Seicento ragazzi, a Calatafimi, in ricordo di Mauro Rostagno: buon compleanno Mauro
sabato, 5 Marzo, 2011Ieri sabato a Calatafimi, il posto in cui Garibaldi vinse la sua celebre battaglia che gli aprì le porte verso Palermo, sono stati consegnati i premi di giornalismo intitolati a Mauro Rostagno. Qui sotto un comunicato d’agenzia che ne riporta la cerimonia, di fronte a seicento ragazzi siciliani, e sotto ancora l’intervento del giornalista Rino Giacalone che segue con grande sollecitudine il processo per l’omicidio di Mauro in corso a Trapani e di cui mercoledì 9 si terrà la terza udienza. In quella udienza sarà sentita anche Maddalena Rostagno, la figlia di Mauro che aveva solo 15 anni quando lui fu ucciso.
Ma prima, questa domenica, ricorre il compleanno di Mauro. Un compleanno che dobbiamo ricordare anche se lui non c’è più. L’ha ricordato Giacalone a tutti quei ragazzi oggi a Calatafimi. Bravo Rino. So che è stato molto applaudito anche Nando Dalla Chiesa. E che è stata applaudita molto anche Maddalena presente con un videomessaggio. Bene. Così come è bene che continuino a crescere le adesioni alla Pagina Facebook “Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno- Aula Falcone Trapani” che ha oggi superato le mille adesioni.
Dobbiamo però sapere che l’attenzione dei mass media al processo dell’omicidio di Mauro è ancora altalenante, sporadica, con Trapani così lontana. Dobbiamo avvicinare Trapani all’Italia. Per questo cercheremo di promuovere iniziative in ricordo di Mauro. Ne riparleremopresto. Ecco qui di seguito le notizie di oggi da Calatafimi:
Ansa – È il liceo scientifico ‘Enrico Fermì di Ragusa, l’istituto scolastico che si è aggiudicato il primo posto al premio giornalistico ‘Mauro Rostagno, organizzato a Calatafimi-Segesta dall’Associazione Libera. Secondo la motivazione della giuria di giornalisti presieduta da Roberto Morrione, presidente della Fondazione Libera informazione, il liceo ha avuto il merito di aver “posto il problema di come contrastare la mafia e gli interessi che la circondano, attraverso la realizzazione di una rete che, utilizzando internet, colleghi giovani, volontari, associazioni per una più incisiva azione sociale, culturale e civile”.
Gli studenti avranno la possibilità di visitare un’emittente locale. “Siamo felici di avere partecipato a questa manifestazione, ma sono offesa per quanto detto dal presidente del Consiglio, che ha pronunciato parole contrarie alla scuola pubblica, ma il cambiamento oggi sta nelle scuole, in chi crede nei ragazzi ed in iniziative come queste”, ha detto Concetta Petrolito, insegnante referente del progetto nel liceo scientifico Enrico Fermi, che si è aggiudicato il primo premio.
Il secondo posto è andato all’Istituto professionale ‘Bufalinò di Trapani, terza l’Ipsia di Mazara Del Vallo, quarto l’Istituto tecnico per geometri ‘Accardì di Petrosino, mentre il quinto posto è andato al liceo socio psico-pedagogico ‘Almanzà di Pantelleria. Sono circa 600 gli studenti che hanno gremito il teatro Alhambra di Calatafimi-Segesta ed hanno rivolto domande a Nando Dalla Chiesa sul ruolo dei giornalisti oggi e sulle collusioni tra mafia e politica.
“Oggi ci sono larghissime zone d’ombra nelle istituzioni – ha detto il figlio del generale Carlo Alberto, ucciso con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo la sera del 3 settembre 1982, a Palermo – e chi si schiera sinceramente contro la mafia è oggetto di campagne di delegittimazione, nonostante i riflettori siano accesi più a lungo rispetto al passato”.
Un saluto dalla platea è arrivato anche da Salvo Vitale che ha ricordato l’esempio di Peppino Impastato, mentre Maddalena Rostagno, figlia di Mauro, ha inviato un videomessaggio ai ragazzi. “È importante raggiungere la verità processuale in aula – ha detto Maddalena Rostagno – ma anche continuare a ricordare. Mio padre aveva scelto Trapani e la Sicilia come propria terra, decidendo di sacrificarsi per dare ai giovani la possibilità di scegliere il proprio futuro”.
Auguri di buon compleanno per Mauro Rostagno
Sono tante le persone ho dovuto imparare a conoscere leggendo gli atti giudiziari riguardanti le loro morti violente. Purtroppo in questo “maledetto” elenco c’è anche Mauro Rostagno, ucciso a Lenzi di Valderice, provincia di Trapani, il 26 settembre del 1988. Domani, 6 marzo, è il suo compleanno, avrebbe compiuto 65 anni. Non ci potranno essere né torte né festeggiamenti semmai lui li avesse mai voluti, la sua vita si è fermata a 46 anni. Di quante morti come per Mauro Rostagno ho dovuto leggere depistaggi, mascheramenti (noi siciliani li chiamiano masciariamenti), persone oneste la cui coscienza civile è stata dopo la morte ancora sporcata, offesa, vilipesa, per nascondere la mano degli assassini mafiosi macchiata del sangue delle loro vittime; questo è successo tante volte a Trapani, per il magistrato Ciaccio Montalto, per il giudice Alberto Giacomelli, è successo per i morti del 2 aprile di Pizzolungo quando Trapani morbosamente curiosa apposta andò ad interessarsi della vita di quell’uomo, Nunzio Asta, rimasto di colpo senza moglie e senza i suoi due gemellini, i trapanesi non pensarono nemmeno un minutoi di cercare di impersonare semmai, anche per un secondo, il dolore immenso che aveva investito Nunzio e Margherita, non provò neppure a interrogarsi sul grado di violenza che la mafia aveva raggiunto e come mai a questa escalationla mafia era riuscita ad arrivare.
Già, inutile farsi queste domande a Trapani, o stupirsi perché nessuno se le fece o pensò di farle allora, nel 1985, la mafia non esisteva, lo andava dicendo un sindaco, ma non era il solo a dirlo.
Non c’è stata morte violenta per mano mafiosa che non sia stata una morte sul campo. Tutte le vittime della mafia trapanese erano impegnate a far qualcosa: Ciaccio Montalto inseguiva la mafia di Trapani che si stava trasferendo in Toscana, Alberto Giacomelli si occupava dei beni confiscati, Barabara Rizzo si occupava della sua famiglia e Salvatore e Giuseppe di come studiare al meglio, il bersaglio di quell’attentato di Pizzolungo era il giudice Carlo Palermo, rimasto miracolosamente illeso; aveva ripreso le indagini lasciate aperte da Ciaccio Montalto e aveva scoperto un traffico di droga e armamenti utili a fabbricare bombe, che viaggiavano sulle stesse rotte con coperture eccezionali, ma aveva anche scoperto le casseforti della mafia locale e i legami tra i mafiosi trapanesi e i cavalieri del lavoro di Catania. Punto di unione era quel Francesco Pace che a Carlo Palermo non poteva ancora dire nulla, ma anni dopo, nel 2005, la Polizia e la magistratura scoprirono essere il capo della cupola mafiosa di Trapani, il più fedele alleato dei potenti mafiosi di Mazara quelli che all’epoca dell’attentato a Carlo Palermo davano ospitalità a Mazara al capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Carlo Palermo come Mauro Rostagno, avevano avuto il sentore di troppe cose in un sol colpo. Per Carlo Palermo risultarono conoscenze ingombrante anche per lo Stato che infine lo licenziò dalla magistratura.
Come non parlare poi di Giuseppe Montalto, anche lui fa parte di questo elenco, l’agente penitenziario ucciso dalla mafia l’antivigilia di Natale del 1995, ucciso per avere fatto il suo dovere, un eroe si è detto subito.
Ecco la parola eroe non compare mai da nessuna parte nelle carte giudiziarie che riguardano Mauro Rostagno. E’ giusto che sia così perché chi fa il suo dovere non è un eroe. E Mauro Rostagno non era un eroe, era un sociologo e un giornalista, appassionato alla vita e al suo lavoro, che faceva il suo dovere di informazione, informava e non trattava con nessuno le notizie. Lavorava con un obiettivo preciso: non era un obiettivo segreto, ce lo diceva e ce lo spiegava dagli schermi di Rtc ogni giorno, con parole diverse, ma il fine era se,mpre quello, ci diceva: “Non vale la pena di trovarsi un posto in questa società, ma bisogna creare una società nella quale valga la pena di trovarsi un posto”. Eppure nonostante tutto questo lui non è stato un eroe. Ma anche gli altri uccisi facevano il loro dovere, e allora perché la differenza, perché loro eroi e Mauro no? Perché, secondo una regia occulta, Mauro Rostagno non doveva essere un eroe, non doveva essere visto a Trapani come un eroe, doveva essere dimenticato, doveva risultare che era stato ucciso magari per qualche schifezza, la droga, le corna, i tradimenti, le gelosie. Ecco perché sono serviti alla magistratura e agli investigatori 22 anni per arrivare oggi ad un processo, perché la sua morte celebrata con quei funerali affollati doveva sparire presto dalla memoria della gente, e nella memoria della gente doveva entrare altro sul conto di Rostagno, andava anche lui “mascariato”. Trapani ucciso Rostagno dovevai tornare alla normalità, che è quella che inseguiamo sempre noi trapanesi, che ci piace, lo dimostriamo con i nostri modi di dire, quando ci incontriamo e ci domandiano vicendevolmente “che si dice ? “ la risposta di tutti è sempre la stessa, “nun si rice nente”, “non si dice niente”, oppure, “come va?”, “tutto a posto”, o ancora “la migliore parola è quella che non si dice”. Perché avvertiamo l’”omertà” come un bisogno.
Silenzio allora. Silenzio sul fatto resta Trapani la città con i più alti tassi di disoccupazione ma che riceve tanti di quei finanziamenti che invece di produrre ricchezza producono altra povertà, una città dove molti sono costretti a lavorare in nero, dove le imprese pagano la quota associativa a Cosa nostra, dove non c’è il racket e il pizzo perché la mafia non deve arrecare disturbo ma conquistare consenso sociale, dove la delegittimazione arriva puntuale per chi non ci sta alle regole del sistema illegale che è così radicato da essere diventato regola di legalità, dove la politica compra i voti dalla mafia e ricambia i favori, dove i colletti bianchi e i borghesi da decenni siedono allo stesso tavolo con i mafiosi ed i massoni quando non lo sono loro stessi mafiosi e massoni. Perché questa è la mafia che Rostagno aveva scoperto esistere, non so se aveva pronto davvero quello scoop sul traffico di armi, ma rileggete i suoi editoriali e vi renderete conto come pezzo per pezzo lui stava mettendo insieme, come stava facendo Carlo Palermo appena tre anni prima, nel 1985, il mondo mafioso trapanese, quello che ha saputo sintetizzare passato e futuro, tradizione e modernità, violenza ancestrale e spietata capacità di accumulare capitali. E che è poi oggi la mafia di Matteo Messina Denaro: non a caso allora la decisione di uccidere Rostagno fu presa a Castelvetrano ordinata dal patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro. Trapani ha protetto questa mafia perché è la mafia che ha gestito, e gestisce, l’economia, gli appalti pubblici, ha dato, e dà, lavoro, ha sparato quando c’è stato da sparare ha votato bene quando c’è stato da votare bene. Ecco perché Mauro Rostagno è stato ucciso. E’ stato ucciso perché stava dando forma a tutto questo e contro tutto questo stava cercando di dare corpo e anima al “coro sociale”, chissà se ha mai pensato a rendere concreto il pensiero scritto nel 1930 dal filoso Josè Ortega y Gasset, “perchè non vi fosse un solo protagonista a muovere le masse sociali ma vi fosse una sola massa a muoversi”.
Ecco ai giovani di oggi, a quelli che hanno affollato l’Alahambra di Calatafimi per la terza edizione del premio giornalistico dedicato a Mauro Rostagno, ho voluto dire che loro oggi fanno parte di quella moltitudine che improvvisamente si è fatta visibile, ai tempi di Rostagno e anche anni dopo ai giovani toccava occupare il fondo dello scenario sociale, adesso la loro posizione è avanzata, di questo i giovani debbono prendere coscienza. Ecco vorrei che fosse questa consapevolezza a essere idealmente consegnata dai giovani a Rostagno come regalo di compleanno , facendo la promessa che non c’è bisogno più di eroi in questo terzo millennio perché tutti saremo abituati a fare il nostro dovere, senza se e senza ma, ” non ci sono più protagonisti ma c’ è soltanto un coro”.
E’ anche la promessa che dobbiamo farci “noi” tutti messi insieme, anche “noi” adulti, e che possiamo farci a Trapani come altrove, in Italia e in Europa, grazie a quelle donne e a quegli uomini, a quei giovani e a quegli adulti, che abitano nel bellissimo mondo di “Libera”.
Rino Giacalone
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