Daniel Joffe
venerdì, 9 Luglio, 2010Daniel Joffe. Occhi neri neri, sorriso sfacciato, quei riccioli indomiti in testa e sulla faccia barbuta, gli piacevano un sacco le scarpe a stivaletto, coraggioso, d’intelligenza viva, colto, aperto, diretto. Lo rivedo che avanza per via Ravecca chiacchierando e salutando, come in suk, deciso ed elegante nei movimenti e sempre pronto. Non si sa mai.
A Genova veniva, quando l’ho conosciuto, da un’organizzazione minuscola di studenti, il Gos, ma puntava più alto. Gli faceva allora da consigliere anziano il cugino Sergio Israel. Ma Daniel aveva spiccato presto il volo da solo.
Primissimi anni 70, anni di febbre addosso, di voglia di muoversi, di generosità e mondi da conquistare. I carrugi della città erano i viottoli in cui muoversi, dal carrugio più alto accanto a piazza Sarzano c’era tutto un labirinto più in basso da esplorare e con una Laverda 250 grigia Daniel era in grado di spingersi anche oltre, a ponente, nelle valli del Polcevera e del Bisagno, sulle alture di Oreggina o nel canyon di Lagaccio.
Joffe? Come uno dei compagni di Trotsky…Ricordo che questa parentela alla lontana con uno dei sodali più stretti del capo dell’Armata Rossa aveva riempito alcune discussioni notturne, allora. C’era da ricordarsi di questi tipi che andavano a Brest Litovsk a litigare con i tedeschi, perché il capodelegazione era convinto che non bisognava fare la pace ma semmai continuare la guerra. Finché Lenin non aveva tirato nervosamente le orecchie a questa combriccola di impenitenti rivoluzionari e li aveva costretti a firmare una pace. Ma loro, Joffe in testa, avevano mostrato a lungo la stoffa da giocolieri della rivoluzione: pensate, andando agli incontri, si fermavano strada facendo e tiravano su nella loro comitiva un contadino o un operaio…
Daniel era fiero di questo predecessore. Gli studenti genovesi, e le studentesse, che lo ammiravano (con che occhi lo squadravano), forse neanche sapevano di questo pedigree. Gli bastava il Joffe con quei riccioli fantastici al vento.
La sua Laverda era una moto niente male, però aveva un capriccio maledettamente pericoloso: le marce erano sistemate all’incontrario. Così se non stavi attento invece di passare dalla terza alla quarta, tanto per fare un esempio, magari scalavi dalla terza alla seconda imballando il motore. Quando è successo a me, ricordo che era nel tratto tra San Benigno e Principe, il motore si grippò. Restai come un imbecille guardando la Laverda appena prestata e ora inchiodata a terra dalla mia manovra errata, poi arrivò Daniel e fece le spallucce. Daniel era fatto così, un uomo – anche se allora era molto giovane – davvero generoso, altruista, avventuroso, spiccio. Eravamo molto “palestinesi” allora, Daniel addolciva con qualche storia ebraica, giusto un assaggio per ricordare che le cose erano un po’ più complesse.
Guidava il nostro servizio d’ordine, un affare serio a quei tempi perché spesso c’era bisogno di difendersi da una serie piuttosto variegata di problemi che si sa quali sono stati. Daniel l’ha sempre fatto con intelligenza e con l’orgoglio di difendere un’organizzazione come Lotta Continua. Non eravamo molti, certamente eravamo squattrinati, decisamente altruisti, convintissimi di fornire una via d’uscita ai malcapitati di questa società (che sono e restano tantissimi).
Sto parlando di Lotta Continua a Genova, nei primi anni settanta. Non è il primo di noi di allora che se ne va. Poco tempo fa sono corso a Genova per salutare Amanzio Pezzolo: formalmente non era uno di di Lc, ma era uno di noi, eccome se lo era. Ho cercato di spiegarlo ai camalli presenti, ricordando quella diversità del viceconsole della Compagnia Unica Merci Varie Amanzio Pezzolo dentro un porto che avevamo conosciuto allora come una monocultura pciista. Spero di esserci riuscito, se non altro come risarcimento postumo per lui (don Andrea Gallo salutandomi all’uscita mi pare l’abbia apprezzato).
La prima ad andarsene, anni fa, è stata la Nuccia Baracico che mi aveva ospitato a casa sua e di Sandro all’inizio nel ’69. Rivederla con la sla, che tristezza. Poi Mt, donna intelligente e di sinistra nonostante alcune cattive compagnie come ci ha dimostrato il tempo, poi Antonio Fanciullo che ha scelto di lasciarci in quel modo terribile, poi Olga Panella (anche per lei valeva il discorso fatto per Amanzio), ultimo Antonio Natoli portato via dal suo brutto male.
Daniel Joffe l’ho rivisto in un video e in alcune foto, che come in un rebus mi sono state proposte tempo fa da Antonio Demuro. Mostravano un uomo riccioluto per le strade di Jaffa, in Israele, un venditore di giocattoli fatti con la moglie. Chi sono questi due? mi ha chiesto da Parigi Antonio.
Daniel era cambiato, certo, come tutti noi. Eppure l’ho riacciuffato subito. E anche Danielina, la Daniela Roggeri che firma con Daniel il sito Roggeri Joffe Toys e che soprattutto è stata la sua comnpagna itinerante per tutti questi anni insieme ai due figli.
Sì, Daniel e Daniela, li ho riconosciuti presto. E dal loro sito ho suputo quello che il web oggi ci permette di far sapere, vita, morte e miracoli. Anche la morte, purtroppo, come recita ora nel loro sito la scritta orribile “In memory of Daniel Joffe 1949-2010” che ho visto oggi, dopo che Mariuccia Cadenasso per caso l’aveva scoperta in mattinata. Ma anche la vita e i miracoli, sì, come quelli compiuti dai Joffe in giro per i mari e i porti del Mediterraneo, con i loro giocattoli autoprodotti e una barca, prima di stanziarsi definitivamente in Israele a Jaffa. Chissà perché Jaffa, forse perché è molto simile al cognome del suo nuovo residente che ora non c’è più.
Che tristezza apprenderlo così, quasi per caso, con la serendipity del web che in questo è così poco serendipity e sembra peggio o forse invece non lo è.
Devo a Daniel molti momenti belli della mia vita, anche litigi certo, ma chi non ha mai litigato? Daniele non si è mai tirato indietro, in questo lo rivedo mentre scende via Ravecca ridendo con quella sua bella bocca levantina, come un cavaliere pronto al confronto. Era nato a Natale, allora ci sembrava uno scherzo, lo addolcivamo ricordando che questa sorte era toccata anche a Mao.
Qualcosa – aveva scoperto un aneurisma e stava per entrare in sala operatoria, stava ridendo…- deve averlo fregato ora. Anzi un mese fa, perché Daniel è morto un mese fa.
Stamani ho chiamato Mariuccia, per sapere come avesse saputo. Me l’ha spiegato. E pensare che allora Mariuccia aveva solo 14 anni! Poi ho chiamato Guia, che prima di Danielina l’aveva conosciuto e amato. Poi ho chiamato Iose, che aveva appena appreso. Poi ho scritto a Danielina. Poi sono uscito e per strada più volte ho cercato in qualche volto i tratti di Daniel.
Mi sono tornati in mente Franco Tornambè che sta in Cina, Tito Capponi con i suoi bellissimi quadri e Sandra, e Adele prima, Maria Grazia alle prese col comune, Lolli e San Benigno, i gemelli Ferrara, Maria Canepa, Renata Canini e Luisa Pettener emigrate nel nordest, Pippo Carrubba nel suo eremo sullo Scrivia, Stefania e sua sorella, Elio e Maria (grazie ancora per la stampa di Quarto), e suo fratello Luciano, Riccardo Fermi perso in Padania, Enzo Masini, Angelo Guarnieri poeta e psichiatra, Paolo Scarabelli e Francesca Gazzani, Mauro Sessarego e quel suo coordinare parrocchie, Angelo Bozzo, Vittorio Cruciani, i fratelli La Paglia, Angelo Moreschi, Renzino Parodi, Mauro Ravasi, Bruno Piotti che ha girato con le ong il mondo, altri ancora…
Molti che ho rivisto da poco, a Genova, in una strana serata garibaldina organizzata dal birraio Iose. Ecco, vi saluto tutti.
E ciao soprattutto a te, Daniel Joffe. All’improvviso non so più cosa scrivere…
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