Ricevo da Sandro Provvisionato, giornalista del TG5, questo commento sulla sentenza di Brescia. Suona purtroppo molto amaramente. Provvisionato ricorda in sostanza che i magistrati che non sanno sostenere le accuse dovrebbero astenersi dal portare avanti processi che poi si trasformano in boomerang. La tesi può apparire scivolosa. Il fatto più paradossale però, aggiungo io, è che su altre fattispecie di reato oltre il concorso in strage alcuni degli imputati sono risultati altamente positivi. Così è per l’ex generale Delfino, per quanto si è appurato dalle udienze, per il quale restano certamente sul campo i depistaggi che tradotti in reati del codice vorranno pur dire qualcosa. Ora si tratta di depistaggi concepiti all’ombra di frequentazioni e incontri davvero oscuri e irregolari che a loro volta aldilà delle implicazioni di reato più generali rimandano a reati specifici. Ecco, il tratto di gomma che cancella le responsabilità (non sufficientemente provate?) sul fronte della strage non annulla di certo tutto questo.
Poi più in generale che si deve dire di queste stragi fasciste all’ombra di uno stato con le sue aberranti deviazioni? Si può certo affermare che la strategia del terrore è consistita purtroppo in stragi compiute da neofascisti, piduisti, mafiosi, sezioni di apparati informativi dello stato, con l’appoggio di dirigenti politici ed economici reazionari. L’obiettivo? Stroncare le lotte e la sinistra. Questa non sarà verità processuale, lo è però dal punto di vista storico. Quanto ai processi forse occorre ricordare che in questa inchiesta su Brescia i giudici in passato si son o spinti fino a dichiarare assolto un cadavere….
STRAGE DI BRESCIA: COME VOLEVASI DIMOSTRARE
di Sandro Provvisionato
Spiace dirlo. Ma è andata proprio come volevasi dimostrare, cioè come Misteri d’Italia aveva previsto che andasse fin dalle prime battute del processo per la strage di Brescia (8 morti e 102 feriti il 28 maggio 1974).
D’altronde la previsione era fin troppo facile: i processi senza prove non vanno celebrati – pena l’assoluzione degli imputati – e di prove in questo processo non ce ne erano davvero. Lo testimonia la stessa formula usata dai giudici: secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale, assimilabile alla vecchia “insufficienza di prove”. Ma lo testimonia soprattutto il fatto che questo processo, l’ottavo per la strage, fosse un processo fotocopia di quella già celebrato a Milano per la strage di piazza Fontana (17 morti e 88 feriti il 12 dicembre 1969). Anche lì tutti assolti, manco a dirlo.
Il motivo di questi fallimenti delle due procure, quella di Milano prima e quella di Brescia poi, è molto semplice da spiegare: ambedue le istruttorie si basavano sulle dichiarazioni di uno stesso testimone, Carlo Digilio, detto “zio Otto”, un “pentito” già ritenuto “non attendibile” a Milano e che per la strage di Brescia non aggiungeva molto di diverso se non la solita ricostruzione storica sul ruolo avuto negli anni a cavallo tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta dall’organizzazione Ordine Nuovo del Veneto. E i processi non si fanno con le ricostruzioni storiche, come hanno dimostrato le fallimentari inchiesta del giudice milanese Guido Salvini. Che i bresciani, Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, hanno voluto a tutti i costi scimmiottare. Con quale bel risultato abbiamo visto.
Tutto questo non vuol dire che Zorzi, Maggi, Tramonte, il chiaccheratissimo gen. Delfino siano innocenti. Personalmente credo che sia vero il contrario.
Tutto questo significa che in un Paese civile per condannare degli imputati occorrono le prove. E per fortuna che in Italia ci sono ancora giudici togati e giudici popolari che a questa regola fondamentale di uno Stato di Diritto ancora credono.
Le ricostruzioni storiche sono buone per gli storici. Ai magistrati occorre cercare le prove, gli elementi materiali che sostanziano il reato. Tertium non datur.