Informazioni che faticano a trovare spazio

Una monaca tibetana scrive quel che pensa della situazione

Caro Paolo Brogi, ho dovuto aspettare a scriverti finché non ho capito che cosa, in effetti, mi bloccava – nonostante il tuo invito mi abbia praticamente commosso, perché mi è parso che provenisse da tutti i miei compagni non di 40 anni fa, ma di moltissime vite…
E’ che in questi ultimi anni – in cui la situazione sociale, politica, ambientale e anche individuale di intere civiltà sta esplodendo, anni in cui si è visto non esserci fondo alla nostra italiana capacità di sopportare l’assurdo e anzi di sguazzarci dentro fino all’annegamento, anni di genocidi – (dal Tibet in là per intenderci) e di mostruosi compromessi per mantenere l’indifferenza – “io”, cioè quell’unità funzionale di attività psicosensomotorie di cui nessun altro è responsabile tranne me, questo io-Cristiana insomma, si sente meglio di come non sia mai stato.
Attiva, fortunata, comunicativa, affettuosa e finalmente libera di palesare il mio caratteraccio perché se non piaccio agli altri non conta, l’importante è poterli amare costruttivamente e i modi si trovano sempre.
Proprio perché la sofferenza mia e altrui mi fa male, la mia energia di liberazione aumenta (al contrario delle mie capacità d’acquisto, dei miei diritti culturali, sanitari ecc., ma questo non basta a inclinare negativamente la bilancia del mio umore) e non mi sento sola, perché vedo quanti altri lavorano nello stesso modo anche se non siamo precisamente “insieme”.
Ma i risultati collettivi com’è noto non si vedono, e quindi faccio fatica a pensare di avere qualcosa da dire sull’argomento sociale e forse tante persone si trovano nella mia stessa condizione.
Abbiamo tenuto Berlusconi lo stesso durante questi anni di nostra attività gioiosa e, sicuramente, condivisa con più persone di quanto noi stessi possiamo sapere; non siamo stati minimamente in grado di produrre una sinistra onesta e…realmente esistente.
Il Tibet è ormai distrutto dall’interno dalla massiccia esportazione di etnie Han, quando non era stato possibile distruggerlo con assassinii di massa, torture e lager.
Gli immigrati extracomunitari in Europa e in America sono ormai i nostri schiavi.
Le ingiustizie, le ruberie, la distruttività e la volgarità culturale crescono a livello esponenziale e, pare, del tutto inarrestabile.
Siamo in ginocchio sotto le minacce del fondamentalismo islamico.
Insomma, una potrebbe pensare di trovarsi in una contraddizione irriferibile: più vedo che le cose stanno avvicinandosi a un livello di gravità senza ritorno, più migliora la mia “qualità interna di vita”.
Dice uno dei miei Lama: “if you want to be happy, cherish others” e questo è fin troppo sperimentalmente verificato, ma di queste cose si dovrebbe forse tacere? Oppure no? Oppure un outing di molti su un argomento di questo genere porterebbe a molte inedite, auspicabilissime conseguenze?
Ciò premesso, ti cito un brano troppo interessante dal libro di una donna occidentale che insegna buddhismo nel lignaggio tibetano, in America:
“Nutrire, sfamare i demoni anziché combatterli può sembrare in contraddizione con l’approccio occidentale convenzionale verso ciò che ci aggredisce, ma finisce per rivelarsi un sentiero notevolmente efficace per la liberazione. […] nel mondo attuale, soffriamo di insuperabili livelli di lotta esteriore ed interiore, e ci ritroviamo sempre più schierati politicamente e spiritualmente. Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma, di un nuovo approccio al conflitto; la strategia di Machig [Machig Labdron, una yogini tibetana del 1055] di nutrire anziché combattere i nemici interni ed esterni ci offre, come risoluzione del conflitto, un sentiero rivoluzionario che favorisce l’integrazione e la pace. […] I sistemi religiosi che istituiscono campi di battaglia internamente ed esternamente, hanno creato un’esperienza polarizzata sia a livello interno che nel mondo sempre più terrorizzante in cui viviamo. Non importa quanti demoni cerchiamo di distruggere, al loro posto ne sorgerà un numero ancora maggiore: non conta quanti terroristi uccidiamo, molti altri ingrosseranno le loro file. Per poter essere efficaci abbiamo bisogno di un nuovo modello, basato sulla compassione, l’inclusione e il dialogo. Questo approccio ha delle implicazioni incredibili personali e collettive. […]
Un demone collettivo può diventare una forza furibonda, in cui gli individui agiscono come cellule del corpo di un demone. Le persone non sanno nemmeno come abbiano collaborato a creare il mostro, che può compiere genocidi e altri orrori normalmente inimmaginabili. […] Quando prendiamo in considerazione la sfida di comprendere i demoni collettivi e come funzionano, è importante per noi ricordare che l’unico modo di fermare i demoni collettivi è diventare consapevoli dei nostri. Offrite compassione, e anche il più feroce dei demoni può diventare il più grande degli alleati.”
Lei cita diversi esempi storici e si possono trovare nel libro Nutri i tuoi demoni, di Tsultrim Allione, Mondadori.

Con affetto e preghiere
Cristiana Ciampa Tsomo

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