Informazioni che faticano a trovare spazio

L’alluvione veneta, il Bacchiglione fu deviato per raddoppiare la base Nato

Dal blog di Beppe Grillo riprendo questa lettera

Tra l’alluvione del Polesine del 1951 e quella di Vicenza del 2010 ci sono alcune importanti differenze. Nel 1951 piovve per due settimane, nel 2010 ha piovuto per tre giorni. Nel 1951 avvenne in gran parte per cause naturali, nel 2010 è stata frutto dell’abbandono e della cementificazione del territorio. Nel 1951 il Po non fu deviato dagli americani, nel 2010 il Bacchiglione, il fiume che ha inondato Vicenza, è stato deviato dagli americani per la base militare Dal Molin (vedi filmato). Infine, nel 1951 i giornali si occuparono del disastro, nel 2010 i giornali si occupano delle zoccole, ma non può piovere per sempre.

Caro Beppe,
l’inondazione è arrivata a Vicenza improvvisamente. Il Bacchiglione è esondato. La gente si è scontrata con un’ondata d’acqua che invadeva strade, negozi e abitazioni nel centro storico come nei paesi. Gli esperti dicono che le cause sono state molte: un repentino cambiamento di temperatura ha comportato il veloce scioglimento della neve sui monti sovrastanti, l’eccezionale quantità d’acqua piovana caduta sulle Prealpi Vicentine in un arco di tempo così breve (450-500mm in 48 ore, 92mm a Vicenza fonte Arpav), nonché la mancata realizzazione di opere per la tutela del territorio previste già dopo l’inondazione del 1962 e mai realizzate. Aggiungiamo il vento di scirocco che ha aumentato la spinta del mare impedendo il deflusso delle acque, la cementificazione degli argini, la canalizzazione dei torrenti e la mancata manutenzione dovuta ai tagli ai finanziamenti (80% in meno rispetto agli anni scorsi) e il Bacchiglione non ha più retto. Alcune aree del vicentino sono alluvionate troppo spesso e con intensità sempre più frequente.
Sicuramente, conferma Giancarlo Albera del Comitato No Dal Molin, l’area su cui sorge ora la nuova base americana avrebbe potuto fungere da bacino di raccolta dell’acqua come avveniva in passato, invece ora l’estesa cementificazione di quel territorio (584 mila metri quadrati) si aggiunge ad un’urbanizzazione forsennata adoperata nell’ultimo decennio in tutto il territorio provinciale. Nonostante l’argine del fiume si sia rotto alcuni km più a monte, i lavori sul confine nord-est della base hanno previsto l’innalzamento dell’argine a discapito del limitrofo Comune di Caldogno, uno dei più colpiti. Si sa inoltre che è in atto una compressione della falda sottostante il Dal Molin, dovuta alle migliaia di pali piantati per le fondamenta che sottraggono un grande volume utile all’immagazzinamento dell’acqua, come più volte denunciato.
La lesione al territorio è in corso da molti anni, serviva forse un altro preavviso di quanto stava per accadere? Note le cause, si conoscono anche i rimedi: interventi strutturali e di rifacimento degli argini, creazione di bacini di laminazione e casse di grande espansione per lo sfogo delle acque. L’esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per “tagliano le punte di piena” nei punti strategici a monte del rischio previsti e mai realizzati a:
– Sandrigo per l’Astico da 8-10 milioni m3
– Caldogno per il Timonchio 3.8 milioni m3
– Trissino per l’Agno-Guà 3.8 milioni m3
– e per il Retrone servivano 1 milione di m3.
I politici di professione favoriscono interventi più visibili e per cui è facile ottenete consenso, strade o impianti sportivi, ma quello che serve qui veramente sono norme di salvaguardia dell’equilibrio idrogeologico, la creazione di un piano fluviale regionale che ancora ad oggi è inesistente e la mappatura delle zone più a rischio. I comitati cittadini sono pronti a collaborare ma le istituzioni?” Laura Treu, MoVimento 5 Stelle

Riprendo un approfondimento fatto daTerranauta

Dal Molin, in pericolo la falda acquifera vicentina

Il cantiere della nuova base militare U.S.A. rischia di compromettere seriamente l’enorme bacino di acqua potabile destinata non solo a Vicenza e comuni limitrofi, ma anche a parte delle province di Padova, Rovigo e Venezia.

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di Laura Pavesi

No Dal Molin
Fin dal 2007 alcuni tecnici indipendenti e il Comitato No Dal Molin hanno individuato diversi fattori di rischio che potrebbero creare danni strutturali alla falda acquifera.

Secondo la documentazione prodotta dal Cnr e dall’Enea, l’Italia è il quarto Paese al mondo per risorse idriche dopo Canada, Stati Uniti e Norvegia e Vicenza è una delle città italiane più ricche di acqua.A sua volta, l’area sulla quale sorgerà la nuova base statunitense, ubicata sul confine tra i comuni di Vicenza e Caldogno e attraversata dal fiume Bacchiglione, è una zona ricchissima in questo senso: nel suo sottosuolo è presente una delle maggiori falde acquifere di tutto il nord Italia.

Si tratta di un bacino da oltre 3 miliardi di metri cubi che fornisce acqua potabile a Vicenza e ad una trentina di comuni limitrofi, per un totale di circa 270.000 abitanti e di 28 milioni di metri cubi d’acqua erogati all’anno.

La Regione Veneto, inoltre, nell’ambito della pianificazione degli acquedotti regionali, ha deciso che parte dell’acqua vicentina va destinata anche a parte delle provincie di Rovigo, Padova e Venezia. La costruzione della nuova base militare, però, costituirebbe un altissimo fattore di rischio per le falde sotterranee vicentine, già minacciate dall’inquinamento causato dalle industrie e dall’agricoltura locali.

Fin dal 2007 alcuni tecnici indipendenti e il Comitato No Dal Molin hanno individuato diversi fattori di rischio che potrebbero creare danni strutturali alla falda acquifera e compromettere in modo irreversibile le riserve d’acqua presenti nel sottosuolo.

Il primo fattore è dato dalla piezometria del terreno: in una relazione del prof. Ricciardi, consulente di Paolo Costa (il Commissario straordinario del Governo per la realizzazione degli interventi necessari all’ampliamento dell’insediamento militare U.S.A.) si legge che l’area Dal Molin raggiunge una quota media di 1 metro sotto il piano campagna.

Questo cosa significa? In parole semplici: che scavando poco più di 1 metro sotto terra, si trova l’acqua. Anche nella Relazione Descrittiva del Progetto della nuova base la piezometria viene indicata a circa 2 metri sotto il piano campagna, ma, al tempo stesso, si dichiara che per i fabbricati multipiano (alti più di 20 mt) verranno adottate fondazioni su pali a scostamento, in cemento armato, di una lunghezza tale da attestarsi a circa 25 metri sotto il piano campagna.

Gli edifici di nuova costruzione poggerebbero su migliaia di pali impermeabili all’acqua conficcati nella falda, formando così una “diga” che impedirebbe all’acqua di defluire in modo naturale, costringendola a risalire verso la superficie.

Dal Molin risorse idriche
L’area sulla quale sorgerà la nuova base statunitense, ubicata sul confine tra i comuni di Vicenza e Caldogno e attraversata dal fiume Bacchiglione, è una zona ricchissima di risorse idriche.

Altro fattore di rischio è la permeabilità del terreno, che è ben evidenziata dalle mappe del Cnr. L’insediamento militare sta sorgendo proprio su una delle aree a maggiore penetrabilità e, quindi, qualsiasi perdita all’interno della base, anche di semplice combustibile, potrebbe costituire un danno irreversibile per la falda acquifera.Secondo Eugenio Viviani, ingegnere civile, “nella zona delle officine sono previsti due separatori acqua-olio, senza specificare dove finisca l’olio. E non si può non considerare l’ipotesi di incidenti con materiali pericolosi“.

Grande preoccupazione desta anche l’enorme richiesta di acqua fatta dalla SETAF (South European Task Force) alla AIM-Aziende Industriali Municipali Vicenza S.p.A di 60 litri al secondo e, per il periodo di picco, addirittura di 260 litri al secondo.

Richiesta, quest’ultima, respinta dalla AIM perché equivalente al consumo di acqua pari ad un quarto di quello della città. Secondo il Comitato No Dal Molin, all’enorme richiesta di acqua si aggiunge il fatto che nulla impedirebbe ai militari americani di scavare un pozzo autonomo all’interno della base, come peraltro sarebbe già stato fatto per la Caserma Ederle.

Da un’interrogazione fatta a gennaio 2009 al sindaco di Vicenza, Achille Variati, emerge anche il rischio di esondazione del fiume Bacchiglione. Pare che il Genio Civile abbia alzato l’argine sinistro del Bacchiglione (cioè verso l’area Dal Molin), lasciando più basso quello destro (oltre il quale si trova una zona residenziale).

A Variati viene chiesto di fare chiarezza sui lavori in corso lungo l’argine sinistro del fiume Bacchiglione, a ridosso della nuova base U.S.A. e di attivarsi al fine di scongiurare l’alto rischio di allagamento. In caso di piena, infatti, il fiume esonderebbe solamente dalla riva destra del fiume, allagando le case dei vicentini.

Ma il timore dei comitati cittadini e degli esperti, però, è che alcuni di questi rischi si siano già verificati e che la falda acquifera vicentina sia in serio pericolo. Il Comitato No Dal Molin ha documentato come il cantiere sia diventato un acquitrino e come l’acqua che emerge in superficie venga scaricata nel Bacchiglione insieme alle acque reflue del cantiere, quando le prescrizioni prevedono che le acque reflue debbano essere trattate e scaricate nella fognatura.

Domenica 31 gennaio 2009 gli attivisti hanno anche fotografato la presenza di particolari idrovore che la V.INC.A. (la Valutazione d’Incidenza Ambientale) aveva tassativamente vietato per i danni che potrebbero provocare al delicato assetto idrogeologico dell’area.

Achille Variati
Achille Variati, Sindaco di Vicenza. Da una sua interrogazione emerge il rischio di esondazione del fiume Bacchiglione.

Contemporaneamente, dai pozzi artesiani dei residenti sta uscendo acqua di colore scuro e il Comitato dichiara: “Abbiamo fondati sospetti che i pericoli da noi paventati stiano diventando realtà”.L’ipotesi degli esperti è che i pali per le fondamenta stiano facendo da diga e che abbiano provocato il fenomeno del drenaggio, come sottolinea l’ingegnere Guglielmo Vernau “la palificazione realizzata per le fondamenta degli edifici sta impedendo il regolare deflusso dell’acqua”.

Anche Lorenzo Altissimo, direttore del Consorzio Idrico Novoledo (che ha il compito di rilevare i parametri del sistema idrologico “Astico-Bacchiglione”, utilizzato per l’approvvigionamento idropotabile dagli acquedotti di Vicenza e Padova) conferma, in qualità di tecnico, le preoccupazioni dei vicentini: “Se è stata colpita la falda i danni saranno irreparabili”.

Da mesi i vicentini chiedono delucidazioni sullo stato della loro falda acquifera e, finalmente, il prossimo 26 febbraio, per la prima volta dall’inizio dei lavori, è stato predisposto un tavolo tecnico sull’andamento del cantiere, al quale saranno presenti il commissario Costa, il sindaco Variati e i tecnici che stanno seguendo i lavori.

Oltre a chiedere un aggiornamento sull’evoluzione del cantiere e sulle tappe previste per il prossimo trimestre, il sindaco rivolgerà ai committenti della base una serie di domande formulate sia dai comitati cittadini che dalle istituzioni locali e alle quali nessuno ha ancora dato risposte.

Da parte loro, i committenti della base si sono impegnati ad aprire le porte del cantiere una volta al mese ad una commissione di tecnici indipendenti. Dall’altra, il giorno prima del tavolo tecnico, il Comitato NO Dal Molin terrà un convegno pubblico nel quale presenterà le foto e i dati tecnici raccolti in queste settimane e che portano qualsiasi tecnico indipendente ad un’unica conclusione oggettiva: la falda è a rischio.

Ma le preoccupazioni dei vicentini non si fermano qui. Oltre al prezioso bacino di acqua potabile, ci sono forti preoccupazioni su altri potenziali effetti collaterali del cantiere.

Costruzioni Dal Molin
Gli edifici di nuova costruzione poggeranno su migliaia di pali impermeabili all’acqua conficcati nella falda, formando così una “diga” che impedirebbe all’acqua di defluire in modo naturale.

Innanzitutto quelli sulle due aree protette che si trovano a meno di 5 km dall’area in costruzione: la SIC (Sito di Interesse Comunitario) “Bosco di Dueville e Risorgive Limitrofe”, che confina con il limite ovest dell’area Dal Molin, e la ZPS (Zona Speciale Protetta) “Bosco di Dueville” che si trova a circa 3 Km di distanza.Poi c’è l’impatto visivo che gli edifici militari, soprattutto quelli alti più di 20 mt, avranno sulle viste panoramiche e prospettiche della zona e che difficilmente si potranno integrare in un contesto di case rurali sparse e di edilizia residenziale.

E, infine, vanno considerati i potenziali effetti negativi sul patrimonio archeologico vicentino, dal momento che il cantiere insiste sui resti dell’acquedotto romano e di un’importante struttura insediativa dello stesso periodo, e su di un villaggio paleo veneto databile all’ 8.000 a.C. – scoperta quest’ultima di grande interesse, che farebbe retrodatare di molti secoli le origini della città.

Se a giugno 2009 la Soprintendenza aveva scavato delle trincee e iniziato ad indagare la zona senza problemi, a dicembre 2009 ha dovuto sospendere i lavori perché le trincee si sono allagate. Anche questo sarebbe dovuto ad un pericoloso innalzamento della falda acquifera, che, a causa della palificazione in cemento, sarebbe arrivata a 50 cm. sotto il piano campagna in soli 6 mesi.

Da tutto ciò si evince che l’area interessata dal cantiere militare è un territorio di valore inestimabile per la comunità locale e che i vicentini hanno diritto a risposte immediate, chiare ed esaurienti a tutte le loro richieste. Si tratta di domande che non possono rimanere inascoltate, perché da esse dipendono il presente e il futuro di 270.00 vicentini e di altre migliaia di residenti nelle provincie di Rovigo, Padova e Venezia.

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