELHI

Ma il governo «vuole la pace o la guerra?», chiede Arundhati Roy alla sala in cui si sta concludendo un «Tribunale popolare sulle acquisizioni di terra e l’operazione Green Hunt», nome dell’offensiva di polizia lanciata in queste settimane contro la ribellione armata che traversa un’ampia regione rurale dell’India. «Sentiamo parole usate come armi», continua la scrittrice: «un’offensiva militare per il governo è “creare un clima favorevole agli investimenti”».

Arundhati Roy parla di movimenti popolari e di adivasi «diventati abusivi sulla loro stessa terra», angariati da forze di sicurezza che vedono ovunque simpatizzanti dei maoisti. Parla con cognizione di causa: di recente ha viaggiato nelle terre dei Gondi, una popolazione adivasi del Chhattisgarh, in India centrale; ha seguito un gruppo di maoisti, ha visto i villaggi in cui vivono i tribali, la loro miseria, e ha pubblicato un lungo reportage su un magazine indiano («Walking with the comrades», su Outlook, 29 marzo). Il suo scritto ha suscitato polemiche, tanto più che pochi giorni dopo insorti maoisti hanno massacrato un convoglio della polizia special
e in un distretto di foresta («se critichi l’operazione Green Hunt ti trattano come se stessi festeggiando la morte di 75 poveri soldati», ribatte lei).
Più tardi allora le chiedo: cosa l’ha spinta a fare quel viaggio tra i Gondi, e tra i maoisti?
«Volevo vedere le cose con i miei occhi», mi risponde: «Nella decina d’anni in cui ho scritto di queste cose, dalla resistenza alle dighe di Narmada in poi, sono diventata sempre più militante. Sentivo la necessità di una visione di prima mano: il governo sta isolando quelle zone di guerra. E circolano così tante menzogne, o in ogni caso notizie tolte dal loro contesto. E’ invalsa un’analisi fondata sulle atrocità: ogni volta che viene riferito un episodio di violenza non sai com’è andata davvero. Una guerriglia è un affare di imboscate, sorprese: ma una delle due parti ha una forza soverchiante. E la rappresentazione va tutta a suo favore.
E la voce dei tribali, da chi è rappresentata?
C’è una grande varietà di movimenti. Fuori dalla foresta non sono violenti – sono i movimenti popolari di resistenza di cui ho scritto in passato. Nella foresta sono spesso movimenti violenti perché non c’è alternativa. Tutte le voci sono soppresse, ma dove sono andata io vedi che il 99 percento dei combattenti maoisti sono tribali. Non tutti gli adivasi sono maoisti, sicuro, ma tutti i maoisti sono adivasi. Non la leadership che diffonde comunicati, certo: ma se non avessero il sostegno dei tribali, non potrebbero esistere. Dico quello che ho visto camminando con loro: i bambini li salutano, sono una presenza familiare. Perché quei tribali non vivono in una situazione carina, e spesso sono proprio i maoisti a difenderli. Più la polizia usa armi sofisticate, più quelle armi arriveranno all’altra parte. Non dico che i maoisti siano tutti buoni, e ci sono situazioni diverse in diverse regioni del paese. Ma dico che se continui a bombardare villaggi, criminalizzare intere comunità, militarizzare il conflitto, avrai una popolazione a cui non è lasciata via d’uscita.
La mappa della rivolta coincide con quella dello sfruttamento minerario e industriale, che in questi anni si è intensificato. Anche qui, come per i villaggi della valle di Narmada, il punto è “chi paga il prezzo” dello sviluppo?

Sì, ma credo ci sia molto di più. Stiamo parlando di una situazione di genocidio, benché senza camere a gas: gente assediata, ridotta alla fame, devastata dalle malatte. Di un ecosistema vergine. E di una antica popolazione nativa, con i suoi saperi tradizionali. Non credo che il mondo uscirà dalla crisi in cui ci troviamo seguendo lo stesso modello che ci ha portato al disastro. Servono altre immaginazioni. Un modello di sviluppo più giusto, più sicuro, meno distruttivo delle risorse, che non lasci fuori intere comunità. Invece, stiamo assistendo a una gigantesca ingegneria sociale in cui i tribali sono esclusi, e gli ecosistemi cancellati. E’ questo il punto: se sopprimi quelle popolazioni native, con la loro visione del mondo e della vita, pensi di aver eliminato il passato – ma hai eliminato il futuro.

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