Primarie a Napoli: non resta che andare a parlare con chi vende il voto a 20 euro…
martedì, 1 Febbraio, 2011Napoli. Che fare? Dopo la lettera di Cesare Moreno sulle primarie a Napoli – “Il valore di un uomo” – e la rivelazione dei voti comprati a 20 euro (poi però ho ricevuto lettere che abbassavano perfino a 5 euro o un pacchetto di sigarette) in molti si sono chiesti: e ora, che fare?
Cesare ha risposto nel suo blog e lo ripropongo qui di seguito (la risposta prima e in calce la lettera iniziale). Come terzo documento segnalo infine l’analisi uscita sul “Corriere del Mezzogiorno), a firma Adolfo Scotto di Luzio (in sintesi a Napoli il Pci è come il berlusconismo altrove…).
Sicuramente il discorso promosso da Cesare Moreno – avvezzo a stare per strada – è quello che più mi interessa. La soluzione è andare a parlare con chi vende il suoi voto per così poco…Coraggio, solo così si ricostruisce la sinistra. A Napoli e non solo.
Che fare
Varie persone mi chiedono cosa fare.
Intanto bisogna sempre prima capire cosa succede, se no ci agitiamo a vuoto.
Ora detto in modo molto sintetico la situazione mi sembra questa:
si giocano le stesse partite, con le stesse carte, con le stesse regole, con gli stessi giocatori. Come si vuole che il risultato cambi?
I rinnovatori si limitano a raccattare i cascami lasciati per strada dagli altri. Si rifonda e si rinnova, cosa?
C’è una regola elementare: ritornare alla pratica sociale. Bisogna che ci siano nuove carte da giocare, anzi nessuno può giocare delle carte: non è più il tempo delle pedine ma il tempo dei soggetti attivi. Non è il tempo di dire ma il tempo di ascoltare in primo luogo. Ci sono ormai due antropologie e un fossato che le separa. Troppi democratici, progressisti, rivoluzionari non si rendono conto che i loro discorsi circolano solo da una parte del fossato. Mi ricordo una delle prime frasi ‘politiche’ che ho appreso ormai quasi cinquanta anni fa “Costruire un socialismo di lusso sui frutti delle rapine imperiali” (Frantz Fanon), che esprime nel modo più sintetico l’irriducibile differenza tra colonizzati e colonizzatori. Ci rendiamo conto di quante colonie interne abbiamo? E che la politica è appunto l’arte di tenere insieme persone che vivono vite diverse, rispettandole e consentendo a ciascuno di realizzare al meglio se stessi.
Chi è che si dedica a colmare i fossati che dividono gli uomini tra loro, chi è che lavora perché questi non vengano proprio tracciati? La politica del contro non funziona sta da un’altra parte, fa parte della guerra per bande dei gruppi di potere, dei poteri costituiti e dei poteri rampanti, dei dominatori e degli aspiranti dominatori. Finché noi pensiamo alla politica come continuazione della guerra con altri mezzi finiremo nelle mutande di qualche escort più o meno giovane, nei gorghi di qualche infinita vicenda giudiziaria.
Ripeto sempre che ci sono solo nella mia città migliaia di persone responsabili che attraversano la città, attraversano la frontiere tra la città del benessere e la città del degrado e cercano di tessere i fili di una trama sociale. Moltissimi di questi sono insegnanti, educatori, volontari, ma anche imprenditori che non fuggono, funzionari che cercano di essere servitori del pubblico e non accaparratori di prebende, operatori ecologici che si impegnano sul serio nella differenziata e tanti tanti altri che mantengono una dignità umana dove la dignità viene sistematicamente avvilita.
Qualcuno è disponibile a sentire ciò che costoro costruiscono, a capire come fanno?
Non è che nessuno di questi viene ascoltato ma vengono ascoltati in un contesto di scontro, per prendere posizione contro e purtroppo molti sono indotti ad esprimersi soprattutto in questi contesti senza rendersi conto di quanto essi siano deformanti.
Come non essere contro la Gelmini, come non rendersi conto di quanto insufficienti (lasciatemi l’eufemismo) siano stati 17 anni di governo di sinistra (sono stati tutti insufficienti e non solo gli ultimi), come non sapere che se oggi ogni bambino nasce con un debito gigantesco non è certo colpa mia o tua; come non sapere che anche nella crisi più nera c’è chi ingrassa ancora di più che al tempo delle vacche grasse. Ma tutto questo aver ragione, tutto questo analizzare con acume i torti degli altri non ci esime dal dover pensare qualche cosa che salvi tutti e non si limiti a dire che ci spetta il posto d’onore in una astronave che si sta schiantando in un buco nero a scelta.
Pensare il bene comune significa semplicemente questo, la condivisione di soluzioni positive. Non l’interesse pubblico che è l’omaggio ad un astratto ipotetico interesse confiscato da chi ha più potere, ma il bene comune, ciò di cui possiamo fruire insieme.
Di fronte al degrado umano di chi va a votare per 20 euro io non mi sento di dire se è più cattivo chi lo utilizza o chi condanna il suo utilizzo, io penso a quanto deve star male uno che va a votare per 20 euro e vorrei poter parlare con lui e aiutarlo a trovare un modo migliore di spendere la vita. Non mi illudo che mi accolga bene, la sua prima reazione sarà di pensare che gli voglio togliere anche quella miseria conquistata quel giorno, ma se voglio avere una città diversa il mio primo dovere è stabilire un dialogo con lui e non con quelli che lo hanno pagato o con quelli che mi mostrano le mani innocenti di questo delitto. Questa è la soluzione. Troppo semplice.
Questa la lettera già pubblicata:
Il valore di un uomo
Ma cosa succede a Napoli? Ormai considero la mia città un luogo dell’anima planetaria e globale: qualsiasi cittadino del mondo dalle discariche di Nairobi, ai grimperos dell’America Latina può trovare in Napoli una pietra di paragone che lo rende più bello, più pulito, più buono.
Bisognerebbe che ogni cittadino del villaggio globale a cui giungono le notizie di Napoli versasse un cent come royalties su questo patrimonio di monnezza che mettiamo a disposizione per sollevare la sua autostima.
E dovrebbero pagare un po’ di più i filosofi, perché Napoli tiene aperti interrogativi filosofici altrimenti offuscati dall’opulenza e dall’efficienza. Ad esempio come si stabilisce il valore di un uomo.
A quanto pare per le primarie un uomo vale 20 euro, per le politiche, a seconda della congiuntura tra 50 e 100 euro. Anni fa al top delle stragi un killer costava 300.000 lire: veramente prezzi popolari. Ora preferisco non tenermi aggiornato su questo tariffario. Quindi basta fare una media ponderata di questi numeri per sapere il valore di un uomo. Molto basso qui a Napoli.
L’ulteriore domanda filosofica è perché sistematicamente da molti secoli gli uomini di niente, (‘omme ‘e niente) quelli che non valgono niente, sconfiggono gli uomini di valore ossia quelli che solo di studi ci sono costati diverse decine di migliaia di euro (del resto se tra operaio e dirigente c’è un rapporto da 500 a uno tra un sottoproletario e un uomo di cultura deve esserci una distanza analoga) e perché gli uomini di niente sentono una particolare affinità con quel sanguinario del Cardinale Ruffo, con la crassa volgarità del Borbone, con il becero comandate Lauro, con il postribolare Berlusconi?
Ora tutti si stracciano le vesti perché la gente è andata a votare per pochi euro o per piccoli favori di periferia.
Io ho visto in TV quelli che sono andati ad occupare la sede provinciale del PD. Sono persone che si sono sudate tenacemente in venti anni la loro piccola scalata di potere da modesti impiegati a capi gruppo consiliari del grande partito. Sono quelli che mi hanno impedito persino di fare lavoro volontario, perché non c’era foglia che non dovesse esser marchiata con il sapore disgustoso del favore e dell’intrallazzo. Ed erano protetti allo stesso modo da Bassolino e Iervolino e per decenni hanno tenute le periferie sotto il tallone di ferro di una politica di favori. Se c’è una umanità esclusa da tutto, senza storia, senza risorse, senza futuro, esposta all’arbitrio ci sarà sempre qualcuno pronto a farsene portavoce e a servirsene come massa di manovra. Lo avevamo già visto alle elezioni precedenti, quando si presentò Rossi Doria. Nei quartieri di ceto medio il voto era frutto di pensiero e di scelta ed entro certi limiti si è rivolto anche ad una proposta nuova, ma in periferia la situazione era bloccata, in periferia non c’era un voto che non fosse controllato. Questo lo sapevano i perdenti di oggi, su questo hanno taciuto tutti gli indignati di oggi, nessuno di loro ha mai, in nessuna occasione, tentato di cambiare il ruolo di pedine che hanno gli esclusi della nostra società. Io che con tanti altri ci provavo ripartendo dalla base, dalla convivenza quotidiana sono stato a mia volta escluso. E da questo punto di vista mi viene voglia di tessere le lodi del votante a venti euro, l’unico finora che abbia squarciato il velo di una politica che è talmente avvezza allo scambio, alle scalate di potere, all’uso strumentale delle sventure altrui che non è neppure capace di immaginare di potersi muovere su un altro scacchiere con altre regole dando speranze alle persone piuttosto che sfruttarne la disperazione.
Io non sono sicuro che i giovani tunisini che hanno cacciato Ben Alì siano molto diversi dai giovani che sono saliti sulle barricate di monnezza e che hanno venduto il voto per venti euro. La differenza sta nel tipo di avversari che si trovano di fronte: gli uni si trovano davanti cumuli di monnezza urbana e cumuli di monnezza politica gli altri hanno ancora il privilegio di potersi battere contro un vero dittatore, contro una vera repressione. La nostra è una guerra contro il nulla e anche chi vince non può che avere nulla.
Cesare Moreno
dell’ Associazione Maestri di Strada ONLUS Piazza S.Eligio,7 – 80133 Napoli
– mobile.393 933 46 39 – Sito – www.maestridistrada.net; Mail: maestridistrada@gmail.com
Questo il contributo infine uscito sul Corriere del Mezzogiorno:
Centrosinistra, più che un nuovo inizio è la fine di una lunga stagione
di Adolfo Scotto di Luzio
E’ una mia opinione personale. Non chiedo a nessuno di condividerla. Vuole essere però l’inizio di un ragionamento. L’esito delle primarie napoletane ha sancito il primato del peggio che c’è. E se ce ne fosse bisogno, ribadisce la sterilità politica della cosiddetta stagione bassoliniana del governo della città. Queste primarie non rappresentano l’inizio di un nuovo, ancorché incerto, ciclo politico e civile per Napoli, ma sono il riassunto di ciò che è stata la politica in città in tutti questi anni.
Queste primarie costituiscono il sigillo della fine apposto alla lunga stagione del centrosinistra in città, invece che l’annuncio di un nuovo inizio.
Il partito personale non solo non ha prodotto eredi di rilievo, ma negli eredi che si ritrova prende le misure esatte della sua reale portata politica. Fattosi forte della debolezza del partito politico, il bassolinismo ha impedito al partito di riorganizzarsi, lo ha mantenuto in uno stato di permanente disgregazione. Il punto è: perché questa disgregazione non ha liberato energie politiche nuove, mentre invece ha prodotto con ogni evidenza l’inaridimento delle fonti stesse del rinnovamento politico in città.
Il paradosso napoletano non è stata la vittoria di Bassolino nel quadro del trionfo berlusconiano. Il paradosso di Napoli e del Mezzogiorno è che è toccato agli eredi del Pci il ruolo che in Italia hanno svolto Berlusconi e compagni. Questo primato comunista. di Napoli ha comportato che il partito personale si affermasse su una base di vecchi riti e di rigidità burocratiche che erano propri dell’ex Pci e che hanno così avuto la possibilità di estendere la loro vigenza ben oltre la durata in vita delle strutture e dei contesti che un tempo li giustificavano. Il miscuglio che ne è derivato di nuova politica personale e di vecchi costumi da centralismo democratico ha fatto sì che accanto al leader, e al suo servizio, venisse mobilitato una parte dell’apparato burocratico di federazione che ha così trovato il modo di sopravvivere alla bufera dei primi anni Novanta. Insomma da noi il nuovo è stato la cristallizzazione di una parte del vecchio. Ora, i giovani che in queste primarie hanno lanciato la loro sfida a Umberto Ranieri sono due ex assessori, due campioni di una più folta schiera di ex ragazzotti della FGCI, la vecchia federazione giovanile comunista, che hanno passato gran parte della loro adolescenza e giovinezza parcheggiati nelle stanze della federazione del Pci in via dei Fiorentini.
Nella loro esistenza c’è una netta soluzione di continuità ed è il giorno in cui sono stati strappati all’accidiosa ripetitività di un destino da piccoli burocrati di periferia per essere assunti nell’empireo di un sistema di potere a base provinciale-regionale. E lì che hanno svoltato. Si sono dati una ripulita.
Hanno cominciato ad incontrare la gente giusta, a farsi nuove amicizie e a metter su famiglia. Ma è pure tutto qui. Se il loro mentore, Antonio Bassolino poteva immaginare di aver conquistato il potere alla fine di una lunga battaglia politica e ideale, dentro le fila di un grande partito nazionale che forniva al suo impegno meridionalista una prospettiva storica di ampia portata, l’aspirazione di questi giovani a guidare una grande città del Sud matura sul terreno di un’angustia burocratico-municipale che i tempi nuovi hanno insegnato a decorare degli orpelli del marketing urbano, delle scenografie inutili dei grandi eventi. Non c’è nessuna idea politica, nessuna prospettiva storica, nessuna capacità di lettura della realtà meridionale. La fine della politica tuttavia non riguarda solo i vincitori di oggi, ma anche gli sconfitti. Anche Umberto Ranieri. farebbe bene a interrogarsi sul profilo di chi gli ha portato via la vittoria. In fondo è anche la sua storia.
Forse in queste primarie ci sono stati, come si denuncia da più parti brogli e se non proprio brogli l’uso .di sistemi (capi bastone, collettori di voti, eccetera) che di solito usano in tanti, ma che solo il vincitore riesce ad usare meglio degli altri. Lo si sapeva dall’inizio e ora non si possono ricevere le obiezioni di chi prima ha accettato di giocare e poi, dopo aver perso, dice che le regole del gioco che, ripeto, si è accettato di giocare, erano truccate. Il punto non è qui e sbaglierebbe chi oggi volesse farne una questione morale. L’ennesima e inconcludente questione morale del paese. Si dice che quello di Bassolino è un sistema di potere e che Andrea Cozzolino ne è l’erede.
Ebbene, il punto e: come si combatte un sistema di potere? La risposta: o come fanno a destra, contrapponendogliene uno uguale e contrario. Oppure facendo politica.
Ranieri ha tutte le ragioni, psicologiche e politiche, a non darsi per vinto e a non rinunciare alla battaglia, ma quello di cui la città ha bisogno non è l’ennesima mobilitazione intellettuale e civile. Napoli ha bisogno di un lavoro serio e continuativo di ricostruzione del suo tessuto sociale. Ha bisogno che vengano rimessi in piedi luoghi e meccanismi di discussione e di impegno pubblico. Ha bisogno di organizzare politicamente la partecipazioni. Forse questo potrebbe essere il compito storico di Umberto Ranieri a Napoli, a partire da una riflessione sulla sua sconfitta: favorire la formazione e l’ascesa di una nuova classe politica.
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