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Le storie bastarde di Desario

Memorabile nel libro di Davide Desario il fronteggiamento tra l’autore, quando era ancora in erba, con un futuro boss della Banda della Magliana, Maurizio Abbatino. Di mezzo, un prezioso quanto costoso pallone da calcio Mikasa che Desario era riuscito finalmente a farsi comprare per poter gioocare con i suoi amici di Ostia e che un bel giorno viene requisito brutalmente da un giovane coatto dall’aria piuttosto pericolosa che era per l’appunto l’Abbatino. A seguire poi una soluzione del conflitto altrettanto coatta, quella che consiste nell’infliggere pallonate tirate dall’Abbatino al gruppo di ragazzini che giocavano con l’autore. Da una parte dunque il piccolo boss non ancora totalmente conclamato e dall’altra un gruppetto di ragazzini messi contro una saracinesca a far da bersaglio alle “cannonate” del bullo: chi viene colpito esce. Vi risparmio a questo punto la conclusione del match. Ma la scena è un degno avvio di questo libro che Davide, giornalista di cronaca del Messaggero, ha voluto dedicare ai suoi anni in trincea in quel di Ostia.

Si chiama “Storie bastarde”, l’editore è Avagliano, è appena uscito. Dentro contiene la storia di “noi pischelli di periferia cresciuti a cavallo tra gli anni settanta e ottanta”, pischelli che “vivevamo così, senza telefonino e senza internet”.  A Ostia, “dove le strade ringhiano e i bar sono palestre di vita….”.

Ho conosciuto Davide da grande, cronista in quel di Ostia, prima che si trasferisse a Roma. Ricordo un impatto forte con un gruppo di ex pischelli passati di qua dalla scrivania, facce memorabili comunque come quella di Stefano Vladovich o dell’amico Alessandro Fulloni che lavorava per la mia stessa testata (sopra nella foto, da sinistra Vladovich-Fulloni-Desario). E altri ancora. Davide era uno di loro. E come spesso accade nella cosiddetta provincia, in fondo Ostia con tutti i suoi aggregati sarà pure conurbata sempre di più con Roma ma resta una realtà separata e provinciale, quegli ex pischelli sapevano tutto o quasi di quel loro disgraziato territorio. Ecco dunque come nasce questo libro, il suo retrogusto viene da questa frequentazione sociale che si è prolungata e professionalizzata nel tempo, altrimenti a che servirebbe vivere in posti come Ostia?

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