Somalia, 500 mila rifugiati
martedì, 22 Giugno, 2010SOMALIA.
INCUBO O OCCASIONE DI RIPENSAMENTO PER LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE?
Analisi e valutazioni di INTERSOS – 21 giugno 2010
Cosa sta succedendo in Somalia? Tre milioni di persone in stato di necessità; cinquecentomila rifugiati nei paesi limitrofi; una diaspora di due milioni di somali sparsi nel mondo; vent’anni di instabilità, guerra civile, dissidi interni e di conseguenti interventi della comunità internazionale; istituzioni fragili accerchiate da un jihadismo aggressivo; pirateria in crescita. INTERSOS, presente in Somalia da due decenni, si propone di riportare l’attenzione su questo paese con un articolato documento di analisi, denuncia degli errori commessi, e proposta, che qui si sintetizza.
Partendo dalla conferenza di Istanbul del maggio scorso, Nino Sergi, autore del documento, ripercorre gli eventi dalla fine della conferenza di pace del 2004 per cercare di capire le possibili vie di uscita da questa crisi. “Vi sono da un lato la mancanza di un’efficace e condivisa linea strategica nei paesi che seguono la Somalia sotto il coordinamento dell’ONU e dall’altro un sorprendente contrasto tra i discorsi e l’impegno della comunità internazionale e la tragica realtà del paese, con le sue deboli istituzioni, i conflitti interni, un’opposizione armata che controlla già 8 su 9 regioni del centro-sud del paese e i 4/5 di Mogadiscio, la crescente pirateria e con due grandi regioni che rivendicano e vivono una propria autonomia”.
Anche la presenza dell’AMISOM, la missione militare di stabilizzazione dell’Unione Africana, “è divenuta parte del problema somalo, dato il suo mandato strettamente legato alla protezione delle istituzioni senza alcuna possibilita di intervento a soccorso e tutela della popolazione”. Sulla pirateria, con attacchi che si raddoppiano ogni anno e con un numero di pirati che nel 2009 è triplicato, viene evidenziato quanto poco peso sia stato dato alle ragioni e preoccupazioni dei somali con l’intervento limitato al mare e alle forze armate navali. “Che un migliaio di pescherecci agissero da anni indisturbati nelle acque davanti alla Somalia, con un pescato stimato a piu di 200 mila tonnellate annue valutato in almeno 450 milioni di dollari, totalmente esentasse e con gravi conseguenze sul depauperamento della fauna marina e sui pescatori somali, è stato da tutti considerato normale. Alcuni somali non hanno piu inteso considerarlo tale, e hanno proceduto con metodi propri, sbagliati certo, ma senza alternative. La giusta lotta internazionale alla pirateria sarebbe piu credibile ed efficace se al contempo si stabilissero regole, condivise con le autorita somale, contro la pesca clandestina e il saccheggio di quei mari e fossero aiutati a crescere i pescatori e le comunita delle regioni costiere”.
Il documento prende poi in esame la gestione politica delle Nazioni Unite dal 2005 ad oggi, evidenziandone un quadro carico di errori, ritardi, miopi valutazioni, occasioni mancate. “I somali ed in particolare le istituzioni federali transitorie hanno gravi responsabilita, ma cio che oggi colpisce è il divario tra la visione e l’azione internazionale coordinata dalle NU, sempre pronte a sottolineare i successi ottenuti, e la realta in continuo peggioramento”.
Dove va la Somalia? Sergi cerca di rispondere a questa domanda analizzando da un lato le realtà jihadistiche somale, la loro organizzazione, le divisioni interne ma anche il collante del fanatismo e del successo ottenuto, il peso della loro presenza sulla società e la cultura somala, l’attrazione di giovani frustrati senza alcuna speranza, la somiglianza con i taliban afgani. Dall’altro lato, si sofferma sulle istituzioni somale descrivendole come “nate senza grandi valori, frutto di calcoli interni e esterni alla Somalia, pesi e contrappesi, il cui senso della comunita e del bene comune è dominato pesantemente dall’interesse personale, familiare e clanico”. E aggiunge: “Vi sono comunque persone di valore nelle istituzioni, ma andrebbero valorizzate e sostenute maggiormente, coinvolgendo al loro fianco la società civile sana che esiste nel paese e che sta dando da tempo e con risultati tangibili quelle risposte che le istituzioni non sono riuscite a fornire”. La guerra che si sta ora combattendo “riguarda l’anima stessa della Somalia che, nonostante le resistenze dei somali, sta rapidamente trasformandosi, con la forzata imposizione di volonta e disegni esterni. Non è una questione destinata a rimanere entro i confini nazionali: cio che diventera la Somalia avra ripercussioni sull’intera area e altrove, data anche la numerosa diaspora somala”.
Tutto questo avviene mentre perdura una crisi umanitaria che è stata definita la piu grave al mondo dal Segretario Generale Ban Ki-moon e che è stata ignorata nel percorso politico che ha portato alle nuove istituzioni. Piu in generale, “è mancata una strategia civile per affiancare la popolazione e fornire il coraggio e la speranza necessari per opporsi ad un regime territoriale alieno che sta uccidendo la cultura, la tradizione, l’anima dei somali in nome di una interpretazione religiosa altrettanto aliena; è mancata cioè quell’adesione popolare diffusa che si ottiene dando risposta ai problemi delle persone, delle famiglie, valorizzando la societa civile e sostenendola nei propri sforzi”. Per questo INTERSOS ritiene importante “che le Ong, pur con le necessarie attenzioni e limitazioni, continuino a dare l’esempio continuando a svolgere il loro dovere umanitario sul terreno, in Somalia, con partnership vere e coinvolgenti, vivendo il principio dell’imparzialità e aprendo, ovunque possibile, spazi di dialogo con tutti quei somali che potrebbero far rinascere il loro paese e i suoi valori, anche con coloro che sembrano al momento non volerlo”.
Il documento approfondisce poi la dimensione regionale con le ripercussioni del conflitto etiopico-eritreo sulla destabilizzazione della Somalia e le influenze della “guerra al terrore” su alcune scelte della comunità internazionale che ha sbrigativamente considerato terroriste persone e organizzazioni con cui occorreva invece continuare a parlare. “Si sono così chiusi spazi politici di possibile confronto, nel rifiuto di cercare di capire fino in fondo le ragioni dell’altro, quelle che forse avrebbero potuto indicare la svolta necessaria”.
Alcuni errori della comunita internazionale emergono: la scelta, fin dai primi anni ’90, di non risiedere in Somalia preferendo la più sicura e comoda postazione di Nairobi; non avere accompagnato con convinzione e decisione le nuove istituzioni transitorie uscite dagli accordi di pace del 2004; la guerra all’Unione delle Corti islamiche nel 2006, armando e finanziando warlords di pessima fama e senza cr
edibilità; la proscrizione di dirigenti dell’ARS che sono stati inseriti nella lista dei terroristi e l’individuazione di al-Shabab quale organizzazione terroristica; aver rallentato la realizzazione degli accordi di Gibuti del 2008 e la presenza attiva in Somalia delle nuove istituzioni. Nel biennio 2006-2008, “sia l’Unione delle Corti islamiche, sia l’ARS nella sua interezza e perfino gli Shabab dovevano essere visti come interlocutori; si doveva in ogni caso cercare di capire le loro ragioni e le loro proposte, alcune delle quali probabilmente utili, che avrebbero forse potuto favorire un diverso processo di riconciliazione. Sono prevalsi il pregiudizio, la paura, la sottovalutazione, le influenze di chi trova interesse nella destabilizzazione”. E’ evidente che “la soluzione del problema somalo non potrà essere che somala e decisa dai somali e che solo in questa prospettiva possono trovare valore le mediazioni e i sostegni esterni”.
edibilità; la proscrizione di dirigenti dell’ARS che sono stati inseriti nella lista dei terroristi e l’individuazione di al-Shabab quale organizzazione terroristica; aver rallentato la realizzazione degli accordi di Gibuti del 2008 e la presenza attiva in Somalia delle nuove istituzioni. Nel biennio 2006-2008, “sia l’Unione delle Corti islamiche, sia l’ARS nella sua interezza e perfino gli Shabab dovevano essere visti come interlocutori; si doveva in ogni caso cercare di capire le loro ragioni e le loro proposte, alcune delle quali probabilmente utili, che avrebbero forse potuto favorire un diverso processo di riconciliazione. Sono prevalsi il pregiudizio, la paura, la sottovalutazione, le influenze di chi trova interesse nella destabilizzazione”. E’ evidente che “la soluzione del problema somalo non potrà essere che somala e decisa dai somali e che solo in questa prospettiva possono trovare valore le mediazioni e i sostegni esterni”.
Una nuova strategia si impone, quindi, “a meno di voler abbandonare la Somalia a sé stessa o di voler puntare sull’uso della forza, creando un altro interminabile Afghanistan con conseguenze che non rimarranno certo contenute sul territorio somalo”. La nuova strategia deve basarsi, per INTERSOS, sull’”ascolto delle ragioni altrui per un dialogo somalo”, dato che “non tutti gli spazi di confronto sono definitivamente chiusi”. Al governo transitorio spetta il compito di far transitare la Somalia verso una fase conclusiva di stabilizzazione e pace. Potrà riuscirci solo se “riesce a rafforzarsi, radicarsi ed agire sul territorio per dare risposte ai bisogni vitali della gente e venire così percepito come attore credibile, capace di attirare al dialogo gli altri attori somali”; adottando cioè, anche se con grave ritardo, “una strategia civile che ridia fiducia alla gente rispondendo ai problemi economici e della sopravvivenza”.
Si tratta di un’impresa difficile, continua il documento, “realizzabile solo con una decisa, univoca determinazione e condivisione della comunita internazionale che dovra assicurare attenzione e preoccupazione verso questo paese, le sue istituzioni e la sua popolazione e al contempo ‘fare un passo indietro’, invitando l’Etiopia e l’Eritrea a fare lo stesso; dovra cioè fare ogni sforzo per lasciare l’iniziativa politica ai somali, appoggiando fortemente e decisamente le istituzioni transitorie in questo non facile compito, anche quando le soluzioni che saranno individuate potranno essere diverse dalle aspettative e dagli interessi geopolitici immediati”.
Come arrivarci? Per INTERSOS si impongono radicali cambiamenti da parte delle Nazioni Unite e degli altri attori internazionali. “Suonerebbe strano, infatti, se si pretendesse di disegnare e attuare una nuova strategia senza ripensare radicalmente il sistema che ha portato alla tragica situazione attuale e senza toccare quella miriade di esperti che si sono resi responsabili dell’attuale stato comatoso della Somalia”. Il documento esprime quindi alcune valutazioni sul coordinamento delle NU, sulla coalizione delle organizzazioni internazionali e degli stati interessati alla Somalia, sul debole ruolo dell’UE, su quello dell’Italia che considera l’area di “interesse prioritario per la politica estera italiana”, ma a cui non seguono impegni concreti. “Se l’Italia continua a non volere assumere il ruolo che le spetta e che ancora le viene richiesto da piu parti, forse è meglio che ne rimanga fuori del tutto; sarebbe finalmente l’assunzione di una posizione chiara del nostro paese. Il giudizio della comunita internazionale e quello che ne dara la storia è un altro capitolo, che è meglio non aprire”.
Più in generale, per INTERSOS la comunita internazionale dovrebbe iniziare un ampio ripensamento della propria concezione delle istituzioni democratiche nel post conflitto e dei modelli, tempi e modalita da adottare. “Si fa spesso un discorso che ha ben poco di realistico, perché troppo rigido nella concezione dello Stato e nel modello istituzionale da adottare all’uscita da una crisi. Si tratta di una visione che non tiene pienamente conto della realta, del contesto e della possibilita di realizzare quanto stabilito”.
Date le poste in gioco, INTERSOS auspica infine che la prossima riunione del Gruppo Internazionale di Contatto, la coalizione interessata alla Somalia, annunciata per il prossimo settembre in Spagna, sia al livello dei Ministri e non dei soli funzionari, “al fine di rimodellare, con le istituzioni somale, la strategia e gli strumenti da adottare e di prendere le necessarie decisioni in modo impegnativo e vincolante”.
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