AL CIE DI PONTE GALERIA PARTE DEGLI IMMIGRATI TUNISINI SBARCATI LA SCORSA SETTIMANA A LAMPEDUSA E PANTELLERIA
IL GARANTE DEI DETENUTI ANGIOLO MARRONI:
«E’ UNA SITUAZIONE PARADOSSALE. PERSONE IN FUGA DA UNA GUERRA CIVILE, COSTRETTE A VIVERE COME SE FOSSERO DETENUTI».
«Costretti a vivere come detenuti, pur non avendo commesso nessun reato se non quello di essere in fuga da Paesi dove c’è stata, o è in corso, una vera e propria guerra civile». E’ questa – secondo il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni – la paradossale situazione che stanno vivendo 90 immigrati di nazionalità tunisina, sbarcati la scorsa settimana a Pantelleria e Lampedusa e trasferiti da venerdì scorso nel Centro di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.) di Ponte Galeria.
Attualmente nella struttura di Ponte Galeria sono presenti 244 ospiti, 160 uomini e 84 donne.
Fra gli ospiti trasferiti dalla Sicilia a Roma anche due minorenni, trasferiti al Centro Assistenza Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto gestito dalla Croce Rossa Italiana.
Secondo il Garante, che questa mattina ha visitato con i suoi collaboratori la struttura per rendersi conto della situazione, quella che stanno vivendo gli immigrati giunti dalla Tunisia non può che essere una fase transitoria, cui dovrebbe presto mettere fine il Governo con una decisione chiara sul loro destino.
«Quanto accaduto in Tunisia, in Algeria, in Egitto ed ora in Libia – ha detto il Garante – potrebbe avere come conseguenza immediata lo sbarco di migliaia di disperati sulle nostre coste. E se questi ultimi giorni sono stati la prova generale di quanto potrà accadere nel prossimo futuro, non c’è davvero da stare allegri. Visto che, allo stato attuale, per motivi di sicurezza è impossibile avviare il rimpatrio delle persone arrivate, e nell’attesa che si dispieghi un dispositivo di degna accoglienza, il nostro governo dovrebbe garantire a questi disperati un trattamento migliore. E’ impensabile, infatti, che per queste persone si prospetti un’ospitalità a tempo indeterminato all’interno di un CIE. La stragrande maggioranza di queste persone, che non parla italiano, fa capire di avere un lavoro in Patria, dove spera di tornare presto non appena la situazione si sarà normalizzata. Per questo i nuovi arrivati hanno rifiutato di inoltrare la richiesta di asilo politico. Sono molto preoccupato perché i C.I.E. sono ambienti estremamente difficili e queste persone non hanno colpe specifiche da scontare, se non quella di essere fuggite dagli orrori di guerra».