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Dietro l’ondata tunisina c’è la mano di Gheddafi

Da Raja Elfani ricevo questa analisi sull’emergenza tunisini. Dietro l’ondata c’è la mano di Gheddafi, questa l’opinione diffusa tra gli osservatori tunisini. Ecco gli articoli:

Migranti schiacciati sull’asse Roma-Tripoli

Due giorni fa titolavamo “Tunisia: 29 morti su comando italiano”, in riferimento al naufragio di una imbarcazione carica di migranti speronata dalla guardia costiera tunisina ad un passo dall’Italia. C’avevamo visto giusto quando sollevavamo la possibilità che dietro all’esodo biblico paventato da Maroni ci fosse l’interesse italiano e libico di dare una prima svolta reazionaria nello scenario nord africano, cercando di incidere sulle sorti del governo tunisino di transizione Ghannouchi, mettendo in una posizione di sicurezza Gheddafi (già travolto dalle contestazioni e dal movimento che ha anticipato l’espressione della collera che era stata fissata per la giornata di domani), premendo nel contesto europeo per militarizzare l’agenzia di “controllo” Frontex (anche in chiave di monito ai movimenti nord africani) e far fluire tanti quattrini nella forma del credito verso il nord africa per tenere saldo il comando nell’area.

Oggi su LaRepubblica online sono state pubblicate indiscrezioni dei servizi segreti italiani che vanno in questo senso: dietro la così detta nuova ondata migratoria c’è Gheddafi. Che tra l’altro insieme al suo socio in affari Berlusconi non sarebbe nuovo ad usare i migranti per orientare a proprio vantaggio politiche europee ed investimenti. Come dire: ”a volte vi ammazziamo nel deserto, altre vi lasciamo andare” per influenzare opinione pubblica e legittimare l’egemonia nell’area mediterranea.

D’altronde proprio ieri la fondatrice della radio indipendente tunisina Radio Kalima, ed autorevolissima militante per i diritti dell’uomo, Sihem Ben Sedrine, ha parlato , ai microfoni di radio Mosaique fm, “di barche libiche che trasportano tunisini verso Lampedusa”, ed ha sollevato più di un dubbio rispetto alle dichiarazioni corali dei migranti che hanno fatto tutti riferimento all’instabilità del paese e che, sempre secondo la giornalista, potrebbe aver prestato ascolto “all’astuzia” suggerita dagli interessati riscossori dei mille euro del viaggio verso l’Italia. Ben Sedrine cita anche fonti italiane e punta il dito contro un pezzo dell’apparato della polizia politica tunisina che sarebbe dietro agli eventi, sostenuta dal recente viaggio a Tripoli di Leila Trabelsi, la moglie di Ben Ali.

Costruire una bomba mediatica sfruttando i migranti e tentare di militarizzare il mediterraneo? E’ certo che Gheddafi ne esce per ora rinforzato. Mentre ordina di sparare e caricare contro i manifestanti in collera e mobilita i propri sostenitori contro il movimento di lotta, ad oggi ha anche una sorta di ricatto da giocare con l’Unione Europea, e che ci sembra che l’Italia non si stia sottraendo dal valorizzare: se crollo io, se cade il mio regime prima vi riempio di africani il vostro continente! D’altronde la proposta di Maroni di allestire dei presidi di polizia italiana in territorio tunisino non sembra essere la solita smargiassata leghista, dietro alla frase ad effetto, c’è l’esplicita dichiarazione di uno stato europeo di essere “disponibile” a presidiare militarmente un paese attraversato da un processo rivoluzionario.

La forzatura italiana sembra aver fatto il suo corso: mentre i media nostrani davano ragione al governo italiano del mancato soccorso dell’unione europea nella gestione degli sbarchi (evento smentito da cancellerie e portavoci delle istituzioni europee), Frattini volava a Tunisi per incontrare il primo ministro del governo di transizione Ghannouci. Dall’incontro ne è uscito fuori un primo accordo di partenariato tra le polizie dei due paesi e crediti milionari dall’Europa verso la Tunisia.

Il governo italiano dopo aver fornito alla polizia di Ben Ali una santa barbara solo due anni fa, rincara “il sostegno”, e con il fornimento di credito torna ad aumentare le quote di comando sul paese governato da un mese dal vecchio ministro degli interni di Ben Ali.

Il governo Berlusconi e Gheddafi sembrano quindi voler aprire la strada ad una governance militare dell’area mediterranea in rivolta? E mentre Frontex agisce senza nessun apparato di controllo e garanzia che almeno rendi pubblico l’operato dell’agenzia, è già stato messo all’ordine del giorno la sua progressiva militarizzazione? E’ questo che vuole il Governo Berlusconi? E al ricatto di Gheddafi come risponderà l’Unione Europea: sostenendo il rais, lasciando affogare migliaia di migranti, o accogliendoli nel proprio continente? Sono domande che in prospettiva non possono che interessare anche noi e i nostri lettori, e tutti quelli che sia a Lampedusa che in nord africa sanno da che parte stare: al fianco dei migranti e delle rivolte.

Rivolta in trasferta

di Raja Elfani


Una valanga che l’Unione Per il Mediterraneo non aveva previsto. L’esodo dalla Tunisia verso le isole italiane è l’effetto boomerang della politica di vicinato instaurata dall’UE. È soprattutto la risposta realistica alle priorità commerciali senza anticipazioni demografiche né programmi politici. Pronostici istituzionali annegati con i dispersi nel mare. L’allarme anti-invasione con poco impatto lanciato da Maroni e Frattini è il codice rosso per alzare lo scudo, come se il mediterraneo fosse una diga. Sull’altra sponda, lo Stato tunisino promuove l’invasione inversa, la marea turistica alta o bassa traghettata ogni anno con campagne ufficiali. Uno dei paradossi della bilateralità, un bel concetto ma in realtà il solito pacchetto di iniziative e affari. La Francia capeggia al neo-colonialismo con Alliot-Marie che rappresenta l’ostinazione dei vecchi canali economici. Una posizione che riecheggia in Nord Africa con l’arroganza isterica del bellimbusto Boillon, il nuovo ambasciatorino già sopranominato “sarkoboy” piazzato in Tunisia dove non ha retto il sarcasmo dei giornalisti. La radio popolare Mosaique diffonde le riprese di un pranzo con la stampa, in cui ricorda un suscettibile cappellaio matto. Questa sequenza di comportamenti dimostra che la diaspora non disturba gli scambi finanziari, ma lasciato a se stesso il flusso favorisce un assestamento immorale e disumano nelle strutture sociali. A Lampedusa, vigilano gli organi non governativi e i volontari, e ci si affida alla benevolenza individuale dei poliziotti in attesa che l’UE passi ad un piano d’urgenza. Per far mostra di buona volontà, il governo italiano concede di riaprire il CIE di Lampedusa chiuso dal 2009, tra accoglienza e identificazione a fin di rigetto.

Si è sfacciatamente sfiorato la dichiarazione di guerra con l’idea di scandagliare le coste tunisine, ingerenza respinta solo politicamente dalla Tunisia ma ovviamente non per quanto riguarda la pesca internazionale. Il colpo mediatico lascia spazio alle strategie dei caduti o quasi, e Leila Ben Ali viene accolta nella terra dei lager dei migranti mentre agonizza Ben Ali in terra santa. È la giornalista Ben Sedrine che denuncia la trama libica dietro le traversate. Mentre la nuova Tunisia tenta una ricostruzione mobilizzando tutte le sue forze, il clan dei corrotti moltiplica le mosse difensive, facilitate dall’apertura delle frontiere tuniso-libiche. L’innesto del caos è il colpo di coda del potere detronizzato che dopo gli attacchi armati passa alla scarica migratoria.

L’indagine cittadina su Facebook fa l’inventario dei segnali più evidenti di una organizzazione: molti sbarcati sono muniti delle stesse scarpe made in Libia e hanno soldi in tasca, inventiva e idee chiare. Sono una comunità variata che conta imam e agenti turistici oltre a quelli mossi dalla miseria. Stranamente non conoscono il complesso, si sentono legittimati grazie alla rivoluzione quanto normali vacanzieri. All’origine di questo reclutamento e in cima alla solita catena di traffico umano c’è una mano politica diretta, una tendenza che ha avuto bisogno di costituire un occasionale nomadismo alla rinfusa. Un tentativo comunque che non ha grande portata mediatica, ma sintomo di un afflusso di strategie geopolitiche nell’area mediterranea, a quest’ora forse intensificato.

L’Europa, che lavora all’estensione della sua geografia, deve rendere pubblica l’analisi matura di questo fenomeno. Il tempo non è più ai pretesti di illegalità o clandestinità, la crisi umanitaria coinvolge i paesi ricchi con il ricatto migratorio, valvola di sfogo che può diventare un’arma di massa a doppio versante. Nel paesaggio istituzionale, solo il Cnr è in prima linea sul fronte del dialogo interculturale con il vasto progetto Migrazioni che coinvolge esperti internazionali reinnestando l’iniziativa umanistica in una società in crisi culturale. Il mondo della ricerca si muove in blocco verso l’attualità e la rapidità dei cambiamenti, squadre consce di un iter sorpassato.

Link per intervista radiofonica di Sihem Ben Sedrine:

http://www.facebook.com/?ref=home#!/note.php?note_id=166525703394933&id=191975247498785

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