Informazioni che faticano a trovare spazio

Quelli del Dal Verme

Non gli è bastato il tonfo elettorale antiabortista, che l’aveva messo ko per un bel po’. Ora il direttore del Foglio Giuliano Ferrara si è ripreso e convoca una manifestazione a Milano. Ce l’ha  con i nuovi puritani (sarebbero quegli italiani un po’ stomacati dalle miserie sessuali berlusconiane). E quindi sbandierando provocatori mutandoni contro il voyeurismo italico chiede non si sa cosa. Un risultato già c’è però: lui è diventato di diritto il nuovi Braghettone, come quel Daniele Ricciarelli detto da Volterra che nel ‘500 per piacere a un Papa pensò bene di mettere foglie di fico e quant’altro sulle nudità di Michelangelo. Diventando per tutti il Braghettone. Diciamoglielo subito al suo nuovo emulo: Michelangelo  ne è uscito bene, il Ricciarelli decisamente meno.

Ora il neo braghettone vorrebbe essere controcorrente, ce l’ha con  questa Italia guardona che dopo aver spiato dal buco della serratura chiede cambiamenti. No, Giuliano Ferrara insorge, viene da una tradizione che non ha mai guardato dal buco della serratura: tempo fa la mamma Marcella, per anni segretaria di Palmiro Togliatti (e che tempi! gli anni’50) arrivò a sostenere in  un’intervista che lei  non aveva mai saputo nulla delle purghe staliniane…Chissà, in famiglia erano già dotati di mutandoni da infilarsi in testa?

Veniamo al posto della contromanifestazione (va da sé che il  primo bersaglio è la mobilitazione antiberlusconiana del 13 delle donne italiane). Il Dal Verme non è di grande aiuto. E’il teatro d’esordio dei “Pagliacci” e dell’edizione italica della “Vedova allegra”, ma anche di Mussolini ai suoi primi proclami. E con Mussolini erano di casa lì figuri tipo Italo Balbo, Emilio De Bono, Michele Bianchi e Cesare Maria De Vecchi, perfino un simil giornalista come Manlio Morgagni, presidente-direttore generale di quella fabbrica di veline di regime che fu l’Agenzia Stefani. Insomma, che fantasmi…

Ora chi  andrà mai sabato al Dal Verme a  protestare sabato contro i porno-pm di Milano (suggestiva definizione di Alessandro Sallusti, illustre invitato nonché direttore del giornale della famiglia  Berlusconi)?

Tra gli annunciati interventi troviamo quello di Camillo Longone, il neo profeta della “”Destra divina” , titolo vallecchiano poco o  nulla ironico, in cui il collaboratore di Ferrara indica la strada che sarebbe: “Difendi, conserva, prega!”. Una volta tipi così si chiamavano sanfedisti.

Altra dipendente di Ferrara prevista è Assuntina Moresi che scribacchia sul giornale di Braghettone cosine tipo: “Coppie di fatto, l’urgenza è solo un mito…”. Vi potete risparmiare lo svolgimento di questa gentildonna  che perfino i convocatori (cioè Ferrara, si presume)  definiscono beghina.

Ecco poi Alessandro Sallusti, vicino a quell’ugola leggiadra che è la Santanché: sul cassero del Giornale nel novembre scorso, appena sbarcato come direttore, è stato oggetto di indagini giudiziarie, disposte dalla Procura di Napoli, per violenza privata nei confronti della presidente di Confindustria Emma  Marcegaglia, rea di avere espresso opinioni discordanti con la politica del governo Berlusconi.

Quando Sallusti scrive sulla Procura di Milano va poi giù così: “La Procura di Milano sta violentando giova­ni ragazze molto più di quanto qualsiasi protettore possa fare con qualsiasi escort. E lo fa spendendo i nostri soldi, gli stessi che la giustizia dovrebbe usare per dare la caccia ai rapinatori che entrano nelle nostre case, agli spacciatori che offrono droga ai nostri figli fuori da scuola. Se vo­gliono vedere una donna nuda, che vada­no (cosa che sicuramente già fanno) in un sexy-shop e paghino con i loro di euro…”.

Oggi, sul giornale che dirige, Sallusti ha gentilmente qualificato come “disturbata” Sara  Tommasi: ma perché allora Paolo Berlusconi, suo padrone ed editore, convocava una ragazza così disturbata proprio nella sede del Giornale? Non era meglio lo studio di uno psichiatra? E com’è che questa “disturbata” è volata fino a Sofia capitale della Bulgaria in compagnia di Silvio Berlusconi?

Antonio Martino, cosiddetto liberale, altro interveniente, ha tessuto di recente le lodi di Ronald Reagan.  Pazienza. Son gusti così. Va peggio però quando si torna al 2003: in quell’anno Martino ministro della difesa ormai da due anni sostenne la convinzione che l’Iraq avesse acquistato uranio dal Niger, affermazione che venne inclusa in un documento pubblicata dal governo inglese come “Iraq’s Weapons of Mass Destruction: The assessment of the British Government” (Le armi irachene di distruzione di massa: la valutazione del Governo britannico). Questo documento fu successivamente citato dal presidente Usa George Bush: “The British government has learned thath Saddam Hussein bought significant quantities of uranium from Africa” (“Il Governo britannico ha scoperto che Saddam Hussein ha ottenuto notevoli quantità di uranio dall’Africa”).

Un’enorme bufala, troppo spesso rimossa e dimenticata. All’inizio di questa storiaccia c’era Martino. Perché i radicali che giustamente chiedono conto a Blair delle “bufale” usate per fare la guerra in Iraq non chiedono lo stesso al signor Martino? Sono andati fino a Londra, il Dal Verme è molto più vicino…

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