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Tunisia, il cantiere politico

Ricevo questo articolo di Raja El Fani sulla situazione politica in Tunisia.

Cantiere della Seconda Repubblica Tunisina

di Raja Elfani


È scattata la richiesta di libertà a sud e l’impero deve promuovere gli allievi. Europa e America sono state costrette ad uscire dalla passività diplomatica e a trattare con più partecipazione la democrazia araba. La Tunisia perciò accelera il proprio processo politico, paese designato come esploratore in materia di nuova collaborazione.

Si legge l’importanza di uno schieramento internazionale dietro l’annuncio del Presidente Mebazaa il 2 marzo che sospende la Costituzione e dichiara l’elezione a luglio di un’Assemblea (ANC), operazione voluta dai democratici come la Ben Sedrine chiamata alla strutturazione. Sciolta la Camera, al bando i deputati del vecchio partito unico. In sordina, la bella notizia discolpa Mebazaa di aggrapparsi al suo posto fino all’estate, forse per smentire la possibilità del regime parlamentare.

Il primo obiettivo politico del governo provvisorio ora è di applicare i principi della democrazia, per confrontare la propria validità sul piano mondiale. Il nuovo primo ministro Sebsi si è rivolto anche lui alla società civile e ha puntato alla Kasbah, ribadendo che il nuovo programma risponde alle attese dei cittadini. Il suo discorso ha sfruttato i timori di un’istallazione rivoluzionaria convalidati con il movimento antikasbista che ormai si raduna puntualmente e quando serve alla Kobba di El Menzah, un vasto quartiere residenziale di Tunisi. Si è sospeso così il sit-in della Kasbah, piazza che si è sgomberata con disciplina dopo aver delegato un comitato di organizzare prossimamente una conferenza stampa in facoltà, per determinare la posizione dei partecipanti e attivisti. Non è sfuggito il tono populista di Sebsi, decisamente più immedesimato di Ghannouchi. Inaugurando l’era di un nuovo linguaggio politico, senza più i complessi paternalisti della dittatura, Sebsi si allinea con la frontalità liberale calmando la smania della frangia giustiziera. Chi non concorda con la sua linea preveda già di correre per i seggi dell’opposizione.

Ras Jdir, la località che è diventata il deposito umanitario di un’Europa espulsivista, procede con ritmo più alacre al rimpatrio diretto e senza fughe dei cittadini nei paesi d’origine, dopo che il deflusso era iniziato con il contagocce. La guerra libica ha mostrato con il limbo di Ras Jdir la sua diversità demografica in confronto alla popolazione in Tunisia che non ospita la stessa varietà di stranieri, né la stessa proporzione. La CEE ha tardato nel provvedere materialmente all’emergenza, ma le ONG incontrano la buona volontà tunisina. Una lezione di solidarietà mentre l’etica dell’accoglienza europea è completamente bypassata. A Tunisi nessun fatto è più taciuto, il motto della settimana è un gioco di parola “Ras Jrad”, i manifestanti della Kobba, vogliono “la testa” di Jrad il presidente della macchinosa UGTT (sindacato) incolpata di aver architettato manovre sedicenti per manipolare studenti e operai durante le manifestazioni. L’agorà artificiosa della Kobba si pone come movimento di compensazione e di appianamento dell’agitazione, e lontano dal centro, la società civile si dà all’auto-strumentalizzazione dopo il lavoro con qualche concerto e altri surrogati. Con il nuovo governo di Sebsi, in cinque giorni, il paese abbandona l’espressione di strada e si affida alle amministrazioni alla prova.

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