Brescia: le incongruenze di Siddi, braccio destro di Delfino
venerdì, 7 Maggio, 2010Da Bresciaoggi del 7.5.2010:
PIAZZA LOGGIA, IL PROCESSO . In aula Siddi e Arli, uomini dell’ex generale dei carabinieri di Brescia, oggi tra gli imputati, che all’epoca condusse le indagini sulla strage
Obiettivo sulle «sinergie» di Delfino
Mara Rodella
Servizi deviati,eversione nera e forze dell’ordine: nel mirino la vicenda Mar, il fermo di Spedini e Borromeo, il ruolo di Maifredi
· Venerdì 07 Maggio 2010
· CRONACA,
· pagina 10
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L’ex maresciallo Paolo Siddi
L’arresto di Spedini e Borromeo, che il 19 marzo ’74 sono fermati a un posto di blocco con 50 chili di esplosivo nel baule della loro Fiat 128. Poco più di due mesi dopo, la strage di piazza Loggia. E il 30 maggio dello stesso anno la morte a Pian del Rascino di Giancarlo Esposti, ordinovista, in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Tre episodi dai lati ancora oscuri che secondo l’accusa, nel terzo processo sull’attentato del 28 maggio ’74, non possono che essere legati. E che potrebbero dimostrare la complicità tra apparati deviati dello Stato, eversione nera e forze dell’ordine: elementi che, sempre per i pm Roberto di Martino e Francesco Piantoni, avrebbero portato alla strage di piazza Loggia.
Chiamati a ricostruire in aula la vicenda del Mar (che il 9 maggio 1974 porta il giudice Arcai ad arrestare il leader Carlo Fumagalli), il fermo di Spedini e Borromeo e il conseguente ruolo di Gianni Maifredi, sono due uomini di Francesco Delfino, l’ex generale dei carabinieri di Brescia, oggi tra gli imputati, che all’epoca condusse le indagini sulla strage: Paolo Siddi e Carlo Arli. Nel mirino dell’accusa, dimostrare che l’esplosivo fu procurato da Maifredi, approfondire i suoi presunti rapporti con Fumagalli e il legame con Spedini e Borromeo che si sono sempre dichiarati vittime di una trappola: incastrati dallo stesso Maifredi e dal generale Delfino nella cosiddetta «Operazione Basilico», che ne testimonierebbe la sinergia.
ALL’ORIGINE del «tradimento» ci sarebbe l’inchiesta sul Mar. Se Delfino ne tirava le fila, per l’accusa avrebbe voluto accaparrarsene il merito, all’insaputa dei magistrati. E lo dimostrerebbero alcuni atti anomali, con un numero di matricola sfalsato, o il fatto che nè lui nè i suoi uomini, quando all’epoca furono sentiti dal giudice Arcai, rivelarono l’identità del «signor Basilico» e di «Juan». Il primo, stando all’impianto accusatorio, altri non era che Maifredi, il quale, d’accordo con Delfino, prima del fermo di Spedini e Borromeo avrebbe lasciato al ristorante Le Palafitte di Iseo, in una pianta di basilico, un pacchetto di sigarette con sopra indicato il numero di targa della 128. Proprio Maifredi, che viaggiava davanti a loro, riuscì a evitare il posto di blocco. Il secondo, invece, era proprio l’allora maresciallo Arli: «Quel giorno mi fu detto di andare a Genova, città in cui viveva Maifredi, spacciarmi per tale Juan e chiamare un numero di telefono – riferisce in aula -. Sei dei ragazzi di Brescia? Chiesi. Dovevo spacciarmi per un ricettatore di armi ed esplosivi. E gli diedi le indicazioni stradali: il tragitto verso Iseo, l’uomo con la canna da pesca come riferimento sul punto esatto. Ma non ho mai saputo nulla su Maifredi – ribadisce più volte – o quale fosse il suo ruolo». Il punto è che dell’operazione Basilico, la magistratura non sapeva nulla. «So che si trattava di una fase delicata e riservata», riporta il teste. «E ricordo che poi, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio ’74, Delfino mi mandò in stazione a Brescia, per controllare l’incontro tra Agnellini e Maifredi: avrei dovuto garantire la sicurezza di quest’ultimo, perchè – mi disse – avrebbe potuto trattarsi di una trappola».
SULLA FIGURA di Maifredi torna anche Paolo Siddi, carabiniere in pensione, al tempo vice di Delfino nel Nucleo investigativo. «Non so nulla circa la disponibilità di armi che millantava di avere – dichiara -. Ma ricordo che le indagini sulla Strage si incastrarono con quelle del Mar, ancora in pieno svolgimento. Spedini, per esempio, avrebbe dovuto indicarci un deposito di armi in Valtellina, ma smisi di occuparmi della faccenda perché, poco dopo, fui spedito a Rieti». Poco distante, a Pian del Rascino, muore Giancarlo Esposti, esponente di Ordine Nero, amico di Fumagalli: secondo l’accusa, una manovra, sempre pilotata da Delfino, per eliminare un testimone scomodo e trovare un capro espiatorio per la Strage. «Non andammo sul posto, ma in caserma, a Rieti – ricorda Arli -, per visionare i reperti e vedere se ci fosse qualcosa che poteva interessarci, come le due Land Rover che mancavano dal covo di Fumagalli». Resta da capire fino a che punto o quanti dei suoi uomini Delfino avrebbe «tradito».
Chiamati a ricostruire in aula la vicenda del Mar (che il 9 maggio 1974 porta il giudice Arcai ad arrestare il leader Carlo Fumagalli), il fermo di Spedini e Borromeo e il conseguente ruolo di Gianni Maifredi, sono due uomini di Francesco Delfino, l’ex generale dei carabinieri di Brescia, oggi tra gli imputati, che all’epoca condusse le indagini sulla strage: Paolo Siddi e Carlo Arli. Nel mirino dell’accusa, dimostrare che l’esplosivo fu procurato da Maifredi, approfondire i suoi presunti rapporti con Fumagalli e il legame con Spedini e Borromeo che si sono sempre dichiarati vittime di una trappola: incastrati dallo stesso Maifredi e dal generale Delfino nella cosiddetta «Operazione Basilico», che ne testimonierebbe la sinergia.
ALL’ORIGINE del «tradimento» ci sarebbe l’inchiesta sul Mar. Se Delfino ne tirava le fila, per l’accusa avrebbe voluto accaparrarsene il merito, all’insaputa dei magistrati. E lo dimostrerebbero alcuni atti anomali, con un numero di matricola sfalsato, o il fatto che nè lui nè i suoi uomini, quando all’epoca furono sentiti dal giudice Arcai, rivelarono l’identità del «signor Basilico» e di «Juan». Il primo, stando all’impianto accusatorio, altri non era che Maifredi, il quale, d’accordo con Delfino, prima del fermo di Spedini e Borromeo avrebbe lasciato al ristorante Le Palafitte di Iseo, in una pianta di basilico, un pacchetto di sigarette con sopra indicato il numero di targa della 128. Proprio Maifredi, che viaggiava davanti a loro, riuscì a evitare il posto di blocco. Il secondo, invece, era proprio l’allora maresciallo Arli: «Quel giorno mi fu detto di andare a Genova, città in cui viveva Maifredi, spacciarmi per tale Juan e chiamare un numero di telefono – riferisce in aula -. Sei dei ragazzi di Brescia? Chiesi. Dovevo spacciarmi per un ricettatore di armi ed esplosivi. E gli diedi le indicazioni stradali: il tragitto verso Iseo, l’uomo con la canna da pesca come riferimento sul punto esatto. Ma non ho mai saputo nulla su Maifredi – ribadisce più volte – o quale fosse il suo ruolo». Il punto è che dell’operazione Basilico, la magistratura non sapeva nulla. «So che si trattava di una fase delicata e riservata», riporta il teste. «E ricordo che poi, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio ’74, Delfino mi mandò in stazione a Brescia, per controllare l’incontro tra Agnellini e Maifredi: avrei dovuto garantire la sicurezza di quest’ultimo, perchè – mi disse – avrebbe potuto trattarsi di una trappola».
SULLA FIGURA di Maifredi torna anche Paolo Siddi, carabiniere in pensione, al tempo vice di Delfino nel Nucleo investigativo. «Non so nulla circa la disponibilità di armi che millantava di avere – dichiara -. Ma ricordo che le indagini sulla Strage si incastrarono con quelle del Mar, ancora in pieno svolgimento. Spedini, per esempio, avrebbe dovuto indicarci un deposito di armi in Valtellina, ma smisi di occuparmi della faccenda perché, poco dopo, fui spedito a Rieti». Poco distante, a Pian del Rascino, muore Giancarlo Esposti, esponente di Ordine Nero, amico di Fumagalli: secondo l’accusa, una manovra, sempre pilotata da Delfino, per eliminare un testimone scomodo e trovare un capro espiatorio per la Strage. «Non andammo sul posto, ma in caserma, a Rieti – ricorda Arli -, per visionare i reperti e vedere se ci fosse qualcosa che poteva interessarci, come le due Land Rover che mancavano dal covo di Fumagalli». Resta da capire fino a che punto o quanti dei suoi uomini Delfino avrebbe «tradito».
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