Informazioni che faticano a trovare spazio

Fernando che diventò Mariangela Fantozzi

Ed ecco a voi  la miserrima Mariangela, la figlia di Fantozzi. Otto film l’hanno immortalata. Solo che è un uomo, si chiama Plinio Fernando. Maria Corbi l’ha intervistato sulla Stampa del 6.3.2011:

La seconda vita di un uomo
chiamato “Mariangela”

La “figlia” di Fantozzi si racconta:
Paolo Villaggio? Mai più visto
La bellezza? Sogno la Bellucci

MARIA CORBI

ROMA
Plinio Fernando, mi aspetta con un mazzo di fiori. Ha i modi galanti e gli occhi gentili. È impossibile non riconoscerlo tra la folla, lui che in 8 film è stato la figlia del ragionier Fantozzi, l’archetipo della bruttezza femminile, la «bertuccia», come la chiamava il perfido geometra Calboni, Mariangela.

Una maschera che Plinio ha indossato per lavoro e che poi ha gettato via insieme alla sua vecchia vita. Da anni di lui si sa poco o niente. Dal 1993 quando girò «Fantozzi in paradiso», il suo addio al mondo del Cinema e anche alle ridicole camicie da notte e alle cuffiette di Mariangela. E adesso eccolo, qui, con la cravatta, e la cartellina sottobraccio con le fotografie delle sue opere. «Abbia pietà…», mi dice imitando proprio il ragionier Fantozzi.

E in quella battuta c’è in realtà una preghiera, quella di non ridurre questo incontro a una descrizione estetica, farsesca, a una presa in giro. «Vuole sapere che fine ho fatto? Cosa faccio oggi che ho lasciato il cinema? Veramente? Allora parliamo di questo, delle mie opere». Perché Plinio, classe 1947, nato per caso a Tunisi da genitori italiani, è uno scultore, plasma teste umane in terracotta, e forme diverse, una macchina industriale, o un cavallo in creta colorato con la lacca d’oro, l’assalto con catapulte di una guerra medievale.

«Sono appassionato di Medioevo». Plinio sorride timidamente quando parla delle sue creazioni, anche quando spiega «che non è facile venderle» e che comunque è difficile separarsi da qualcosa che si è plasmato. «Ho fatto anche una mostra e ho avuto buone critiche», dice tirando fuori dalla cartellina le fotografie delle sue teste in terracotta. «Ci sono persone a cui devo molto, come la storica dell’arte ed esperta in ceramiche Giuliana Gardelli che mi ha incoraggiato nel mio nuovo lavoro. Sono riconoscente alle persone che mi hanno fatto del bene».

Non vorrebbe incursioni nel passato, Plinio. «Era un’altra stagione», dice con pudore. «Si chiude una parentesi e se ne apre un’altra. La vita è così». La prima «parentesi», quella che lo ha fatto entrare nel mito, ha racchiusa l’esperienza sul grande schermo, la figlia di Fantozzi appunto, una maschera che non è stato facile togliersi. E qualcuno oggi, quando lo vede, ancora gliela disegna addosso. Impossibile non avere dei flash di quella interpretazione. Quando Mariangela chiedeva: «Papà, ma chi era Cita?». E Villaggio-Fantozzi rispondeva: « Eh, beh, Cita… Cita Hayworth! Era una bellissima attrice americana. Ma io ti assicuro che tu sei molto… molto più bella di lei…Forse!».

Pezzi di storia del cinema, ma anche pezzi del cuore di Plinio che non sempre è stato contento di questo successo, ad ascoltare il tono delle sue parole. «Avrei preferito una parte maschile, ma non sempre si può scegliere, in fondo era solo un ruolo, un lavoro come un altro. In fondo tutti i più grandi attori si sono vestiti da donna: da Ugo Tognazzi ne “Il vizietto”» a Tony Curtis e Jack Lemmon in “A qualcuno piace caldo”», dice adesso Plinio che, sempre con pudore e gentilezza, sottolinea come a lui piacciano le belle donne come la Fenech e la Bellucci.

Nel curriculum di Plinio anche Sturmtruppen girato nel 1976 per la regia di Salvatore Samperi. Ha tutti i dvd di Fantozzi, e ogni tanto in tv si diverte a riguardarsi «per un po’, ma poi cambio canale». Di quei tempi «fantozziani» ha mantenuto i contatti con Anna Mazzamauro, la signorina Silvani, e con Milena Vukotic, una delle sue mamme sullo schermo. L’altra Liù Bosisio, oggi è anche lei prestata all’arte (oltre a doppiare Marge Simpson).

Di Paolo Villaggio dice «che è un buon amico di lavoro, un grande attore. Sul set eravamo tutti molto affiatati, come una famiglia». Ma fuori da lì nessuna frequentazione. L’ultimo film che Plinio interpreta, diciotto anni fa, è Fantozzi in paradiso, poi il ritiro a vita privata, scarseggiano i ruoli per lui e forse è anche un po’ stanco di una vita da caratterista iniziata da ragazzo con l’iscrizione all’Accademia di Recitazione Stanislavskij al Teatro Anfitrione. Chiuse le luci della ribalta, a metà degli anni ‘90 Plinio scopre la passione per la scultura e inizia a studiare con i maestri Diotallevi e Cussino. Sette anni di scuola, faticosa anche fisicamente. «Non mi piace l’improvvisazione, anche se c’è il talento. È necessaria la preparazione, sempre. Non come oggi che in televisione, ai reality, diventa famosa gente che non sa fare niente. Io a un reality? Non ci andrei, non mi piace espormi se non per cose serie».

Come le sue sculture, esposte qualche anno fa in una mostra a via dei Serpenti a Roma. Non è facile interpretar questo signore schivo e cavaliere che si presenta con due mazzi di fiori. Del suo privato è gelosissimo, non fa trapelare molto, se non che ha due sorelle a cui è molto legato. Prende il telefonino, fa il numero e parla con una di loro. «Te la passo», dice. E dall’altra parte la voce di una signora spiega che «il fratello è una persona fantastica, molto generosa». Un invito tra le righe a non tradirlo, a non renderlo ancora una macchietta, così lontana dal vero Plinio. «Abbi pietà…», dice lui prima di salutare con quel sorriso gentile e un po’ triste.

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