Gianluca Di Feo per L’espressonline:
Tutti dal Duce, tanto paga lo Stato. Giuseppe Ciarrapico siede nel  parlamento della Repubblica nata dalla sconfitta del fascismo ma non ha  mai negato la sua passione per la camicia nera. E questa sua dedizione  alla causa mussoliniana emerge anche dall’indagine della magistratura,  che lo accusa di avere frodato ventidue milioni di euro: soldi pubblici  destinati a sovvenzionare l’editoria e ottenuti mentendo sui conti e  sulla reale proprietà del suo impero editoriale. 
In un file intitolato “Edizioni Giuseppe Ciarrapico” contenuto in una  pen drive sequestrata nel 2007 dalla Guardia di Finanza a una  collaboratrice dell’attuale parlamentare Pdl, si scopre il vero uso di  un fido da 75 mila chiesto per «un’iniziativa editoriale relativa a  un’opera di Gianpaolo Pansa». Pansa è l’autore, tra l’altro, de “Il  sangue dei vinti” sulle esecuzioni sommarie commesse da alcuni ex  partigiani all’indomani del 25 aprile 1945. Ma Ciarrapico ha liberamente  interpretato la questione organizzando con i quattrini dello Stato (il  fido sarebbe stato saldato con i contributi per l’editoria) una grande  gita collettiva al sepolcro di Benito Mussolini. 
In questa contabilità parallela si scrive infatti che con il fido  viene pagata una trasferta in autobus a Predappio. Il file riporta due  voci: “10.780 euro per pulmann Predappio” e “7.370 Rosati per servizio  Predappio”. La seconda spesa dovrebbe indicare un servizio di catering  fornito dal bar Rosati di Piazza del Popolo, che secondo le indagini  appartiene allo stesso Ciarrapico ed è uno dei più noti della capitale. 
Sul Web c’è ancora traccia di una comitiva organizzata il 28 ottobre  1987 dalla associazione Campo della Memoria, «d’accordo con il dottor  Giuseppe Ciarrapico, la X Mas e la federazione combattenti Repubblica  sociale». Sono le principali organizzazioni di reduci repubblichini,  molto care a Ciarrapico: gruppi che non raccolgono soltanto veterani  novantenni che scelsero di andare a Salò ma hanno una platea crescente  di giovanissimi neofascisti come dimostrano i siti che hanno rilanciato  la trasferta a Predappio.
A Predappio si va per un solo motivo: “Rendere omaggio alla tomba di  Benito Mussolini”, come spiega l’annuncio della comitiva. La data poi ha  un forte valore simbolico: è quella del 65mo anniversario della marcia  su Roma, la fine della democrazia. L’avviso rimasto sulla Rete offre un  autobus cinquanta posti per i camerati romani. Ma dalla spesa si può  dedurre che i fan del Duce partiti grazie alla sovvenzione del “Ciarra”  dovevano essere parecchi: almeno tre pulman. 
Ai magistrati della procura di Roma tutto questo interessa per  dimostrare tutta la falsa contabilità con cui – secondo l’accusa – il  parlamentare si sarebbe fatto consegnare 22 milioni di euro di denaro  pubblico: fondi destinati ad aiutare l’editoria e finiti indirettamente  anche per pagare i picnic in camicia nera. Perchè anche il fido servito a  finanziare la spedizione repubblichina poi confluiva in quei bilanci  beneficiati dal denaro dei contribuenti italiani. 
E in tema di saluti romani nell’ordinanza dei giudici c’è la  ricostruzione di un altro episodio diventato celebre: i manifesti fatti  stampare da Ciarrapico nell’autunno 2007 contro la svolta antifascista  di Gianfranco Fini e affissi in tutte le strade di Roma. Poster che  mostravano il leader di An con il braccio teso e la scritta “Fini, una  garanzia ideale e politica”. Quando la Digos convoca il responsabile  della tipografia per interrogarlo come testimone, Ciarrapico gli  telefona e lo invita a tacere. Viene intercettato mentre lo apostrofa:  “Tu gli devi dire che non hai motivo di rispondere…Io non devo rendere  conto a nessuno…Rendo conto al mio amministratore delegato che è il  dottor Giuseppe Ciarrapico”. E dopo l’interrogatorio, il “Ciarra” chiama  direttamente la questura per protestare: «Nella mia azienda è stato  prelevato un dipendente…». Sostiene che questo era avvenuto senza  informare l’autorità giudiziaria «circostanza appresa direttamente dal  procuratore capo di Frosinone». Solo sei mesi più tardi Francesco  Storace rivelò che i manifesti erano opera di Ciarrapico: «Mi ha  telefonato e mi ha detto: Hai visto cosa gli ho fatto…».

