Dove finiscono i fondi dei despoti arabi?
lunedì, 28 Febbraio, 2011Dal blog di Karim Metref, sociologo algerino, questo giusto interrogativo: a chi vanno i soldi dei despoti africani deposti (nella foto la moglie di Ben Alì)?
I tempi sono proprio brutti per i dittatori. Una volta i tiranni in pensione, finivano le loro pensioni in belle proprietà in Inghilterra, in Francia, Italia o in Svizzera. Non venivano disturbati da nessuno e potevano continuare a spendere le loro fortune colossali sparse per le varie banche del mondo ricco. Anche Bocassa “l’Orco della Repubblica Centro Africana” alla fine non se l’è spassata troppo male.
Oggi questo stesso mondo ricco sembra non volerli più accettare sulle sue terre dopo averli spremuti. Sono costretti ad esili sempre dorati, ma lontani dal mondo libero e democratico. Sono diventati quasi come i rifiuti radioattivi, si rifiuta di metterli definitivamente al bando della storia, però tutti gli tengono lontani dalla propria casa.
Benali è in esilio in Arabia Saudita (probabilmente il più stabile e potente stato burattino della zona), Mubarak è in esilio a Sharm Esheikh. Sì proprio così. Perché chi è andato a Sharm si è accorto che lì non è Egitto. Ma per niente.
Gaddafi probabilmente, se cade, non si arrenderà. O sarà giustiziato come Ciaucescu, alla svelta, o come Saddam dopo un finto processo. Comunque un processo vero e proprio contro questa gente non ci sarà mai. Perché sanno troppe cose per lasciarli parlare.
Sia come sia, la fine di questa gente non importa molto. Anche la più brutta delle fini non riporterà mai giustizia a tutti quelli che hanno derubato, ingannato, insultato, ridotto in schiavitù, umiliato, arrestato arbitrariamente, torturato e/o ucciso.
Un po’ più importanti sono invece le fortune astronomiche sottratte ai rispettivi popoli e esportate nelle banche occidentali e nei paradisi fiscali. Che fine faranno?
I beni personali di Saddam, della sua famiglia e quelli dello stato iracheno, ad esempio, furono ritirati in contanti (almeno quelli che erano nelle banche Statunitensi) e portati in Iraq. Ufficialmente, per finanziare la ricostruzione. Erano vari miliardi di dollari. Potevano veramente bastare a ricostruire le infrastrutture del paese e rilanciare l’economia. Invece… nulla! Vaporizzati. L’Iraq è ancora disastrato come all’indomani della guerra. Le strade sono come le ha lasciate Saddam. La ferrovia è un lontano ricordo. La rete elettrica è ancora primitiva e, laddove arriva, assicura una media di 5-6 ore di elettricità al giorno. La barzelletta irachena dice “l’elettricità nel nostro quartiere viene ad intermittenza: un ora non c’è e l’altra dopo … nemmeno.” L’acqua arriva poche ore al giorno anche quella. L’industria è quasi scomparsa da tempo e l’agricoltura è ridotta più o meno come tutto il resto. A che cosa sono serviti, allora, i vari miliardi di Dollari che Bremer e Negroponte (i due capi successivi dell’Authorità Provvisoria della Coalizione) avevano nelle loro casse all’inizio dell’occupazione? Probabilmente sono serviti per raggiungere il risultato attuale: Il caos più totale. È vero che distruggere una nazione dalle sue fondamenta, dividere la popolazione in etnie che si odiano a morte, la guerra civile, la corruzione dilagante…. sono tutte cose che hanno dei costi piuttosto alti.
I soldi sono spesso andati a società americane che hanno subappaltato a società turche che hanno subappaltato a società egiziane che hanno subappaltato a società irachene per far finta di lavorare e non fare quasi niente; a compagnie di sicurezza privata (e di insicurezza pubblica), alla creazione di associazioni a delinquere travestite da partiti politici e di balordi in giacca e cravatta travestiti da personalità politiche; ad arricchire capi tribù e capi religiosi fantocci, milizie armate, formazioni militari e paramilitari nascoste, società di pseudo intervento umanitario, affaristi, spie, banditi, criminali, trafficanti di tutto e di niente, muri di cemento armato, filo spinato, attrezzature militari… tutto tranne qualcosa di utile per il paese.
Oggi, sono tanti i paesi che hanno annunciato il congelamento dei beni dei Benalì (e Tarabulsi, la famiglia della moglie), dei Mubarak e dei Gheddafi. Ma dove andranno a finire questi soldi è un grande punto interrogativo. Gran parte, probabilmente, andrà nel dimenticatoio della storia e se li mangeranno le banche. Come è successo nella storia molte volte con vari conti di capi di stato, di regimi e di piccoli e grandi delinquenti comuni, morti o incarcerati. Una altra parte sarà utilizzata da ogni paese dove sono depositate per ricattare i nuovi governi che nasceranno dalle proteste o dalle manipolazioni di esse. «Io ti do indietro i tuoi capitali alla condizione che li usi per fare “questo e per quell’altro”. E te gli ridò indietro soltanto se “quello e quell’altro” lo fai fare alla società “Pinco” o la compagnia “Pallino…»
Condizioni inaccettabili in una situazione normale. Condizioni che non accetterebbe che un nuovo governo corrotto quanto il primo, o forse ancora di più. Che accetterebbe, però, solo con la contro-condizione che una fetta consistente delle somme restituite vada su conti segreti intestati ai nuovi capi. Insomma, un eterno ricominciamento!
È anche per questo che gli stati potenti stanno premendo con tutta la loro forza perché queste rivolte portino solo un cambiamento di burattini ma che alla fine lo spettacolo sul teatrino sia sempre lo stesso.
Per fortuna la strada sembra abbastanza cosciente di questi rischi e continua ad essere mobilitata. Ieri a Tunisi ci sono stati nuovi scontri di Piazza. Ghannouchi, il nuovo presidente-vecchio primo ministro- ha dovuto presentare le sue dimissioni.
Speriamo che la stanchezza non si impadronisca dei rivoltosi prima che mandino a casa tutti i dinosauri.
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